Andrea Ottavi su Finalmente l’alba: “Recitare mi ha dato uno scopo”

L'interprete sarà al cinema dal 14 febbraio, con Finalmente l'alba di Saverio Costanzo

La recitazione, la pittura, la fotografia, l’umiltà, la consapevolezza, la determinazione; Andrea Ottavi è la dimostrazione di quanto l’arte sia in grado di declinarsi molteplice nel singolo volto di un’interprete. Nato a Roma il 28 Maggio del 1992, il giovane attore si avvicina, sin dalla tenera età, alle arti visive, guidato dallo sguardo esperto della madre: scopre ben presto una passione per l’interpretariato che, sotto la giuste direttive, riesce ad identificarsi come sua salvezza, come scopo di una vita da sempre condizionata da un’animosità irrequieta. Andrea si affaccia sullo schermo dopo un’importante gavetta ed dopo aver dimostrato molto impegno nello studio, sbattendo contro diverse porte chiuse a causa di una sua atipica fisicità, fino all’opportunità avuta con Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini. Oggi, grazie ad una ricca ed esaustiva intervista, scopriamo quel è stato il percorso dell’artista e quali sono i suoi progetti soffermandoci, in particolar modo, sulla pellicola in uscita il prossimo 14 febbraio, Finalmente l’alba, che lo vedrà diretto da Saverio Costanzo (La solitudine dei numeri primi, L’amica geniale) al fianco, tra gli altri, di Willem Dafoe, Lily James, Alba Rohrwacher e Joe Keery.

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Finalmente l'alba Andrea Ottavi cinematographe.it

Parlaci un po’ di questo film; di cosa tratta? Tu chi interpreti?
“Il film racconta la storia di Mimosa, giovane ragazza che, negli anni ’50, si reca a Cinecittà per partecipare a dei provini per le comparse di un grande film e io, che avvicino la sorella fingendomi un pezzo grosso del mondo del cinema, fungo da chiave tra la sua vita e quella realtà. Tutto viene sviluppato in una notte, durante la quale lei, protagonista di ore memorabili, evolve all’età adulta, entrando in contatto con una grande diva del cinema. Io sono Riccardo, un ragazzo popolare romano, alla mano ma furbo allo stesso tempo, che, spacciandosi per un lavoratore del cinema, riesce a far entrare le due sorelle nel teatro di posa e a fargli ottenere un provino, grazie a vari stratagemmi e alle sue doti di affabulatore. Nonostante l’interesse sia più verso la sorella, il film si sviluppa poi interamente su di lei, Mimosa, e sul suo incontro con grandi divi dello spettacolo”.

In questo ruolo di affabulatore ti ci sei ritrovato? Cosa hai messo di tuo nel personaggio?
“Di me ci ho messo un po’ di comicità, anche Saverio stesso non aveva pensato alla parte con delle venature comiche, ma alla fine è uscita così. Io affabulatore non lo posso dire di me stesso, però il personaggio è vicino a me in quanto molto alla mano; io vengo da una famiglia di ristoratori e tutt’ora lavoro, diversi giorni a settimana, presso il ristorante dei miei (attività che va molto bene) e li può capitare, ogni tanto, di incontrare Riccardo. Riccardo che è diventato Riccardone in alcune battute, a causa della mia statura (sono alto 1.95m)”.

Il tuo personaggio nel film è legato al ruolo delle comparse; quale importanza esse ricoprono all’interno di una pellicola? Da attore quanto possono aiutarti nell’interpretare la tua parte?
“Saverio è un regista molto attento ai dettagli e anche tutte le semplici comparse che ho visto, che poi semplici non sono, hanno delle facce incredibili; anche vedendo L’amica geniale mi ero reso conto di questo, tutti hanno facce importanti, dal più grande al più piccolo ruolo. Avendo anche fatto la comparsa da giovanissimo, mi rendo conto che chi lo fa perché vuole guadagnarci 90 euro, sta lì e si lamenta, chi lo fa per passione, come me, sta sul set volentieri”.

Nel film c’è tanto del sogno americano, tu quanto lo hai sentito su di te? Quando e come nasce la tua passione per la recitazione?
“Mi allaccio sempre al discorso del ristorante perché mi da modo di studiare tante persone ed è un importantissimo banco di prova e di studio, poi mi sono reso conto che, verso i 17 anni, c’è stato un momento in cui ho sentito che questo, quello che già sapevo di voler fare, mi stava sfuggendo. Mi presero per fare ACAB ma mia madre non mi mandò perché dovevo fare gli esami a scuola e da lì ho pensato che non avrei più assaporato quel mondo, invece poi mio cugino mi propose di iniziare questo corso di teatro con Mario Pizzuti, coach che tutt’ora mi segue, e da lì tutto è iniziato, anche se all’origine c’è la mia grande passione per il cinema e per lo stare al centro dell’attenzione. In modi differenti lo sono sempre stato, ho avuto un’infanzia particolare dal punto di vista caratteriale: pesavo120kg e sono stato sempre molto esuberante, per questo mi hanno cacciato da diverse scuole; quando poi ho iniziato a recitare mi sono reso conto di aver trovato uno scopo, che tutto per me era cambiato; è stata la mia terapia.
Ho iniziato a fare tanti studi privati, tante masterclass e moltissimi cortometraggi tra cui uno che andò a Venezia, Ambaradam, in cui interpretavo un nazifascista tutto rasato; da lì mi contattò Chiara Iaccarino, assistente casting di Antonio Rotondi, che mi chiese se avevo ancora i capelli corti perché cercavano qualcuno per il film su Stefano Cucchi, Sulla mia pelle. Mi fecero leggere la parte di un carabiniere per cui una caratteristica fondamentale doveva essere l’altezza che, per la prima volta, invece di ostacolarmi mi ha aiutato a trovare una parte”.

Come stato lavorare con Alessandro Borghi? Quanto ha contribuito alla tua crescita?
“All’epoca Borghi era all’inizio del suo grande exploit, io vedevo i suoi lavori e per me era una sorta di idolo. Vederlo a lavoro è stato impressionante: ha fatto un lavoro incredibile sia sul corpo che sulla voce e ha sempre mantenuto una grandissima umiltà. Per la mia piccola esperienza è l’attore con cui mi sono trovato meglio; in Italia c’è la tendenza ad essere snob, a tirarsela, e io infatti non mi trovo mai troppo bene con gli altri attori”.

Per Finalmente l’alba com’è stato lavorare con un cast internazionale di questo livello? E com’è stato lavorare sotto la guida di Saverio Costanzo?
“È stata la prima volta che mi sono sentito veramente diretto, guidato; ogni mattina, prima di girare, Saverio mi faceva vedere come voleva che io facessi ogni scena, battuta per battuta. È molto esigente, serio, duro, ma rimane sempre nei canoni, mi ha dato moltissimo. Per il resto, quando ho letto la lista del cast c’erano tutti nomi fittizi e non avevo idea degli interpreti con cui avrei lavorato; quando l’ho scoperto è stato traumatizzante, in senso positivo, non capita tutti i giorni di lavorare in un film con Willem Dafoe, non credevo che in Italia fosse possibile“.

Andrea Ottavi tra le inclinazioni artistiche e i progetti futuri

Andrea Ottavi cinematographe.it

La seconda parte dell’intervista svela Andrea Ottavi non solamente come interprete ma bensì come artista a tutto tondo, influenzato dalle inclinazioni materne alle arti figurative, appassionato di pittura e di fotografia e da poco convintosi di svelare al pubblico quest’altro lato di sé.
L’attore dimostra tutta la passione che lo muove in ogni pratica della sua vita, dai ruoli ricoperti alle tele realizzate, passando per l’umile quando arricchente incarico ricoperto nel ristorante di famiglia; ci mostra le sue fragilità, i suoi timori e tutta l’energia propulsoria che lo spinge a perseguire ogni sua ambizione, consapevole delle proprie origini e delle proprie potenzialità. Ci parla del suo presente e ci proietta al suo futuro, con i progetti già in fase di sviluppo e quelli ancora da realizzare.

La arti visive hanno sempre fatto parte della tua vita; parlaci un po’ di come la tua famiglia ha influenzato il tuo lavoro.
“Io sono cresciuto con mia mamma che dipingeva in casa e che poi ha smesso quando ho raggiunto la maggiore età. Già a 14 anni però ho fatto la mia prima mostra; dipingo da sempre ma l’ho tenuto nascosto fino a pochi anni fa, quando ho deciso di iniziare a rendere pubbliche le mie opere (anche quelle di carattere fotografico). Prima avevo il timore di dare l’idea di non essere nulla: né attore, né pittore, né fotografo, ma questi mondi esistono dentro di me da sempre e farli uscire non è stato affatto semplice.
Adesso sto per realizzare una mostra di opere molto grandi, dai 3 ai 5 metri, sul tema del sonnambulismo; io non sono un sonnambulo ma quando dipingo mi sento sempre in una sorta di stato di trans, mi piace questo mondo sospeso tra il conscio e l’inconscio, dipingo in modo astratto e attraverso questa serie sto cercando di esplorare l’incertezza di un mondo notturno in cui la coscienza si libera”.

Quando sei su un set sei solamente Andrea l’attore o ti porti dietro anche le inclinazioni più prettamente pittoriche o fotografiche?
“Una figura che mi è piaciuta moltissimo sul set di Finalmente l’alba è stata quella del direttore della fotografia, a cui io, per inclinazione professionale, sto sempre molto attento. Sayombhu Mukdeeprom è un direttore della fotografia thailandese molto esperto che, tra le varie opere, ha lavorato per Chiamami col tuo nome e Suspiria di Guadagnino; guardarlo lavorare è stato incredibile, non diceva una parola e stava in disparte a lavorare. È stato molto bello e io, come sempre, ho cercato di rubare con gli occhi. Sono appassionato di molte cose e sì, mi porto sempre dietro tutto”.

Passando ad un altro progetto, a fine marzo sarai in Flaminia, di Michela Giroud, cosa puoi svelarci?
“Ho provato a contattare Michela, che è un’amica , ma non vuole dire molto. Posso dirti che interpreto il ragazzo di una comunità che passa le sue giornate con la sorella di Flaminia, la protagonista, alla ricerca di una normalità molto distante dal suo mondo. Non posso dirti molto altro però, Michela è molto gelosa del suo film”.

In questo caso si tratta di una commedia; tu per i tuoi ruoli hai preferenze legate al genere o ti piacerebbe metterti alla prova con ruoli tra loro distanti e generi differenti?
“La mia zona di comfort è proprio la commedia ma non ho ancora avuto modo di esprimermi, perlopiù ho interpretato ruoli da militare o simili. Ora, per esempio, sto per fare un cortometraggio di cui sono protagonista assoluto che si chiama Spam – Siam pronti alla morte; un corto di genere thriller psicologico, diretto dal regista austriaco Thomas Wagner, tutto girato all’interno di un’unica stanza, che segue gli sforzi di questo soldato sottoposto alla tortura del bianco, che prevede la reclusione in un ambiente senza colori. E io comunque sono un amante di questo genere, mi piacciono film abbastanza cupi”.

Quali sono le tue ambizioni? A cosa aspiri? Hai altri progetti tra le mani?
“Al momento, oltre a questo cortometraggio, non ho altro in programma; ho fatto diversi provini e di alcuni devo ancora conoscerne l’esito. La mia ambizione non è tanto quella di avere successo ma, più che altro, di avere continuità: vorrei prendere un ruolo e lavorarci per almeno 3 o 4 mesi, fare una trasformazione fisica, questo mi interessa. Vorrei vivere solo di questo, ma non dipenderà unicamente da me.
A maggio ci sarà la mostra e sarò presissimo e poi sto lavorando molto come fotografo, sempre più attori mi stanno contattando e sto avendo un buonissimo riscontro.
L’arte farà sempre parte della mia vita anche perché mi calma, e io sono un tipo molto irrequieto, e mi rendo conto che senza il lavoro del ristorante, mio enorme paracadute, e senza il supporto dei miei, non potrei fare molto.
Ultimamente sono inoltre stato spinto a fare un mio sito in cui sto inserendo tutto quello che faccio ma è qualcosa di nuovo, che mi fa sentire abbastanza nudo, soprattutto la parte della pittura”.

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