Saverio Costanzo, Joe Keery e Lily James su Finalmente l’alba: “Il cinema ci aiuta a non rimanere cinici”

Saverio Costanzo accompagna il cast del film, tra cui Joe Keery e Lily James, per raccontare i segreti di Finalmente l'alba, nelle sale italiane il 14 febbraio 2024.

Le 300 copie con cui 01 Distribution battezza l’uscita di Finalmente l’alba, al cinema dal 14 febbraio 2024, tradiscono una rinnovata fiducia nelle possibilità, artistiche e commerciali, del cinema italiano. Il responso del botteghino, a cavallo tra la fine del 2023 e l’inizio del nuovo anno, pensando al nostro cinema d’autore ma anche allo straniero, raccontano di un pubblico disponibile a misurarsi con storie e temi più maturi di quelli a cui è stato abituato per tanto tempo.

A Saverio Costanzo, che di Finalmente l’alba è regista e sceneggiatore, non piace sentir parlare di un film “complesso”. Ambizioso, quello sì. Inevitabile, se il tuo punto di riferimento si chiama Federico Fellini. “La suggestione iniziale è stata felliniana, è La dolce vita, il personaggio della ragazza (interpretata da Valeria Ciangottini, ndr). Per quello che Fellini spiegò nelle interviste, si ispirava a Wilma Montesi. Anzi, alla fine del film è proprio la Montesi, nel senso che è morta ed è per questo che Marcello non riesce a sentirla. Lavorare sul passato è un modo per capire chi eravamo e chi siamo diventati”. Prima di proseguire, bisogna parlare di Wilma Montesi.

Finalmente l'Alba Lily James - Cinematographe

Wilma Montesi era poco più che ventunenne quando venne trovata cadavere su una spiaggia del litorale romano, nell’aprile del 1953. Comparsa a Cinecittà, la sua morte violenta, ancora oggi senza movente e colpevoli, suscitò all’epoca “un’enorme attenzione da parte del pubblico e della stampa”, ricorda Saverio Costanzo. “L’ipotetico coinvolgimento di esponenti del mondo politico e del nostro cinema prese il sopravvento su tutto. La gente era talmente ossessionata dal gossip, da dimenticare che era morta una persona. Fellini leggeva nel delitto Montesi la fine dell’innocenza per quell’Italia”. Pur non facendone la cronaca, Finalmente l’alba prende in prestito dal caso Montesi atmosfere e ambienti per raccontare una notte speciale, la notte di Mimosa (Rebecca Antonaci). Comparsa a Cinecittà quasi per caso, oggetto della curiosità e delle morbose attenzioni di due (apparentemente) irragiungibili divi del cinema, interpretati da Joe Keery e Lily James.

“Mi piaceva costruire il dialogo tra una diva anni ’50 – una donna che per essere libera era costretta a soddisfare le aspettative del maschio- e una ragazza moderna. Perché” sottolinea il regista, chiarendo la natura flessibile del tempo raccontato dal film “il personaggio di Rebecca, dalla seconda parte in poi, dalla sequenza della festa, è del tutto moderna, è una ragazza di oggi”. C’è un interrogativo che si muove sotterraneo sulla storia. “Non possiamo giurare che sia tutto vero quello che capita a Mimosa. In fondo, è questo che fa il cinema, ci costringe a guardare le cose con stupore. Ci aiuta a non rimanere cinici”.

In che modo Finalmente l’alba ha “usato” la nonna di Lily James e Cesare Pavese

Finalmente l'alba storia vera Wilma Montesi - Cinematographe.it

Gli italianissimi anni ’50 raccontati dal film non vanno presi alla lettera. Perché, lo spiega Saverio Costanzo. “Abbiamo creato parecchi falsi storici. Non c’è mai stato un film dal titolo Sacrificio. Non è neanche neorealista, è il colonialismo culturale degli americani che gli fa raccontare quella storia come fosse un film degli anni ’40. Tedeschi e americani, poi, non hanno mai combattuto a Piazza di Spagna. Non c’è niente di nostalgico, le citazioni sono tutte immaginate, abbiamo giocato con le suggestioni, più che essere didascalici”. Il film ha una storia particolare. Presentato a Venezia, al Festival del 2023, dopo la proiezione ufficiale (qui la recensione) Saverio Costanzo ha pensato fosse il caso di fare qualche taglio, accorciando, cambiando un po’ il senso di alcune scene. “Durante la proiezione veneziana mi sono reso conto che era necessario fare dei tagli. Lo pensavo, dentro di me, già da prima, ma la reazione del pubblico mi ha convinto. D’altronde, un film è completo solo con il contributo dello spettatore”.

Al contrario di Saverio Costanzo, che ha giocato con il passato per costruirsi un immaginario su misura, Lily James, per la sua Josephine Esperanto, ha dovuto attenersi a riferimenti precisi. I suoi modelli sono stati “molti dei migliori film del periodo e anche diverse attrici, penso a Joan Crawford. Trovo che Josephine sia molto moderna e rilevante. Mi interessava il suo comportamento, la maschera che si era costruita per raggiungere il successo e sentirsi amata, una maschera in totale contrasto con la sua interiorità. Mimosa la colpisce perché, sentendosi sola e perduta, in lei coglie un riflesso di purezza e verità”. Si è innamorata di Roma e potendo, “vivrei qui. Girare a Cinecittà è stata un’esperienza potente. Del cinema italiano ho sempre amato Monica Vitti. Per Josephine, ho rubato anche qualcosa a mia nonna, era un’attrice americana (Helen Norton, ndr) e aveva questo suo tono transatlantico. Mi piacciono le attrici dell’epoca, le vedo come animali che si muovono in modo sinuoso, sensuale. Ho lavorato bene con Saverio, molte delle battaglie del personaggio sono state anche le mie”.

La poesia che chiude il film è di Cesare Pavese, il poeta preferito di Saverio Costanzo. “Avevo in mente l’inizio a Piazza di Spagna e che lì a due passi avrebbe dovuto trovarsi l’hotel dei protagonisti. Mi serviva una poesia per il finale. Ho persino provato a scriverla, con esiti disastrosi. Robaccia, era piena di rugiada e roba del genere. Non avrei avuto il coraggio di farla leggere nemmeno ad Alba (Rohrwacher, nel cast del film e storica compagna, ndr)! Poi mi sono imbattuto in questa poesia poco nota di Pavese, dalla raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Il titolo è Passerò per Piazza di Spagna. Ho pensato, c…o, ma è perfetta. Parla di una ragazza, è del 1950, Pavese è il poeta di quegli anni lì, che scende la scalinata e intanto prende coscienza di sé. Ritrovandola ho capito perché ci facevano imparare a memoria le poesie, da bambini. Per farcele riconoscere quando poi le incontravamo”.

Quanto al ruolo che il religioso gioca nel film “c’era, nei cinegiornali, l’immagine di questa vecchina che posava una croce dove era stato trovato il cadavere della Montesi. Non so se sia un fatto religioso, è la sua gratuità ad avermi colpito. Potrebbe capitare anche oggi, siamo ancora delle persone buone. Credo che religioso sia tutto quello che ha a che fare con la consapevolezza di sé”. Tirata in ballo dal compagno regista interviene Alba Rohrwacher, l’unica a non prestarsi a un personaggio fittizio. In Finalmente l’alba, è Alida Valli. “Il film è scritto in modo da farle un omaggio profondo. La Valli fa parte di questo circo di personaggi che incontra Mimosa e che in un certo senso la minaccia, ma è anche l’unica ad intercettarne l’autencità. E l’unica ad avere l’umiltà di metterla in guardia”.

Saverio Costanzo a metà strada tra cinema e televisione

Finalmente l'alba Saverio Costanzo cinematographe.it conferenza stampa

Per Rebecca Antonaci, nell’atto di avvicinarsi a Mimosa, era fondamentale “togliere il giudizio dai suoi occhi. Mimosa non era consapevole della sua situazione, non poteva capire di non essere libera di scegliere cosa fare di sé. Di lei se ne occupavano i genitori”. Iris, la sorella di Mimosa, è interpretata da Sofia Panizzi. “Sono la controparte di Iris, entrambe vogliono affacciarsi nel mondo del cinema. Quanto ai miei modelli, scelgo Bellissima di Luchino Visconti. In particolare la scena, verso la fine, in cui la montatrice racconta la sua parabola professionale alla Magnani”. Passa velocemente sul film, facendo quello che gli riesce più congeniale, cioè cantare, Michele Bravi. “Per la mia piccola intrusione ringrazio Saverio e l’apertura che mi ha concesso. Il brano che canto in realtà è dei primi anni 2000, ma lo abbiamo riportato agli anni ’50. Questo film attraversa il tempo”. Del cast internazionale, l’unico a non aver ancora parlato – assenti Willem Dafoe e Rachel Sennott – è Joe Keery.

Interprete di una certa flessibilità, passa senza colpo ferire dagli anni ’80 fantasy/horror di Stranger Things all’ambiguità patinata di Finalmente l’alba. “Lockwood, come me d’altronde, è un attore pieno di dubbi. Non ricordo una volta in cui non mi sono comportato come lui! Il film mi ha permesso di interrogarmi su cosa significhi per me essere un attore. Lui è un tipo pieno di rabbia, ma la rivolge verso se stesso, facendosi un mucchio di domande. Devo dire che questo è un mestiere che ti fa perdere di vista l’obiettivo, a volte. Lockwood è autoreferenziale e quindi divertente, ma a sua insaputa”. La cosa più importante “è la visione del regista. Che ti fa vedere cose che non immaginavi, perché conosce il personaggio meglio di te. All’inizio, per esempio, pensavo a Lockwood come a un cattivo”.

Mario Gianani, CEO di Wildside, non ha preso bene le insinuazioni veneziane a proposito dell’ambizioso budget delfilm. “Finalmente l’alba ha rispettato tutti i parametri che servono in questo paese per fare un film. Capisco che per alcuni meccanismi, come il tax credit, ci sia sempre un po’ di confusione a parlarne. Non vorrei che, ai margini di questa polemica, si nascondesse il retropensiero per cui dalle nostre parti è meglio non avere ambizione e le cose è meglio farle da un’altra parte. Speriamo di no. Il punto” prosegue, con grande animazione “è che quando si lavora bene, vengono spesi dei soldi. Girare all’estero ci avrebbe fatto risparmiare? Certamente, ma che danno avremmo causato al sistema, alle nostre maestranze? Il film costa troppo? Costa in proporzione al valore della manifattura artistica. Poi, se vogliamo cambiare le regole, sediamoci attorno a un tavolo e parliamone. Noi intanto le abbiamo rispettate”.

Finalmente l’alba e il suo cast. Sinergia di talenti, italiani e stranieri. Ne parla Saverio Costanzo. “L’idea era di trovare volti autentici. L’ho imparato con L’amica geniale, gli attori sono come i colori che compongono un quadro. Volevo accorciare le distanze, accostare interpreti poco conosciuti, anche di una certa età, ad altri più famosi e navigati. Il cinema italiano queste cose le sapeva fare, poi ha smesso”. Anche se il film non è nostalgico qualcosa da rimpangere c’è. “Servirebbe l’ambizione di quei tempi. Molte cose non sono cambiate. Le comparse a Cinecittà, quel modo di fare e di parlare. Il mestiere di comparsa è molto delicato. Qui sono rimaste sotto il sole per ore, senza mai venir meno in termini di entusiasmo e abnegazione. Cinecittà siamo noi, altrimenti non sarebbe quello che è”. Sul rapporto tra cinema e televisione dice che “il cinema è una passione focosa, la tv un matrimonio, felice ma pur sempre un matrimonio. L’amica geniale mi ha permesso di sperimentare, perché si trattava di creare un mondo nella sua interezza. Mi è servito anche per questo film”.