Editoriale | Will Smith e Chris Rock: una questione di schiaffi e onore. Doveva andare così?

Una divagazione sull'onore, sui gesti, sulle imposizioni a cui siamo sottoposti. Lo schiaffo assestato da Will Smith a Chris Rock non è solo l'episodio più chiacchierato degli Oscar 2022, ma è anche un modo per riflettere.

Gli Oscar 2022 segnano uno spartiacque tra prima e dopo: li ricorderemo perché finalmente, dopo la parentesi pandemica, sembra respirarsi un barlume di normalità seppur con l’ombra della guerra (che Paolo Sorrentino non ha fatto a meno di ricordare sul red carpet). Tuttavia, ci sono altre ragioni per cui ci si attarda a chiacchierare sulla cerimonia più attesa, dai vestiti indossati dalle star ai premi più o meno meritati, fino agli eventi che hanno segnato la premiazione, primo tra tutti lo schiaffo dato da Will Smith a Chris Rock. Il motivo di tale gesto? Un commento da parte di quest’ultimo alla moglie dell’attore e alla sua testa rasata ha fatto perdere la ragione al protagonista di Una famiglia vincente – King Richard.

Oscar 2022: perché Will Smith ha dato uno schiaffo a Chris Rock?

Oscar 2022, Will Smith Chris Rock - Cinematographe.it

Il motivo del look di Jada Pinkett Smith, infatti, è il risultato di una diagnosi specifica (alopecia) di cui la donna non ha mai avuto problemi a parlare pubblicamente. Ciò non toglie che il presentatore avrebbe potuto di gran lunga evitare il commento a cuor leggero fatto nei suoi confronti, avrebbe potuto tacere o dire altro, magari lontano dal terreno della fisicità che, in tempi come questi (purtroppo o per fortuna), specie quando fa rima con “donne”, è sempre una bomba ad orologeria.
Smith, dal canto suo, si è pentito di quel gesto, chiedendo scusa all’Academy ma non a Rock. Dopo essere stato consolato dall’amico e collega Denzel Washington l’attore si è lanciato in una riflessione pubblica, mettendo in rilievo luci e ombre del mondo dello spettacolo e quel divario tra essere e apparire che si legge in sottofondo e che induce a riflettere: su maschere e volti, su bene e male, su rispetto e onore, ma anche e soprattutto su come si misuri l’amore e sul prezzo che la nostra società esige affinché venga reputato tale.

Will Smith: una questione di onore?

Will Smith - cinematographe.it

Se Will Smith ha assestato uno schiaffo al presentatore degli Oscar 2022, intimandogli a brutto muso di non nominare più la moglie, lo ha fatto per difendere l’onore della donna che ha sposato e che ama, per proteggere pubblicamente una persona a cui tiene.
Entrano in gioco tanti interrogativi e altrettante questioni morali che fanno oscillare il pendolo della giustizia dalla virilità alla femminilità, dilatando a dismisura lo spazio che intercorre tra diritti e doveri. Jada Pinkett Smith non poteva difendersi da sé? Non è forse una donna abituata a destreggiarsi sulla scena e dichiaratamente in grado di badare a se stessa? Ovvio che si! E infatti lei non ha esitato a mostrare le sue calvizie sui social, a sbattere in faccia la sua debolezza – se tale si può definire – in un mondo sempre più attento all’involucro piuttosto che al contenuto; non ha neanche esitato ad alzare gli occhi al cielo dinnanzi alla battuta di Rock, come se sapesse già ciò che si sarebbe scatenato.

Ha fatto bene Will Smith a difenderla in quel modo? Un atteggiamento del genere si addice a un uomo del suo calibro? L’attore ha agito d’istinto e subito dopo se n’è pentito, non di ciò che ha fatto bensì del modo in cui l’ha fatto. Avrebbe potuto colpire con le parole, rispondere alle accuse da signore e invece è caduto nel tranello tesogli da Chris Rock, si è lasciato trasportare dall’ira, dalla voglia di far trasparire pubblicamente il suo orgoglio ferito, dall’urgenza di gridare al mondo la propria autorità virile, sottolineando e ricordando a noi tutti l’animalità insita nel nostro DNA. L’evoluzione inciampa e non c’è smoking che tenga, non ci sono trucchi sfavillanti, cerimonie esose, non ci sono caste privilegiate, non c’è corrispondenza tra ricco e buono né tra povero e infelice: c’è solo l’uomo intrappolato nel suo istinto ancestrale, nello slancio perennemente mozzato di una miglioria che si pronuncia a metà.

Considerazioni sull’onore, da Aristotele alla modernità

Risulta forse ridondante, ma forse è quasi obbligatorio, divagare sul concetto di onore e su come esso si sia evoluto nel corso del tempo. Torna alla mente la lezione aristotelica che lo aggancia alla virtù.
Se quest’ultima è una questione intrinseca, una predisposizione dell’anima, circoscritta in qualche modo nell’intimità di ciascuno, eppure necessaria all’intera comunità, l’onore si manifesta più come un fatto pubblico, un valore da conferire per sottolineare la virtù stessa. Non ci può essere onore se la virtù non esiste e neanche se essa non viene riconosciuta e quindi omaggiata. C’è moralità in Aristotele e in tutto il mondo classico, mentre nel mondo romano l’honos viene affiliato al mondo politico: manca la moralità che invece abbiamo ereditato in questo mondo pseudo moderno in cui l’onore sconfina dall’esterno verso l’interno: è consapevolezza di moralità e correttezza con noi e con gli altri; è misura comportamentale nel teatrino del mondo civile.
Potremmo forse azzardare a dire che l’onore è per certi versi un obbligo imposto, una convenzione, un modus operandi richiesto per spazzare via l’onta subita, per evitare che essa venga perpetrata ulteriormente.

L’onore, in certi casi, è soprattutto sangue, è violenza. La mente vola al “delitto d’onore” o ancora all’onore combattuto dai duellanti per amore di una donna o per l’abuso sessuale consumato al di fuori del vincolo matrimoniale.
Dovrebbe essere democratico, migliorativo e curativo nei confronti di una società che tenta l’evoluzione. Spesso invece si traduce in un atto di forza e di costrizione morale, in una scorciatoia dell’agire che non conosce l’arte oratoria ma solo l’arte della guerra.

Ha fatto bene Will Smith a difendere l’onore della moglie dando uno schiaffo a Chris Rock? In un giorno in cui l’onore pubblico (l’Oscar) ha investito l’attore, per sua stessa ammissione, si è lasciato stravolgere dalla tentazione del male, dall’impeto di spazzare via il disonore con un gesto di cavalleresco onore. Siamo forse in grado di giudicare? Assolutamente no. Ma siamo ancora in grado di meditare sul peso delle parole in cui si annidano provocazioni e dei gesti che da esse possono inavvertitamente scaturire. Siamo ancora capaci di intendere che il male ricevuto, se restituito, diviene totalmente nostro e fa male, stavolta davvero.
La verità grande, assurda e impronunciabile è che avremmo bisogno di esercizio per onorare davvero chi vogliamo essere, per fare davvero nostro il dantesco “non ragioniam di lorma guarda e passa”.