Vittoria e Abdul: la storia vera di una splendida amicizia

Basato sull'omonimo romanzo di Shrabani Basu, Vittoria e Abdul si concede qualche variazione poetica per raccontare una tenera ed emozionante storia d’amicizia che sembra quasi uscita da un libro di fiabe e che riesce a donare una visione inusuale di uno dei sovrani più famosi di sempre.

In quello che sembra ormai essere un lontano 2009, Jean-Marc Vallée aveva raccontato, con il suo The Young Victoria, un dramma storico dai toni melò sulla giovinezza della regina Vittoria, da poco prima che salisse al trono, passando alla scoperta dell’amore per il principe Alberto per poi finire con la nascita della loro primogenita.

Prodotto da Martin Scorsese e con Emily Blunt nei panni di una giovane Vittoria, ancora inconsapevole delle cospirazioni di corte, il film era intriso di coraggio, speranza e passione, costeggiato dallo splendido e inteso rapporto di devozione e attaccamento tra i due reali, ancora oggi famoso per essere una delle più intense e solide storie d’amore di sempre. Lo sceneggiatore della pellicola Julian Fellowes cercò il più possibile di rimanere fedele agli avvenimenti realmente accaduti, riuscendo abilmente a rappresentare la loro vita mantenendo un’elevata accuratezza storica e inserendo, allo stesso tempo, qualche piccola libertà stilistica per aumentare il senso drammatico della pellicola e, soprattutto, per rendere ancora più ferreo e tangibile l’affetto smisurato tra Vittoria e Alberto.

Vittoria e Abdul Cinematographe.it

In Vittoria e Abdul, tutto ciò che ci era stato mostrato in precedenza viene improvvisamente distrutto, facendo emergere il ritratto di una donna totalmente diversa da quella che ci era stata presentata in The Young Victoria, al punto tale da chiedersi quale delle due sia la reale trasposizione storica di questa famosa regina e quale, invece, sia frutto dell’immaginazione. La sempre eccelsa Judi Dench impersona una Vittoria ormai in là con gli anni, completamente circondata da persone parassite, opportuniste e disinteressate del suo reale benessere, inclusi gli stessi figli, e che si è trasformata di conseguenza in una donna fredda, dai toni acidi tinti con un sarcasmo tagliente e aspro, a cui non interessa apparire rozza perfino nel suo comportamento a tavola o in un qualsiasi altro contesto. Un’immagine totalmente agli antipodi da quella che avevamo avuto modo di vedere nell’altra pellicola ma, non per questo, meno veritiera.

Il regista Stephen Frears decide di raccontare una storia vera utilizzando un’irriverente ironia che traspare nella maggior parte del film e che bilancia perfettamente i momenti fin troppo tragici e commoventi con quelli più spensierati, presentandoci una Vittoria disillusa da tutto ciò che le sta attorno, prigioniera della sua stessa corte, che si trova ormai sul finire del suo regno e che ha dovuto trascorrere quasi metà della sua esistenza senza il compagno di vita ma, soprattutto, senza il suo più fedele consigliere e amico.

È una donna che, senza ammetterlo mai, ha necessità di trovare qualcuno di cui fidarsi in un ambiente ripieno di falsità e apparenze, ma anche, e in particolare, di un amico che le mostri le bellezze del resto del mondo a cui lei non può arrivare rinchiusa come si trova dentro la sua gabbia di cristallo, facendole così scordare il vuoto interiore che sente dentro in ogni singolo momento della giornata e vivere i suoi ultimi anni in maniera serena e soddisfacente. E a quanto pare questa persona riuscì a trovarla proprio nel suo servo indiano Abdul Karim.

Vittoria e Abdul Cinematographe.it

Ma quanto di tutto questo è vero? Ripercorriamo la reale storia di Vittoria e Abdul

Una storia d’amicizia incredibile tra una regina e un servo di cui il figlio maggiore di Vittoria, poi diventato re Edoardo VII, aveva tentato inesorabilmente di distruggere ogni traccia in modo da nascondere lo scandalo che un rapporto così scabroso, tra due persone di ceti tanto differenti, avrebbe sicuramente provocato. Ogni singola corrispondenza intercorsa tra Vittoria e Abdul venne distrutta e solo più di un secolo dopo, nel 2001, la scrittrice Shrabani Basu ha scoperto per puro caso l’esistenza dei diari hinduisti scritti dalla regina stessa e, in seguito, recuperò anche quelli di Abdul ancora miracolosamente intatti, riuscendo a trarne un libro pubblicato nel 2010 e rendendo finalmente pubblica l’improbabile storia di devota amicizia tra la regina dell’Inghilterra e il suo personale “Munshi” (ossia “maestro” in persiano).

“Sono molto affezionata a lui – ha scritto in una lettera la Regina – Così buono, gentile e comprensivo. Si tratta di un vero conforto, per me”.

Nei suoi aspetti più generali, la storia tra Vittoria e Abdul è rimasta pressoché intatta. Era il 1887 quando Abdul Karim venne scelto per recarsi alla corte d’Inghilterra durante il suo Giubileo d’oro, per presentarle un’antica moneta, simbolo di rispetto da parte delle sottomesse colonie indiane. L’inaspettato favore della regina nei confronti del giovane, farà emergere a poco a poco una straordinaria amicizia che culminerà nella sua nomina di Munshi, affinché egli le insegni la lingua urdu e il coreano. Ma non si tratterà solo di lezioni private e discorsi sulla diversa cultura indiana: la regina aprirà i suoi sentimenti e gli confiderà i suoi segreti più tristi trovando conforto, per la prima volta dopo tanto tempo, in una figura amica e devota. Nonostante l’intera corte, in particolare il figlio maggiore di Vittoria, sia contraria a tale relazione ritenuta troppo scandalosa ed eccessivamente intima, l’amicizia tra i due riuscirà a resistere e a crescere sempre di più fino alla morte della sovrana, dimostrando la solidità e la bellezza del loro rapporto, invincibile rispetto ad ogni avversità, pregiudizio razziale e ostacolo incontrato sul loro cammino.

Vittoria e Abdul Cinematographe.it

Come in tutti i migliori film e le più avvincenti narrazioni, anche in questo caso le inesattezze storiche rispetto agli accadimenti reali non potevano mancare, sebbene siano tutto sommato di poco conto e non inficino eccessivamente sulla bellezza della storia raccontata nell’opera. Per cominciare, Abdul era stato mandato al cospetto dell’Impero britannico non soltanto per consegnare un dono alla sua regina bensì con lo scopo di rivestire anche il ruolo di valletto della sovrana. Agli inizi della sua permanenza nella nuova terra, il ragazzo non particolarmente felice di servire i suoi padroni e mostrò più volte la sua volontà di tornare nella sua amata patria natia, ovviamente senza ottenere alcun successo. A differenza di quanto mostrato nel film, Abdul era tutt’altro che docile e tranquillo, bensì un giovane dal carattere irascibile e che non si faceva problemi nel dire cosa pensava della corte di cui era ospite, motivo per il quale veniva spesso ammonito dalla regina affinché tenesse un atteggiamento più rispettoso nei confronti dei nobili che li circondavano.

In più di una scena del film, il rapporto tra Vittoria e Abdul viene visto in maniera estremamente negativa dal resto della corte ma non tutti erano esattamente come la loro rappresentazione scenica. Non solo la regina, ma anche diversi membri della nobiltà si adeguarono alla moda indiana portata dal Munshi, provando nuovi abiti della sua tradizione oltre che accogliendo di buon grado i cibi e diverse altre usanze indiane. Ovviamente, rappresentare parte della corte come favorevole al nuovo stile di vita della regina non avrebbe avuto nel film lo stesso impatto che si è riusciti ad ottenere e, per questo motivo, si è preferito adottare una visione più negativa, raffigurando una nobiltà maggiormente afflitta dai pregiudizi di ceto sociale e razza. Nonostante l’avversione da parte di Edoardo VII e la tentata cancellazione della sua immagine all’interno della corte inglese, Abdul visse i suoi ultimi anni in India in maniera agiata e rimase in contatto con i membri della famiglia reale che lo avevano accolto nelle proprie grazie, ricevendo persino una visita ufficiale da parte del principe del Galles e accogliendo quest’ultimo in maniera civile e lieta, a dimostrazione di come avesse un buon rapporto non solo con Vittoria ma anche con altri nobili della corte inglese.

Vittoria e Abdul Cinematographe.it

Nonostante qualche inesattezza storica e cambiamento nella caratterizzazione degli eventi e del personaggio principale, la storia tra Vittoria e Abdul è narrata da Frears in maniera tanto sublime da rendere le libertà narrative di secondaria importanza soprattutto perché il regista si è rivelato abile nel scardinare quelle insite convinzioni che tutti noi abbiamo sulla nobiltà, attraverso un  divertente umorismo che al contempo lascia spazio ed esalta i momenti di profondo dramma, dimostrando, dopo il già splendido Philomena, di aver trovato un ottimo connubio con l’attrice Judi Dench e regalandoci ancora una volta un film imperdibile in ogni suo più semplice e curato aspetto.

Leggi anche: Venezia 74 – Vittoria e Abdul: recensione del film di Stephen Frears