Roma: Guillermo del Toro analizza il film di Alfonso Cuarón in 10 tweet

Il regista Guillermo del Toro spiega il film diretto dal collega Alfonso Cuarón, disponibile su Netflix, in 10 tweet.

Non solo un celebre regista, ma anche un utente attivo di Twitter. Grazie alla celebre piattaforma, Guillermo del Toro riesce a conciliare la passione per il cinema con i social network, attraverso i quali condivide opinioni sulle serie televisive che guarda, sui libri che legge, sui suoi ristoranti che frequenta e ovviamente anche sui film che guarda, come, per esempio, Roma di Alfonso Cuarón.

Grande ammiratore del connazionale, al quale è legato da un profondo rapporto di amicizia, il regista de Il labirinto del fauno ha condiviso con i suoi followers una rapida riflessione sull’ultimo lungometraggio di Cuarón, analizzando in soli dieci tweet il film che, oltre ad aver descritto come uno dei suoi cinque film preferiti di sempre, sarebbe “per adesso, il vero e proprio apice della carriera cinematografica di Alfonso”.

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Roma: la prima inquadratura come chiave interpretativa del film

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Secondo l’interpretazione offerta da Guillermo del Toro, l’inquadratura iniziale di Roma si rivelerebbe la chiave di lettura dell’intero film. Il cielo si riflette sullo strato d’acqua che riveste un pavimento da pulire è, secondo il regista messicano, una rappresentazione puramente simbolica: “la terra (un terreno investato dalle feci) e il cielo (l’aereoplano) sono inconciliabilmente lontani sebbene siano stati momentaneamente uniti e mostrati dall’acqua (il riflesso). Ogni verità in Roma è rivelata dall’acqua.

Roma: le differenze non possono essere colmateRoma Del Toro cinematographe.it

Soffermandosi sul rapporto che lega profondamente la famiglia alla domestica Cleo illustrato in Roma, Guillermo del Toro fa notare ai proprio followers che i “piani di esistenza, come la separazione e la suddivisione all’interno di classi sociali dell’ambiente familiare, non possono essere affrontati”, né modificati. “I momenti in cui la famiglia si avvicina sono pochi e fugaci: ad una frase come ‘ha salvato le nostre vite’ ne succede istantaneamente una più banale e superficiale come ‘puoi farmi una banana shake?'”

Roma: il perenne silenzio di Cleo

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Anche il perenne silenzio della domestica Cleo avrebbe un senso ben definito, adottando il personale punto di vista di Guillermo del Toro. “Secondo la mia prospettiva, la silenziosità di Cleo è utilizzata come uno strumento per esternare ed evidenziare la sua evoluzione emotiva che porta alla rivelazione del suo dolore più intimo, esplicitato ancora una volta dall’acqua. Dopo il salvataggio in Oceano, Cleo supera le sue paure e trattiene le sue sensazioni in silenzio, fino a quando non si riversano finalmente in una frase”. E quella frase a cui si riferisce il regista messicano è il tragico “non volevo che nascesse”.

Roma come rappresentazione di una società stratificata

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Aspetto vitale del lungometraggio di Cuarón, la gerarchia sociale messicana è fedelmente rappresentata in Roma. Gli strati della società sono dipinti in modo complesso nel film non solamente attraverso la riproduzione del nucleo familiare, ma sopratutto all’esterno della famiglia stessa e tramite i proprietari terrieri, fino ad arrivare persino ad essere restituita nel rapporto tra Fermin e Cleo, specialmente quando il primo la insulta nel campo di pratica.”

Roma: l’acqua come segno, di nuovo

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Non più emblema dell’inconciliabile lontananza che scinde il cielo e la terra, ma presagio mortale. Pur mantenendo il proprio ruolo di simbolo, ad un certo punto del film, l’acqua si trasformerebbe in una sinistra premonizione. In Roma, infatti, “è presente un momento chiave, creato con estrema precisione” che si riconosce nella “scelta di Cuarón di mettere in scena il momento della rottura delle acque di Cleo proprio nell’esatto momento in cui la violenza dei manifestanti esplode, quando il suo ragazzo irrompe nel negozio con in mano una pistola, indossando una maglietta con la scritta love is …”. In quell’attimo, secondo del Toro, il regista comunica al suo pubblico che il figlio aspettato dalla domestica morirà durante il parto.

Roma è un affresco e non un ritratto

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Quasi a voler attaccare con un’eleganze sottilezza le diverse opinioni riguardanti il film circolate sul web, Guillermo del Toro sostiene che “secondo ogni punto di vista, Roma è un affresco, un murale e non un ritratto. E questo si evince non soltanto attraverso il modo in cui l’obiettivo è posizionato, ma anche tramite il modo in cui l’obiettivo scorre con lunghi dolly laterali. Le informazioni audiovisive riguardanti il contesto, i disordini sociali e le loro fazioni, la politica e la morale del tempo esistono all’interno del lungometraggio”, hanno una loro importanza e un loro significato da interpretare. La società non si pone ai limiti del film e non è rappresentata come un semplice sfondo. Ecco perché non si può parlare di un ritratto.

La realizzazione di Roma è stata un’impresa titanica

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Abbandonando il piano prettamente simbolico e concettuale, in modo da commentare il film del collega messicano secondo un punto di vista più tecnico, Guillermo del Toro si sofferma sulla realizzazione di Roma e, in particolare, sull’opera di ricostruzione dell’omonimo quartiere, luogo in cui Cuarón ha trascorso la sua infanzia.

“Penso che sia passato troppo in sordina il fatto che Cuarón e Eugenio Caballero (lo scenografo messicano che ha collaborato nella creazione del lungometraggio, ndr) abbiano effettivamente costruito diverse zone di Città del Mexico in un enorme backlot (zona esterna ad uno studio cinematografico, ndr), posizionando i marciapiedi e i negozi, i lampioni e le strade asfaltate,  (sidewalk, lampposts, stores, asphalted streets, etc). Si sta parlando di un risultato titanico, capace di sbalordire il pubblico, lasciandolo senza parole.

Roma: tutto è ciclico

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Tutto è ciclico sostiene Guillermo del Toro, dopo l’ennesima visione di Roma. Ecco perché Pepe ricorda le sue vite passate, esistenze in cui sostiene di aver fatto parte di classi sociali diverse, di aver lavorato nelle più disparate professioni. Le cose vanno e vengono, così la vita, la solidarietà e anche l’amore”. E spontaneamente ci ritorna in mente la scena finale, con i bambini che rischiano le proprie vite, con Cleo che, chissà per quale caso del destino, riesce a salvarli.

Il magistrale utilizzo del suono in Roma

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Secondo Guillermo del Toro, in Roma, la maggior parte della narrazione filmica viene trasmessa al pubblico non soltanto attraverso l’uso dell’immagine, ma anche tramite il suono, realizzato con maestria e precisione. “Se viene visto in una sala cinematografica dallo spettatore, quest’ultimo si accorgerà che il lungometraggio ha uno dei mix surround più dinamici di semprescrive il regista messicano in un tweet. “Si tratta di un dettaglio sottile, ma curato con cura meticolosa”.

Roma: dopo l’incipit, il significativo finale

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Se nell’incipit si poteva riconoscere l’intero senso di Roma, anche il finale non è meno significativo. L’immagine finale scrive Guillermo Del Toro sul suo profilo Twitter rima perfettamente con l’apertura: ancora una volta, terra e cielo. E solo Cleo è in grado di transitare tra entrambi. Come dimostra nella scena finale, solamente lei è in possesso della grazia necessaria. Il film si apre costringendo lo spettatore a guardare in basso, cercando di seguire un aereo”. Il film finisce e lo sguardo del pubblico è sempre fisso verso il cielo: l’aereo è sempre lì, ma è sempre lontano.

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