Oxygène: la spiegazione del finale del film Netflix con Mélanie Laurent

Per chi si fosse perso qualche passaggio, ecco la spiegazione del film Netflix con Mélanie Laurent.

Oxygène, il nuovo sci-fi uscito su Netflix per la regia di Alexandre Aja, ci porta faccia a faccia con una donna che si sveglia all’interno di una capsula criogenica e non sa come c’è finita né riesce a ricordare come si chiama. La protagonista, interpretata dalla talentuosa Mélanie Laurent, riesce a liberarsi a fatica dall’involucro che l’avvolge, tentando disperatamente di forzare l’apertura in modo da uscire prima che finisca l’ossigeno a sua disposizione.

Già regista di Crawl – Intrappolati (ma anche di Alta tensione e del remake di Le colline hanno gli occhi), il cineasta francese si cimenta stavolta con scenari claustrofobici e viaggi spaziali in una pellicola, sceneggiata da Christie LeBlanc, che innesca il dubbio fin dal primo fotogramma, tenendo alta la tensione grazie all’espressione sconvolta dell’onnipresente protagonista, coadiuvata dalla voce del computer di bordo (in lingua originale, quella dell’attore Mathieu Amalric). Il finale riserva un meraviglioso colpo di scena e, se siete tra quelli che si sono persi qualche passaggio durante la visione, allora cercheremo di aiutarvi a capire cosa succede. Prima di proseguire, però, vi segnaliamo che non faremo a meno di spoiler.

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Oxygène di cosa parla? La trama del film Netflix

Come accennavamo in apertura, il film ha perlopiù un’unica protagonista, che si sveglia all’interno di un’unità criogenica ad alta tecnologia simile a una bara, chiamata “Omicron”. Non ha memoria di chi sia o del motivo per cui si trovi lì. L’unica entità con la quale si interfaccia è un’intelligenza artificiale di nome MILO, che la informa del suo stato di salute e della percentuale di ossigeno rimanente. La donna tenterà in tutti i modi di rintracciare qualcuno, provando disperatamente a uscire e a cercare di ricordare chi è davvero.

Facendo una serie di domande a MILO e visionando le ricerche trovate in rete, scopre che il suo nome è Liz, che è una dottoressa genetica specializzata in criogenesi e che è sposata con un uomo di nome Leo. I pensieri che le passano per la testa sono tanti: inizialmente pensa di essere malata, poi di essere stata rapita, infine addirittura di essersi messa da sola in quella capsula. Quando, finalmente, riesce a parlare con la polizia, viene a sapere che non è sposata e che tutto ciò che fino a quel momento ha ricordato è frutto esclusivamente della sua fantasia e delle allucinazioni causate dallo stato in cui si trova.

Nella furia di cercare di contattare qualcuno in grado di aiutarla, Liz si interfaccia con una donna anziana che le consiglia non di non aprire la capsula, informandola che si trova nello spazio, a migliaia di chilometri dalla Terra, e che fa parte di una missione spaziale avente l’obiettivo di colonizzare un nuovo pianeta in cui la razza umana possa vivere, dal momento che una pandemia ha devastato la popolazione mondiale, la quale potrebbe estinguersi tra due generazioni.

Sempre dialogando con l’anziana donna Liz viene informata della menzogna propinata dalla polizia che, in accordo col governo, aveva tentato di depistarla, facendole interpretare i suoi ricordi come frutto di allucinazioni da stress per evitare la sua reazione e, in automatico, di smascherare l’intera operazione della cui fa parte a sua insaputa. L’obiettivo della polizia dunque, si intuisce bene, non è quello di salvarla bensì quello di attendere la sua morte per asfissia.

L’anziana al telefono cerca di venirle incontro, di darle dei consigli utili e giusti, tuttavia ci sono dettagli che occulta. Le dice che Leo, suo marito, è morto a causa della pandemia, che lei è in ipersonno da dodici anni e che qualcosa deve essere andata storta per essersi svegliata. La informa che uscire corrisponde ad andare incontro alla morte e che a breve le comunicazioni tra loro saranno interrotte, ma prima che ciò accada le dà una dritta per sopravvivere: riandare in ipersonno prima che l’ossigeno scenda al di sotto del 2%, perché se ciò accadrà allora non avrà più modo di risvegliarsi.

Il colpo di scena che stravolge il personaggio di Mélanie Laurent

Unendo tutti i pezzi del puzzle Liz riesce finalmente a trovare la risposta che cercava: è un clone di 12 anni. Nella sua testa ha vissuto, ha amato, è stata sposata; nella realtà non ha fatto altro che viaggiare in ipersonno. Leo, l’uomo che crede essere suo marito, esiste davvero anche nella sua dimensione: la donna si provoca dolore fisico al fine di ricordare e così facendo lo trova tra i tanti cloni che come lei viaggiano verso il nuovo pianeta. È vedendo il suo volto che nota un dettaglio piccolo ma essenziale: la mancanza di una cicatrice sulla fronte le indica che anche Leo è un clone e come lei avrà ricordi che la riguardano pur non avendola mai incontrata prima.
Illuminata finalmente dalla verità e con la consapevolezza che quelli sono i suoi ultimi istanti di vita, Liz registra un messaggio per Leo, quando all’improvviso ha un colpo di genio, d’un tratto si scopre legata all’esistenza, animata da un’insaziabile voglia di vivere, nonostante sia la copia di un’altra persona, nonostante tutto. Chiede dunque a MILO di iniziare la procedura per ritornare in ipersonno e, visto che con l’ossigeno rimasto non sopravvivrebbe al suo risveglio, chiede altresì di dirottare nella sua capsula l’ossigeno presente nelle altre andate distrutte. Già, perché in una delle scene più belle del film ci viene mostrata una panoramica dell’enorme navicella: un mosaico di celle criogeniche tutte incastrate tra loro, alcune delle quali hanno evidentemente avuto qualche incidente di percorso: sono infatti spalancate, con i cadaveri fluttuanti nello spazio, a dimostrazione che quei cloni non ce l’hanno fatta.

Sarà il loro ossigeno – l’intelligenza artificiale impiegherà ben 14.227 minuti per sbloccare la procedura e farlo convergere nella capsula della bioforma Omicron 267 (come viene identificata Liz) – a salvarla.

Chi è davvero Liz e come finisce Oxygène?

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Giunti a questo punto del film avrete già capito che Liz non è altro che il clone della dottoressa Elizabeth Hansen, ovvero l’anziana donna con cui la ragazza ha parlato. Nel clone, che pur vive e pensa a modo suo, si sono trasferiti anche i ricordi della vera Liz.
D’altro canto, quando la donna chiede a MILO cosa sia un Omicron lui le risponde che si tratta di “riproduzioni umane genetiche non contaminate progettate per propagare la razza umana su Wolf 10-61c” e non, come pensava la protagonista, delle capsule in cui anche lei si trova.

Metabolizzata questa informazione, Liz rivaluta in corsa la sua decisione e, come è chiaro nel finale di Oxygène, alla fine sopravvive. Tuttavia il suo viaggio è ancora assai lungo poiché, come ha detto MILO, la traversata spaziale che li condurrà su Wolf 10-61c richiede in totale trentaquattro anni e, come è chiaro, ne sono trascorsi ancora solamente dodici.

La scena finale del film Netflix ci mostra il clone di Leo (Malik Zidi) in piedi su una spiaggia, su quello che supponiamo sia il pianeta Wolf 10-61c. Liz gli si avvicina per abbracciarlo e questo ci fa pensare che entrambi sono sopravvissuti al viaggio, che si amano proprio come gli umani da cui sono stati clonati e, forse a differenza di quest’ultimi, magari riusciranno ad avere dei figli e popolare la nuova casa dell’umanità.

Non sappiamo, chiaramente, se ciò che vediamo è solo un sogno, un desiderio o un ricordo, ma ci fa piacere credere che alla fine si concretizzi.

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