Ovosodo: il significato del film di Paolo Virzì

"Che cosa dolce, crudele, ridicola la vita", recita la tagline del capolavoro di Paolo Virzì, un profondo e sensibile viaggio nelle emozioni del crescere, tra speranza e disillusione.

Ovosodo è rappresentato nel film di Paolo Virzì (in realtà è un rione del centro città) come un quartiere popolare di Livorno, di quelli che pullulano di vita verace e anche qualche brutto ceffo, da cui il piccolo Piero (Edoardo Gabbriellini), figlio di un galeotto e orfano di madre, cerca di emanciparsi alla ricerca di un posto nel mondo che sia un po’ più a misura delle sue ambizioni.

Abile nella scrittura e dall’animo sensibile, alla scuola media Piero viene agevolato dall’incontro magico con la professoressa Giovanna (Nicoletta Braschi, in uno dei suoi ruoli più intensi), grazie alla quale si appassiona alla letteratura e comincia a immaginare una vita diversa da quella che sembra già dipinta per lui.

Ma gli anni clou della formazione scolastica corrispondono anche a quelli del subbuglio ormonale e, complice l’amicizia con l’eccentrico Tommaso (Marco Cocci), Piero si trova vivere quel vortice di distrazioni necessarie a definire con più nitidezza il proprio percorso. E noi insieme a lui.

Ovosodo: alla ricerca di un posto nel mondo

Ovosodo gode di una scrittura accurata e sensibile, ricca di dettagli e sottile umorismo ma permeata – allo stesso tempo – da una dolce amarezza di fondo che rimanda lo spettatore direttamente alla seconda accezione del significato del titolo, riferendosi a quel magone che dà l’impressione di avere un nodo fra gola e bocca dello stomaco che, proprio come un uovo sodo deglutito intero, sembra non voler andare né su né giù. Una sensazione provocata dalle aspettative deluse, insite nella crescita ma anche frutto di un mondo un po’ ingiusto, che sembra spesso agevolare lo status sociale elevato e la superficialità caratteriale, relegando i più poveri di denaro e ricchi di sentimenti a ruolo di spettatori inermi dei successi altrui.

Ma il film di Paolo Virzì, senza mai perdere i toni leggeri della commedia, va ancora più in profondità, mostrando come la vita sia in grado di dare e togliere in egual misura, in una sorta di legge omeostatica dell’Universo in cui esiste sempre l’altra faccia della medaglia, nel bene e nel male. Ed essere felici è comunque possibile, anche senza liberarsi della malinconia.

Un coming-of-age tutto italiano

Ovosodo riesce a non trascurare nessun elemento legato alla parola crescita: c’è l’amico che tanto si ammira ma a cui poi, in fondo, scopriamo di avere poco o nulla da invidiare, c’è il mentore che cambia la vita – nonostante il suo grande bagaglio di sofferenza – c’è l’amore tossico e quello che arricchisce e ripara ma che si riesce a riconoscere solo quando si è pronti a riceverlo, c’è chi si accontenta delle briciole o delle apparenze, arrendendosi all’insoddisfazione e, soprattutto, c’è chi ce la fa e chi no, perché ha ceduto alle sconfitte. Sullo sfondo di una famiglia che non sempre è punto ideale di partenza e ritorno ma che inevitabilmente ci definisce.

Nonostante l’inevitabile sensazione di “fregatura“che spesso accompagna l’esordio nella vita adulta, il film di Virzì insegna che ciò che davvero conta ha poco o nulla a che fare con quelle Grandi speranze senza volto in cui si identifica necessariamente la realizzazione personale (bellissimo e significativo in questo senso il rimando al romanzo di Dickens, nel racconto ai colleghi in fabbrica) ma che la felicità assomiglia più al non perdere se stessi in qualunque luogo o situazione ci si trovi e nell’avere il privilegio di amare ed essere amati, magari iniziando una nuova vita laddove un’altra è finita ma può ancora essere onorata.

Fra disillusione e speranza, Ovosodo – a 25 anni di distanza dal suo debutto – resta una delle pellicole italiane più attuali e riuscite (la più riuscita?) nell’affrontare il tema del diventare grandi con tutto il suo bagaglio di emozioni e turbamenti, riportando costantemente lo spettatore all’importanza vincolante delle origini che faranno per sempre parte della propria identità, ovunque si decida di andare.