Nope: spiegazione e analisi del film di Jordan Peele

Nope, terzo film da regista per Jordan Peele, è incrocio di generi, storia di due fratelli, affresco dalla carica inclusiva e politica nonché riflessione su cosa si guarda e come si guarda. ALLERTA SPOILER!

Nope è il terzo film da regista per Jordan Peele, da Scappa – Get Out a Noi autore tra i più apprezzati e innovativi del cinema americano contemporaneo, ben oltre il perimetro di genere (horror). L’uscita italiana del film è prevista per l’11 agosto 2022, distribuzione Universal Pictures Italia, nel cast Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun, Brandon Perea e Michael Wincott.

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Jordan Peele esercita un controllo totale sul film, lo scrive, lo dirige, lo produce, basterebbe questo per capire che il tipo di ambizione autoriale alla base di Nope ci porta in una direzione altra rispetto allo standard dell’horror contemporaneo. Qui c’è qualcosa in più, a livello di ambizioni, di resa tecnica, di mix di generi. Capire bene cosa vuole raccontarci Jordan Peele con Nope può essere utile per affrontare al meglio l’esperienza estetica, narrativa ed emozionale di un film nato e pensato per la sala. E per teste pensanti, che però sappiano anche come divertirsi. Ora, per cominciare, va detto che il cinema di Jordan Peele in generale, Nope in particolare, partecipano di quattro elementi distintivi che meritano di essere isolati. Eccoli.

  • Un substrato di genere: qui horror, sci-fi, western.
  • Una dinamica emotiva importante, il rapporto da ricostruire tra i fratelli Keke Palmer e Daniel Kaluuya.
  • Un sottotesto politico, generalmente legato all’analisi dell’esperienza afroamericana e delle minoranze in generale.
  • Una sintesi molto personale delle varie influenze, che serve a regalare alla storia coerenza e unicità: qui è una riflessione sullo spettacolo.

Nope: di misteri nel cielo, di minoranze non riconosciute e poco rappresentate

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Otis Jr. “OJ” Haywood (Daniel Kaluuya) e sua sorella Emerald “Em” Haywood (Keke Palmer) ereditano il ranch del padre dopo la morte di quest’ultimo, colpito a morte da un nichelino caduto dal cielo (!). L’attività di famiglia è l’addestramento di cavalli, generalmente usati da Hollywood o dalla televisione. Per gli Haywood è un’attività remunerativa, anche se poco soddisfacente. Il mondo dello spettacolo non è un’isola felice al riparo dalle iniquità e dalle discriminazioni che attraversano la società americana. Per questo, i due si trovano relegati in una posizione di subalternità da cui è molto complicato liberarsi. Per gli Haywood è una “persecuzione” di famiglia, Nope disegna infatti un passato illustre per i protagonisti, discendenti dell’ignoto fantino protagonista di The Horse Motion (1878), esperimento di fotografia in movimento considerato da molti un’anticipazione della moderna esperienza cinematografica.

Il ranch di OJ e Em è dalle parti di quello di Ricky “Jupe” Park (Steven Yeun), ex-attore bambino oggi responsabile di una spelacchiata attrazione western nell’angolo più polveroso e periferico di tutta la California. La vita dell’uomo è segnata da un trauma sperimentato sul set della sitcom di cui è stato, un tempo, giovane coprotagonista. Si chiamava Gordy’s Home e Gordy era uno scimpanzè. Un giorno Gordy perde la pazienza, con conseguenze sanguinose e raccapriccianti per tutti o quasi; il modo con cui Jordan Peele porta lo spettatore dentro la tragedia è uno dei capitoli horror più spaventosi degli ultimi anni.

OJ, Em e Jupe notano subito che c’è qualcosa che non va. Misteriosi cali di corrente, la paura apparentemente immotivata dei cavalli, una strana nuvola su nel cielo, ferma allo stesso punto da un’eternità. Lì dietro si nasconde qualcosa, una minaccia aliena affamata di vite umane e dal curioso modus operandi. OJ e Em non possono evitare di affrontare la situazione; la folle idea di fare soldi (e non solo) lasciando che a catturare l’UFO sia l’obiettivo di una macchina da presa li spinge a chiamare con loro Angel (Brandon Perea), esperto di cose tecnologiche, oltre al leggendario direttore della fotografia Antlers Holst (Michael Wincott). Sbrogliata sbrigativamente la sinossi, adesso cerchiamo di capire come, date queste premesse, Nope affronti i suoi principali nodi tematici. Un primo indizio ce lo fornisce la composizione del cast. Abbiamo due afroamericani, OJ e Em, lei anche attratta dalle donne. Jupe, di origini asiatiche. Angel, latino. Con l’eccezione del veterano Holst, il film porta avanti la sua storia disegnando un’immaginaria mappa tematica delle minoranze. Minoranze nella società, sottorappresentate e sottodimensionate anche nel mondo dello spettacolo.

Il film usa i generi tradizionali del cinema americano per mettere le minoranze al centro del discorso

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Come si è detto in precedenza, il discorso messo in piedi da Nope viaggia su quattro binari: un impasto di genere, un cuore emotivo, una riflessione politica, un tema unificatore. Parlando di genere, Nope intreccia un bel numero di influenze e suggestioni. La minaccia extraterrestre “chiama” un universo di riferimenti sci-fi, che Jordan Peele rielabora, sporcandoli. Fantascienza ibrida e spuria, contaminata da una robusta iniezione di paura. Il film ha un abito cucito su misura che è quello dell’ horror d’atmosfera che per ideologia e vocazione non accetta di affidarsi esclusivamente allo shock fisico. La paura va a braccetto con il mistero e un tono generalmente allusivo e molto molto ambiguo, sostenuto e accompagnato da un lavoro interessante sul sonoro. Il pericolo immaginato, proprio in mancanza di contorni tangibili, fa più paura. Una vecchia regola che funziona sempre.

Tuttavia, lo scheletro di genere cui Nope si appoggia necessita di ulteriori (e felice) suggestioni. Decisiva nell’architettura simbolica del film una terza fonte di influenze, radicale e sovversiva, che nel percorso autoriale di Jordan Peele fino a questo momento era rimasta in ombra ma ora emerge con tutta una carica di sottintesi politici: il western. C’è western nei fondali polverosi del film, nello spettacolo-baracconata messo in piedi da Jupe, nel senso di wilderness che permea l’umore della storia e dei personaggi, nella sfida all’ultimo proiettile ingaggiata con il nemico alieno. Ma il western è per tradizione un genere “bianco”, il santuario della star più luminosa ma anche più controversa e reazionaria (John Wayne), mentre qui sono tutti o quasi minoranze. Appropriarsi di modalità narrative (western, horror, sci-fi) generalmente precluse alle cosiddette voci marginali per consentire a queste stesse voci di costruire un proprio percorso, una propria identità, riscatto e visibilità, è il grande sottotesto politico di Nope. Ma c’è di più.

Famiglia e spettacolarità, con echi di Spielberg e una chiara volontà politica

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Quel di più è un fondo sentimentale, emotivo. In effetti, il grande affresco fantascientifico su famiglia, padri scomparsi e fratelli che devono ricostruire un rapporto sfilacciato dal tempo, modellato su un fondo altamente spettacolare, rilascia un inconfondibile sapore spielberghiano. Ma quello di Nope è uno Spielberg filtrato dalla sensibilità di Jordan Peele, un autore per cui tutto, assolutamente tutto, è politica. Anche la storia intima di una famiglia. Daniel Kaluuya e Keke Palmer sono i discendenti di un pioniere del cinema, pura aristocrazia del mezzo. Pure, in quanto afroamericani, sono sempre stati tenuti ai margini. Capiscono che nascosto nel cielo sopra casa c’è un grande pericolo, ma anche una grande opportunità.

Tentare di liquidare il nemico con un attacco frontale sarebbe controproducente. In questo modo si sarebbe mossa, sbagliando, la produzione hollywoodiana tipo, fuochi d’artificio e retorica patriottica. I due protagonisti sono più svegli di così. Loro, si accontentano di venire a patti con il nemico. Dopo aver capito il modo in cui si muove il mostro, decidono di sventolargli davanti una grande esca. Per costringerlo a uscire allo scoperto e una volta filmato, offerto all’attenzione del pubblico di tutto il mondo, ricavarne immensa popolarità e un posto d’onore nella hall of fame dei grandi pionieri del cinema. C’è la memoria di un avo dimenticato da riscattare, illuminando una parentesi gloriosa nella storia di famiglia. Ragionare sul cinema e la sua storia è un modo per ricordarci che questa storia è sempre aperta e inclusiva, certo non la prerogativa di pochi. Da qui si parte per il tema decisivo del film, riassumibile nel motto tutto è spettacolo.

Nope e il significato dietro al film di Jordan Peele – Cosa si guarda, come si guarda

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Ricapitolando. Nope, fantasia horror dal cuore di fantascienza (o viceversa), si serve di suggestioni e convenzioni western per riscrivere la storia del cinema in maniera più aperta e inclusiva, coniugando contenuti, elevata spettacolarità una sentita cronaca familiare, il tutto nel segno della grande eredità spielberghiana. Il nucleo tematico che dà coerenza e organicità a questa complicata architettura è un’ironica riflessione sullo spettacolo, sull’attrazione che lo spettacolo (cinema, tv, musica etc.) esercita su ciascuno di noi e sui pericoli di una visione senza controllo. Lo spettacolo, in Nope, che è senza ombra di dubbio anche un film sul cinema, è dappertutto.

Lo spettacolo è il film, lo spettacolo è il privato di OJ (il nome non vi ricorda qualcosa?), il privato di Em, il lavoro di entrambi. Lo spettacolo è la prigione dorata del povero Jupe, l’unico a uscire indenne fisicamente (solo fisicamente) dal massacro sul set di Gordy’s Home perché lo scimpanzè che si ribella, metafora brutale e violentissima del livello di disumanizzazione operato nei confronti delle minoranze dal sistema bianco, reazionario e razzista, riconosce nel timido ragazzino di origine asiatica un compagno di emarginazione. Ma perché ci sia uno spettacolo c’è bisogno di un pubblico. Non è importante soltanto quello che succede davanti ai nostri occhi, spiega Jordan Peele, molta parte la gioca anche l’invadenza del nostro sguardo e i limiti etici che filtrano la nostra visione. Incidentalmente ma non troppo, la terribile creatura aliena che crea più di un grattacapo ai personaggi di Nope mangia soltanto chi si ferma a guardarla.

Tutti guardano qualcosa, in Nope, tutti rielaborano l’oggetto della propria visione, ma le convenzioni utilizzate per addomesticare lo sguardo non sempre sono quelle corrette. Il mostro è il male, la vita, la morte, la grande occasione. Il segreto per uscirne vincitori sta, suggerisce Jordan Peele, nel modo con cui si sceglie di (non) guardarlo. Jupe sbaglia, perché cerca di imbrigliare i misteri del cosmo in uno spettacolo per famiglie con tanto di rodeo e bibite ghiacciate un tanto all’ora. Il reporter di TMZ cerca il facile gossip e partorisce solo la pornografia della visione senza limiti; ne pagherà le conseguenze. La ricerca assolutamente autoreferenziale e narcisistica della ripresa perfetta porta Holst fuori strada.

Nope come finisce? La spiegazione del finale del film horror

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Restano solo Em e OJ con l’aiuto di Angel, nomen omen, gli unici che capiscono e accettano le regole del gioco. Gli unici che scelgono di non guardare il mostro in faccia ma di profilo, che inseguono il profitto, ma anche un grado di soddisfazione sentimentale (e politico), che non cedono al narcisismo. Se a questo aggiungiamo che Jordan Peele è il regista che, al momento di girare il suo secondo film, Noi, sceglie di ridursi il budget pur di conservare intatta la propria libertà creativa, comprendiamo che Nope, spettacolo di genere moderno e inclusivo, politico per vocazione e interessato a ragionare su come e cosa si debba guardare, nel suo cuore custodisca anche una componente fortemente autobiografica. Autobiografia e libretto d’istruzioni.