La sedia della felicità: il significato del film di Carlo Mazzacurati

La sedia della felicità è una bella favola che acquista significato di scena in scena e questo perché la felicità è una materia complessa da raccontare.

Tutto parte da un romanzo (intitolato Le dodici sedie del 1928 di Il’ja Il’f e Evgeni  Petrov) regalato dalla sorella del regista, studiosa di letteratura russa, chiuso in un cassetto; parte da ciò l’idea alla base dell’ultimo film di Carlo Mazzacurati, La sedia della felicità è definito da molti una sorta di opera testamentaria. Al centro del film c’è il tesoro nascosto in una delle dodici sedie di una ricca signora veneta, deceduta in carcere, vendute ad un’asta. Questo è il “casus belli” da cui ha inizio la storia di Bruna, l’estetista (Isabella Ragonese) che ha avuto notizia del tesoro dalla defunta, e di Dino, un tatuatore (Valerio Mastandrea) che ha il negozio di fronte a Bruna e l’aiuterà nella ricerca.

cinematographe.it, La sedia della felicitàLa sedia della felicità: un incontro fortuito che cambia la vita

Si incontrano in una giornata di lavoro qualunque: Bruna riceve la visita di un fornitore senza scrupoli e in suo soccorso arriva Dino e questo sarà solo il primo incontro. Inizia così la loro avventurosa ricerca della sedia che contiene il tesoro misterioso e ovviamente non sarà facile.

La sedia della felicità prende dalla novella russa la struttura e l’impianto picaresco tanto importante anche per la storia di Bruna e Dino; e si resta affascinati da questi due personaggi che di eroico non hanno proprio nulla, da questi ultimi a cui capitano di tutti i colori, eppure nonostante questo si affidano l’uno all’altra. Bruna e Dino sono in crisi, la vita amorosa non va bene come il lavoro, e per l’operoso veneto questo è un enorme problema. Il Nordest di Mazzacurati è il solito del suo cinema: spinto dal desiderio di produrre, produrre, produrre, ossessionato dal danaro, è qui ritratto nel momento della crisi economica; ma comunque in Mazzacurati non c’è il dramma bensì la tensione verso il riscatto. Sarà forse perché Bruna e Dino non sono veneti, sarà che si trovano lì quasi per caso, eppure i due forse per il loro carattere lunare e fiabesco, per la loro inclinazione ad un “dolce” fallimento – lei viene lasciata dal fidanzato, lui ha un matrimonio fallito alle spalle -, si rimboccano le maniche alla ricerca di un tesoro che potrebbe anche non esistere.

cinematographe.it, La sedia della felicitàLa sedia della felicità: un gruppo di “ladri arrangiati” poco all’altezza del loro “mestiere” che puntano a ben altro

Il tesoro nascosto all’interno alla sedia ingolosisce più di una persona: oltre a Bruna e Dino, c’è anche Padre Weiner (Giuseppe Battiston) che ad un certo punto si allea con la coppia per un fine comune. Incredibilmente nessuno vuole lasciare senza lottare la propria sedia e il film di Mazzacurati si fa racconto rocambolesco di un gruppo mal assortito che si batte e si dibatte per migliorare la propria vita anche a costo di fare qualcosa di illecito.

Come spesso capita nella commedia italiana i ladri del regista sono spesso “arrangiati”: Dino mentre cerca di trovare una delle sedie, in possesso di una ristoratrice cinese, si imbatte nel figlio piccolo, febbricitante di quest’ultima, si dimentica della sua missione, ricoprendo quel ruolo di padre che non gli è permesso ricoprire nella vita. Il personaggio di Dino acquista ancora di più un’aura di delicatezza e genuinità che rendono comprensibile l’intero suo personaggio, buono, ingenuo, a tratti incapace di gestire le situazioni e i momenti ma fedele alleato e compagno amorevole di Bruna.

cinematographe.it, La sedia della felicità La sedia della felicità: tutto ciò che c’è dietro al tesoro, nascosto dentro ad una sedia

Appare chiaro fin da subito che la vera felicità per i personaggi di questa storia non sta nel tesoro, o nel viaggio che li porta ad esso, ma in qualcosa di ben più profondo. Bruna e Dino, a poco a poco, diventano una cosa sola, viaggiano per unirsi e diventare l’una il completamento dell’altro. Lei è, come racconta la stessa Ragonese in più di qualche intervista, è una sorta di cartone animato, una di quelle figure femminili raccontate da Miyazaki, tutta brio e colori, nonostante intorno a lei tutto crolli, lui invece è, come è accaduto spesso nella filmografia di Mastandrea, uno un po’ “storto”, sbagliato, uno che almeno all’apparenza sembra un vinto ma poi, alla fine, sovvertendo i pronostici, anche per il suo fare un po’ burbero, riesce a conquistare e a risultare un vincente.

La felicità per loro sta proprio nel sorriso perso che riescono a donarsi, nel viaggio fatto a due che si fa sempre più complicato perché come in tutti i voli picareschi la riuscita non è immediata. Di sedia in sedia – sono state vendute singolarmente – Bruna e Dino incontrano personaggi assurdi, paradossali, camminando dal Veneto al Trentino, dal mare (Iesolo) alla montagna (le Dolomiti), disegnando da una parte un’istantanea di come possa essere geograficamente vario, antropologicamente complesso tra padri, maghi (Kasimir, interpretato da Raul Cremona) e pastori di montagna, il Nordest, dall’altra come possa essere intensa e profonda l’intesa tra due anime pure.

cinematographe.it, La sedia della felicitàLa sedia della felicità: una favola del Nordest che punta a raccontare i buoni sentimenti e la ricerca della felicità

La sedia della felicità è una bella favola che acquista significato di scena in scena e questo perché la felicità è una materia complessa da raccontare. Mazzacurati non la mostra subito, la dosa, la rende unica possibilità per quell’uomo e quella donna così folli e paradossali che possono solo camminare al di là delle Dolomiti insieme. Poco importa a quel punto l’aver trovato o meno il tesoro, la sedia passa in secondo piano, Bruna e Dino capiscono di essere loro il centro di tutto tra quelle montagne, in fuga dai due fratelli pastori – creatori di situazioni surreali e divertenti -, di essere fulcro e scopo.

Mazzacurati con La sedia della felicità realizza un film a tratti assurdo (la comparsa di un orso, i poteri di Padre Weiner) che si allontana dal suo modo di fare cinema eppure rientra perfettamente in esso, che fa sorridere e commuovere con una storia d’altri tempi e con una delicatezza che è più vicina ai racconti per bambini che a quella degli adulti.