Il corriere – The Mule: la storia vera che ha ispirato il film di Clint Eastwood

L'incredibile storia vera di Leonard Sharp, innocuo floricoltore e veterano di guerra che alle soglie degli 80 anni diventa corriere della droga per El Chapo, sfuggendo per un decennio ai controlli della polizia.

Iniziamo da un’osservazione filmografica: negli ultimi dieci anni, Clint Eastwood ha realizzato ben dieci film; e, di questi dieci, otto sono tratti da storie vere. Changeling e Invictus, J. Edgar e American Sniper, Sully e Il corriere: il buon Clint, in questa nuova fase della sua carriera, crede fortemente nell’impatto del reale sul cinema, nella rielaborazione di eventi di cronaca che si fanno metafora della condizione dell’uomo contemporaneo.

Il corriere – The Mule, che sembra un’opera testamentaria (ma si diceva la stessa cosa di Gran Torino, 2008), racconta una storia tanto paradossale quanto vera, che immagineremmo frutto della acuminata penna di un romanziere o di uno sceneggiatore e che invece deriva da un articolo del giornalista Sam Dolnick – The Sinaloa Cartel’s 90-Year-Old Drug Mule – scritto per il The New York Times nel 2011, i cui diritti vennero acquistati nel 2014. Una vicenda a suo modo di riscatto, di riaffermazione e di coraggio, di cui ripercorriamo le tappe principali.

Il corriere – The Mule: i fiori della guerra, la guerra dei fiori

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Il Corriere – The Mule: leggi qui la recensione del film di Clint Eastwood

Leonard Sharp (che nel film diventa Earl Stone) è il classico insospettabile, non solo per una questione d’età: nato nel 1924 a Michigan City, resta nell’anonimato fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando viene arruolato e combatte – fra le altre cose – anche nella Campagna d’Italia (intrapresa dall’America nel biennio 1943-1945 per sconfiggere il fascismo). Una partecipazione che, al termine del conflitto, gli farà ottenere la Bronze Star Medal per i suoi atti di coraggio, oltre naturalmente ai trattamenti speciali in quanto veterano di guerra. Una curiosità: nella pellicola il protagonista è sì un reduce, ma della Guerra di Corea; storicamente chi ha combattuto in Corea viene spesso dimenticato, se messo a confronto con chi ha partecipato alle Guerre Mondiali. Perché questa discrepanza, in fase di sceneggiatura? Probabilmente per enfatizzare il senso di abbandono e il fallimento di Earl, per giustificare la sua anomala decisione.

Della maturità di Sharp sappiamo poco: rientrato negli States si sposò e si separò nel giro di pochi anni (nel film il matrimonio dura dieci anni), pare divenne proprietario di una piccola compagnia aerea che andò in bancarotta e, soprattutto, intraprese una florida attività di floricoltura. Fra le tappe importanti della sua attività lavorativa spiccano in particolar modo la creazione di un fiore, il Brookwood Ojo Poco (registrato nel 1994 e grazie al quale ottenne svariati riconoscimenti), e l’approdo alla Casa Bianca durante l’amministrazione di George H.W. Bush. È nel giardino antistante la stanza ovale che Sharp, come premio per i propri trionfi, avrà il privilegio di piantare alcune delle sue creazioni.

Il corriere – The Mule: dalle emerocallidi al narcotraffico

Il corriere – The Mule Cinematographe.itLa storia, che fin qui sembra quella di un carneade di successo, prende tuttavia una brutta piega. Agli inizi dei 2000 l’impero crolla, i suoi cataloghi di emerocallidi – le piante ornamentali che gli avevano dato notorietà – vendono sempre meno, e ai convegni Sharp si scontra con un nuovo mercato col quale non si riconosce: internet. Per quanto sia difficile stabilire con certezza le tempistiche esatte di questo declino, la cronaca racconta che attorno al 2001 l’ormai 80enne ex-orticoltore entra in contatto nientepopodimeno col temibile cartello di trafficanti messicani di Sinaloa, nel periodo in cui è coordinato dallo spietato El Chapo.

Sull’origine di questo inaspettato collegamento film e storia vera differiscono: nella pellicola il protagonista viene avvicinato da un invitato al matrimonio della figlia, venuto a conoscenza delle sue difficoltà economiche; nella realtà pare che a procurargli il nuovo lavoro sia stato uno dei fiorai che lo accompagnavano nei suoi viaggi. Sia come sia, Sharp accetta e diventa incredibilmente un corriere di denaro sporco e di droga. I narcotrafficanti gli affidano carichi di cocaina che variano dai 100 ai 300 chili, da trasportare perlopiù in Michigan (spesso a Detroit, città in cui era cresciuto). Il guadagno è altissimo: mille dollari per ogni chilo trasportato.

Il corriere – The Mule: la leggenda di El Tata

Il corriere – The Mule Cinematographe.itNon è dato sapere quanto Leo Sharp abbia incassato negli anni della sua attività criminale. Ma, se ci si domanda il motivo per cui abbia intrapreso questo percorso, la risposta potrebbe risiedere nella volontà di un riscatto sociale e umano che gli era stato improvvisamente negato e alla cui privazione non riusciva a rassegnarsi. Grazie ai proventi dei suoi viaggi Sharp ebbe modo di riacquistare il terreno che gli era stato pignorato, comprare l’auto dei suoi sogni (il pick-up di lusso Lincoln Mark LT) e concedersi diverse vacanze alle Hawaii. Ma, dopo aver eluso i controlli per dieci anni, Sharp viene arrestato nell’ottobre del 2011. L’agente dell’agenzia federale antidroga DEA Jeff Moore (nel film Colin Bates) lo intercetta nel settembre dello stesso anno, mentre chiacchiera del più e del meno con un trafficante che lo chiama Tata (nonno, in spagnolo). La leggenda di El Tata si conclude sulla Interstate 94, sulla strada che collega Chicago a Minneapolis.

Al momento del fermo, che la polizia gestisce come un normale controllo ben sapendo tuttavia chi ha di fronte, il nostro (anti)eroe cerca di confondere le acque puntando sulla sua non più giovane età: agli agenti parla dei fiori, di un amico che sta andando a trovare e delle chiavi del bagagliaio che non ricorda di avere con sé. Una volta forzata la serratura, le forze dell’ordine trovano il tanto agognato tesoro: 105 chili di cocaina. Al processo Sharp non cerca in alcun modo di difendersi e non collabora alle indagini sul cartello messicano, dichiarandosi colpevole – nonostante la difesa cerchi di appellarsi all’infermità mentale e alla circonvenzione di incapace – e venendo così condannato a tre anni di carcere. Ne sconta solo uno, durante il 2013; i restanti due, considerate le deteriorate condizioni di salute, li passa a casa, morendo poi nel 2016 all’età di 92 anni.