Il female gaze al cinema è un atto di resistenza. Storie ed esempi della rivoluzione femminile
Un approfondimento alle origini del female gaze, con film ed esempi che fanno capire come sta cambiando sempre di più lo sguardo femminile nel mondo cinematografico.
Lo sguardo non è mai neutro, al suo interno ci sono tutti i rapporti di potere, i processi di rappresentazione che hanno effetti reali su tutto e anche sulla percezione delle figure femminili nella cultura. Per decenni il cinema ha raccontato le donne attraverso uno sguardo che non apparteneva a loro. Personaggi femminili costruiti come desiderio, ornamento, funzione narrativa al servizio dell’uomo: è il dispositivo che la teorica Laura Mulvey ha chiamato male gaze, formulandolo nel saggio Visual Pleasure and Narrative Cinema. Secondo la studiosa, il cinema classico istituisce uno sguardo maschile normativo, dominante che oggettifica, semplifica, colpevolizza il corpo femminile e lo rende funzionale alla logica del desiderio e del controllo. Negli ultimi anni, però, qualcosa si è spostato e si è aperto uno spazio nuovo, quello del female gaze, uno sguardo che non si limita a “mostrare le donne”, ma restituisce loro la soggettività. Si tratta di una pratica estetica, politica, etica, capace di restituire complessità e soggettività a tutte donne.
Il female gaze: significato di un atto politico

La rappresentazione della violenza sulle donne costituisce uno degli ambiti in cui il male gaze si è storicamente radicato con maggior forza, proponendo una visione che oscilla tra spettacolarizzazione e punizione simbolica. Tale violenza è ancora strutturale, sistemica. Raccontare la donna e il corpo femminile in modo rispettoso, complesso, situato, è un gesto di resistenza che scardina secoli di rappresentazioni tossiche. Il female gaze sposta il centro della narrazione della superficie al vissuto, dà voce all’esperienza interna, alle emozioni e alle percezione che una donna ha del proprio corpo.
Il female gaze emerge come gesto di rottura, non si tratta di INVERSIONI DEI RUOLI, ma di un NUOVO MODO di COSTRUIRE IL SENSO. Interviene proprio nel punto in cui il male gaze tende a spettacolarizzare la violenza femminile trasformandola e amplificandola in intrattenimento. Registe, sceneggiatrici scelgono come rappresentare il corpo, come guardarlo, in che modo capirlo e ridisegnarlo, non come immagine da consumare ma come realtà complessa. Sovvertono le logiche di controllo e politicizzano l’immagine (mostrare la violenza dal punto di vista della donna significa sottrarre la rappresentazione a secoli di iconografia patriarcale e restituire una forma di riconoscibilità che ripara), pensiamo al film di Coralie Fargeat, Revenge.
La donna ripresa attraverso gli occhi femminei non è mai uno spettacolo, bensì una persona che esiste e vive, parla, mangia, dorme, non soltanto un oggetto erotico e eroticizzante.
Lo sguardo cambia e così cambia tutto

Se Mulvey nel suo saggio mostra come la grammatica filmica tradizionale rispecchi strutture patriarcali, il female gaze vuole smontare lo sguardo. Per questo cambiare lo sguardo significa cambiare la cultura, ciò che sottrae la donna all’oggettificazione è già atto politico.
Film come quelli di Celiné Sciamma che fa del corpo uno spazio di percezione, Chantal Akerman che mette in scena la quotidianità femminile come critica strutturale al patriarcato, Greta Gerwig che mostra la soggettività emotiva come chiave narrativa, Julia Ducournau che porta sullo schermo un cinema viscerale, disturbante, orrorifico che usa il corpo in ogni sua parte, Alice Rohrwacher, Valeria Golino e Laura Bispuri che narrano donne complesse, fuori dagli archetipi, cambiano la narrazione e quindi danno nuove possibilità. Pensiamo alle donne che dimostrano di esistere, desiderare, volere (e non essere volute), viste attraverso un occhio che non le divora ma semplicemente le osserva. Pensiamo alle donne che iniziano a prendere il loro posto nel mondo, che, anche se vittime, prendono tutta la forza che hanno in corpo e combattono, assieme alle altre sorelle. Queste sono storie che solo uno sguardo “partecipato” e partecipante, non integrato a quel sistema patriarcale, può narrare, sono sentimenti che solo chi li ha sentiti, provati, può portare sulla carta.
Contro la violenza e il controllo sul corpo. Sul corpo come luogo politico

Uno dei cardini della dominazione patriarcale è proprio il controllo del/sul corpo femminile, corpo che è uno dei primi luoghi in cui la violenza si inscrive simbolicamente. Il female gaze smonta ogni cosa. Non più donna osservata, ma persona che osserva e agisce.
Il corpo non è un dato naturale, ma un campo di forze, un luogo in cui si giocano le relazioni tra disciplina, desiderio, identità.
In Raw e Titane, Julia Ducournau inscena il corpo come entità mutante, non conformabile. Non c’è soltanto uno sguardo ma proprio una fisiologia sovversiva: la carne si emancipa dalla normativa sociale. Come il body horror di Julia Ducournau, Fargeat, con il suo cinema, il corpo non è mai oggetto, ma materia viva e instabile. The Substance radicalizza questa concezione introducendo temi di trasformazione, di duplicazione e auto-distruzione legati alle pressioni estetiche e performative sulla donna contemporanea. Il corpo – in Revenge reclama lo spazio da cui è stato espulso, ribaltando i codici del genere e riscrivendo il ruolo della vittima nel cinema dell’orrore – non è solo luogo dell’eccesso, ma è campo di battaglia sociale su cui si imprimono norme, aspettative, violenze.
Céline Sciamma racconta il corpo come superficie del sentire, che sono in trasformazione. Per Alba Rohrwacher il corpo è radicalmente comunitario, è inserito e inscritto in un ecosistema sociale e spirituale; è corpo terrestre, irriducibilmente politico.
Diventa per Valeria Golino e Laura Bispuri zona di conflitto e possibilità, dove la soggettività si ridefinisce contro modelli imposti.
Sulla soggettività, il desiderio e la complessità emotiva: il female geza nel cinema

Il desiderio femminile è stato storicamente narrato, come derivato o speculare. Il female gaze rifiuta la grammatica erotica patriarcale, introduce un desiderio autonomo, non filtrato dallo sguardo maschile, una rappresentazione erotica non finalizzata al piacere dello spettatore, ma alla verità dell’esperienza, un’intimità che non esibisce ma rivela. Si tratta quindi di un terreno politico, non più un dispositivo di controllo, ma di autoaffermazione. Per Greta Gerwig, con Lady Bird e Little Women, il desiderio non è erotico in senso stretto, è desiderio di mondo, di autodeterminazione, di narrazione, una forma di desiderio che afferma la donna come soggetto della propria traiettoria.
Per citare la fenomenologia di Viavian Sobchack, il female gaze produce una soggettività attraverso l’esperienza sensoriale. Sciamma esplora la soggettività attraverso gesti minimi e non detto. Bispuri racconta donne che vivono identità in transizione, mai ridotte a funzioni narrative. Rohrwacher costruisce donne plurali, radicate in termini non lineari.
Tali registe costruiscono costellazioni emotive complesse che hanno cambiato per sempre la narrazione del femminile e il cinema tout court.
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Female gaze: sorellanza, intimità e autonomia nei film

La solidarietà è una vera e propria pratica politica e una sorta di contro-narrazione che è molto presente in queste cineaste che fanno del comune sentire la grammatica dei sentimenti e dello stare al mondo. In Sciamma, ad esempio, le relazioni tra le donne sono luoghi di costruzione identitaria; il suo cinema è rivoluzionario, sovverte ii rapporti di potere e porta sullo schermo una prospettiva femminista. Si fa carico di narrazioni che sembrano non aver avuto finora diritto di esistenza tanto nel mondo filmico, quanto in quello letterario. Le sue donne si abbracciano, si sostengono, si guardano, ci sono le une per le altre. Sono vere e proprie sorelle, rappresentano storie spesso taciute, dimenticate, di persone marginalizzate ed escluse, che offrono una prospettiva diversa sulle cose, un punto di vista altro rispetto a quello dominante.
Per Rohrwacher, Bispuri, Golino le comunità sono spesso fatto da donne che resistono alle logiche patriarcali e per farlo si occupano le une delle altre, si tengono strette per procedere nel loro viaggio.
Chiaramente questa sorellanza diventa intimità che si costruisce non come lettura voyeuristica e non è funzionale al desiderio dello spettatore (maschio), intesa come atto di cura e di riconoscimento.
Julia Ducournau: il corpo come linguaggio e come rivoluzione

Il cinema di Ducournau rappresenta uno dei contributi più estremi del cinema contemporaneo per quanto riguarda il female gaze corporeo e politico. In Raw e Titane, il corpo femminile è luogo di metamorfosi, non di controllo, non viene disciplinato, sfugge alle norme. Si tratta di una rappresentazione non moralistica delle trasformazioni e la carne è usata come linguaggio di identità. Le protagoniste non sono mai vittime passive, ma corpi che resistono, mutano, riscrivono sé stesse.
La violenza è inscritta nei progetti di mutazione, emancipazione e identità. Il suo è un gaze “viscerale” e le sue opere spostano il centro emotivo nel corpo che sente, restituiscono potenza al desiderio femminile e mostrano la violenza come tensione politica, non come spettacolo.
Ducournau (di)mostra che lo sguardo femminile può essere/è perturbante, disturbante e radicale.
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Céline Sciamma, un cinema femminista e rivoluzionario

Il suo cinema si configura come un laboratorio sul corpo, sul desiderio e sulla soggettività minoritaria. Opera attraverso una grammatica filmica che si oppone al regime figlio della cultura patriarcale, decomponendo i dispositivi del male gaze e ricostruendo un linguaggio in cui l’immagine diventa spazio di relazione, non di dominio. Sciamma non espone e consuma il corpo femminile, il suo è un processo dinamico, in transizione (adolescenza, formazione del desiderio, lutto), coerentemente con le letture di Teresa de Lauretis sulla costruzione della soggettività attraverso il filmico. Lavora sull’attesa e sulla costruzione di uno sguardo reciproco. In Ritratto della giovane in fiamme Héloïse e Marianne non si appropriano l’una dell’altra mentre si guardano, si riconoscono piuttosto e si lasciano emergere. Il desiderio diventa un luogo di autodeterminazione, è raccontato come processo di scoperta, dialogo, rivelazione; un desiderio che non è mai punito. Il suo approccio riscrive l’immaginario colonizzato dal male gaze.
Trasforma qualunque cosa in intimità. vicinanza, condivisione. Anche in Petit Maman legge il lutto e l’infanzia attraverso una lente politica (nel senso di cosa pubblica), senza mai perdere delicatezza e profondità emotiva. Trasforma il dolore in un processo di rinegoziazione della memoria e dell’identità.
Lo sguardo femminile come luogo della trasformazione. Il female gaze al cinema

Il female gaze sovverte la struttura narrativa classica descritta da Carol Clover nei film horror, dove la final girl sopravvive ma resta incastrata in un paradigma maschile. Tutte queste registe creano protagoniste agenti di senso, non funzioni di plot. Lo sguardo diventa forma di resistenza culturale, etica e politica. Come direbbe Mulvey, distruggere lo sguardo dominante significa rompere il sistema di pensiero che lo sostiene e quindi i film e le autrici citate sono bombe che fanno deflagrare tutto ciò che c’era prima. Guardare è un atto di libertà e per questo diventa anche strumento di resistenza.
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