È stata la mano di Dio: l’analisi del primo teaser trailer. Il film di Sorrentino è poesia!

Cosa abbiamo capito vedendo il primo teaser trailer del nuovo film di Paolo Sorrentino? Facciamo un'analisi delle prime immagini che ci fanno pregustare la visione di È stata la mano di Dio.

È stato diffuso ieri il primo teaser di È stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (1-11 settembre 2021), in alcune sale selezionate dal prossimo 24 novembre e su Netflix dal 15 dicembre 2021. La storia dell’adolescenza del regista, segnata da una tragedia, si trasforma in racconto universale di formazione (e di perdita).

C’è il Vesuvio che erutta, ma un ragazzino oppone alle sue esalazioni la schiena e il capo reclinato, appesantito dai pensieri. Si tratta di Fabietto, adolescente magro e ricciuto, con il naso leggermente aquilino rischiarato da uno sguardo malinconico. Appartiene a una famiglia della buona borghesia partenopea e con la sua città ha un rapporto ambivalente: vi abita come se si trovasse in un luogo incantato e fuori dal tempo, disancorato alla sua essenza reale, talvolta bruta. Del resto, con la realtà Fabietto ha un rapporto difficile: “è scadente! La realtà è scadente!”, protesta in un accesso di rabbiosa frustrazione giovanile. È meglio il cinema, passione che scopre presto e che lo incatena alla stupefazione mentre a Napoli infuria un’altra febbre, a cui lui pure non è immune: quella per Diego Armando Maradona, profeta di gioia in territori avviliti da piccole e grandi disperazioni quotidiane.

È stata la mano di Dio: il film più personale del regista, ma senza angustie autobiografistiche

È stata la mano di Dio

@Gianni Fiorito.

È stata la mano di Dio è, per sua stessa ammissione, il film più personale di Paolo Sorrentino. A giudicare dal trailer diffuso ieri, il regista Premio Oscar non sembra, però, sottoporre alle pastoie dell’autobiografismo la materia privata: quest’ultima appare anzi sospinta da un afflato universale. La mano di Dio del titolo è un riferimento al celebre gol di mano segnato da Maradona nella finale dei Mondiali del 1986, gol che permise alla nazionale argentina di vincere, infine, il campionato contro l’Inghilterra. Eppure, la mano di Dio è anche il correlativo oggettivo, la traduzione in oggetto concreto di un concetto astratto, di quegli impercettibili incastri esistenziali che producono l’evento, i movimenti sotterranei che dispiegano l’ordito del destino.

È stata la mano di Dio: la tragedia personale del regista evocata nel film

Diego Maradona è venuto a riscattare una squadra e una città che non avevano mai vinto. Frequentava i boss, seminava figli? È vero. Anche lui era un cattivo. Ma il vizio faceva parte del suo carisma. Cos’ha tifato nella semifinale del 1990 Italia-Argentina? Come tutto il San Paolo: Argentina. Non puoi tifare contro l’uomo che ti ha salvato la vita”. Sorrentino ha più volte confessato ciò che Diego Armando Maradona, scomparso nel novembre dello scorso anno e già ‘omaggiato’ in Youth, ha rappresentato per lui e per la sua città. Ma quando al grande calciatore riconosce di avergli salvato la vita, Sorrentino fa riferimento alla tragedia che lo ha colpito in prima persona e alla quale è scampato ‘letteralmente’ grazie a lui. Nell’aprile del 1987, infatti, l’allora non ancora diciassettenne Sorrentino ottenne dai genitori il permesso di seguire il Napoli di Maradona in trasferta anziché partire insieme a loro per Roccaraso, località sciistica abruzzese nella quale la famiglia aveva una casa di vacanza: in quell’occasione, i genitori, Concetta e Salvatore, morirono nel sonno intossicati dal monossido di carbonio fuoriuscito da una stufa, mentre il futuro regista ebbe salva la vita. 

È stata la mano di Dio: racconto di formazione, tra dolori, allegrie e il mistero del ‘divino’

Dal teaser e dal motivo sonoro che lo conduce – evocatore di spleen misto a thrilling – trapela il senso di tragedia che attende i giorni più spensierati del giovane protagonista, alter ego del regista, il quale, nelle sue inquietudini di ragazzo, non presagisce, ma in qualche modo corteggia il dolore che sarà. Eppure, impastato ad esso, in un amalgama agrodolce, vi è anche l’allegria della ricerca – e della scoperta – di una vocazione, il tumultuoso abbandono al desiderio e alla paura di avanzare verso il domani dell’età adulta. 

È stata la mano di Dio è la mia storia e probabilmente anche la vostra, perché parla di un tempo passato, di quando da ragazzi, il futuro ci sembra buio. Barcollanti tra gioie e dolori, ci sentiamo inadeguati. E invece il futuro è là dietro. Bisogna aspettare e cercare. Poi arriva. E sa essere bellissimo”: con queste parole Sorrentino ha anticipato la presentazione del suo film, che avverrà in occasione del prossimo Festival di Venezia. Se ben deduciamo, consegnano al pubblico un’opera non solo esteticamente sontuosa, e del resto il regista napoletano a questo ci ha abituati, ma anche emotivamente stratificata, finalmente pronta ad elaborare tutte le questioni disseminate negli altri suoi film e attribuite ai suoi personaggi: la condizione della perdita e di orfanezza (pensiamo a The Young Pope e al successivo The New Pope); la fuga della realtà attraverso la fantasia; il rapporto con il mistero del divino, con la presenza, nelle nostre esistenze, di una mano invisibile che fa e disfa, spesso drammaticamente – o salvificamente – a suo capriccio.