Cattive acque: la storia vera dietro al film con Mark Ruffalo

Dal celebre articolo del New York Times sullo scandalo Teflon-DuPont al nuovo film di Todd Haynes

Non si può dire che Cattive acque, il nuovo film diretto da Todd Haynes, non sia un film coraggioso, capace di mettere sul grande schermo lo scandalo DuPont. Un avvocato ambientalista interpretato da Mark Ruffalo iniziò una battaglia legale a fine anni novanta, e durata ben 19 anni, contro il colosso chimico americano, dopo che l’acqua potabile dei cittadini dell’Ohio e della Virginia era stata contaminata a causa di sversamenti incontrollati di PFOA, o acido perfluoroottanoico. Proprio questa sostanza risulta oggi, grazie a quella lunga causa, pericoloso materiale di scarto dalla produzione di Teflon, il composto chimico brevettato dalla DuPont che riveste milioni di padelle nel mondo.

L’attore originario del Wisconsin si è trasformato per l’occasione in Robert Bilott, uomo di legge che lavorava in un importante studio legale a difesa di grandi compagnie chimiche. La causa contro DuPont fu una chiave di svolta, cinematograficamente un incredibile twist, ma in questo caso proprio la realtà. Il certosino lavoro di ricostruzione della vicenda parte di Nathaniel Rich nel suo articolo pubblicato sul New York Times il 6 giungno 2016 intitolato The lawyer who became DuPont’s worst nightmare. L’avvocato che divenne il peggior incubo della DuPont. Leggerlo oggi sembra quasi il soggetto di Cattive acque, ma con diversi dettagli e numeri che tolgono il fiato.

Cattive acque – Una storia partita dal New York Times

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A fine anni novanta l’avvocato Bilott fu contattato da Wilbur Tennant, un allevatore di Parkersburg, West Virginia, che lamentava di aver perso decine di capi, ammalati dopo una strana forma d’intossicazione. L’avvocato, fresco partner di Taft Stettinius & Hollister si interessò al caso perché in quella piccola località di campagna aveva passato diverse estati durante l’infanzia, da sua nonna. Proprio dai suoi vicini partì l’idea di contattare Bilott. Il film sviluppa le ricerche documentali e gli scontri in aula con gli avvocati della DuPont per dimostrare l’avvelenamento del territorio.

Facilmente ritrovabile anche online, il pezzo di Rich riferisce che la DuPont aveva capito già da tempo che il PFOA causava tumori cancerosi ai testicoli, al pancreas e al fegato negli animali da laboratorio. Uno studio di laboratorio suggerì persino possibili danni al DNA dovuti all’esposizione al PFOA, e uno studio sui lavoratori ha collegato l’esposizione al cancro alla prostata. La DuPont si affrettò infine a sviluppare un’alternativa al PFOA. Una del 1993 annunciò che per la prima volta un “candidato valido” che sembrava essere meno tossico, rimanendo nel corpo per un periodo di tempo molto più breve del PFOA. Ma il passaggio al nuovo composto non fu effettuato: il rischio era troppo grande perché i prodotti fabbricati con PFOA costituivano un profitto annuo di 1 miliardo di dollari per la compagnia chimica.

Cattive acque: la featurette italiana sull’avvocato ambientalista Robert Bilott

Ma la scoperta cruciale per il caso Tennant rivelò che alla fine degli anni ’80, quando alla DuPont montava sempre più preoccupazione per gli effetti sulla salute dei rifiuti di PFOA, si decise che era necessaria una discarica per i fanghi tossici scaricati. Fortunatamente avevano recentemente acquistato 66 acri da un dipendente di basso livello presso la struttura di Washington Works che avrebbe funzionato perfettamente. Era il terreno confinante con quello dei Tennant e il dipendente era Jim Tennant, fratello di Wilbur. Un terreno che dopo l’acquisto venne ribattezzato Dry Run.

Cattive acque e l’influenza da Teflon

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Bilott trascorse mesi a redigere un brief pubblico contro DuPont. Era lungo 972 pagine, di cui 136 in allegato. I suoi colleghi la chiamano “La famosa lettera di Rob”. Scrisse l’avvocato: “Abbiamo confermato che le sostanze chimiche e le sostanze inquinanti rilasciate nell’ambiente da DuPont nella sua discarica di Dry Run e altre strutture di proprietà di DuPont nelle vicinanze possono rappresentare una minaccia imminente e sostanziale per la salute o l’ambiente”. Il 6 marzo 2001 la lunga missiva fu inviata ai direttori di tutte le autorità di regolamentazione competenti, tra cui Christie Whitman, amministratore dell’EPA (Environmental Protection Agency) e il procuratore generale degli Stati Uniti, John Ashcroft. Prima di quella lettera, le società potevano fare affidamento sul malinteso pubblico secondo cui se un prodotto chimico era pericoloso, era regolato comunque ai sensi del Toxic Substances Control Act del 1976. Così l’EPA poteva testare sostanze chimiche solo successivamente a prove conclamate di danni. Questo accordo consentiva a gran parte alle compagnie chimiche di regolarsi, e ha permesso una limitazione di sole cinque sostanze chimiche, su decine di migliaia sul mercato negli ultimi 40 anni.

Nell’articolo, così come nel film con Mark Ruffalo, compare anche la vedova di un altro dipendente che ha raccontato a Bilott la sua esperienza. Il suo primo marito era stato un chimico nel laboratorio PFOA della DuPont. “Quando lavoravi alla DuPont in questa città” si legge nell’articolo del NYT, “potevi avere tutto ciò che desideravi”. La Company pagava infatti uno stipendio sempre generoso e garantendo un buon mutuo. Mise a disposizione persino una fornitura gratuita di PFOA, che in famiglia usarono come sapone per lavastoviglie e per pulire la macchina. Ma a volte il marito tornava a casa dal lavoro malato. Febbre, nausea, diarrea, vomito. Accadeva dopo aver lavorato in uno dei serbatoi di stoccaggio del PFOA. Era un evento comune dalle parti della discarica Dry Run. Il malessere veniva chiamato Influenza da Teflon.

Come riferisce sempre il Times, nel 1976, dopo che la signora partorì il loro secondo figlio suo marito le disse che non gli era più permesso portare a casa i suoi abiti da lavoro: DuPont aveva scoperto che il PFOA stava causando problemi di salute alle donne e difetti alla nascita nei bambini. Nel frattempo, l’EPA, attingendo alla ricerca di Bilott, iniziò la propria indagine sulla tossicità del PFOA. Nel 2002, l’agenzia pubblicò i suoi primi risultati: il PFOA avrebbe potuto comportare rischi per la salute umana non solo per coloro che bevevano acqua contaminata, ma anche chiunque, ad esempio, avesse cucinato con padelle in teflon. L’EPA fu particolarmente allarmata anche nell’apprendere che il PFOA era stato rilevato nelle banche del sangue americane, qualcosa che DuPont conosceva già nel 1976. E non era l’unica compagnia chimica con questa consapevolezza, che fin lì, fu ben più di una mezza salvezza per le case produttrici.

La class action e il braccio di ferro dei legali 

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Bilott fece causa per conto di uno o due distretti idrici più vicini a Washington Works, località della famigerata discarica Dry Run. Ma i test rivelarono che sei distretti, così come dozzine di pozzi privati, erano stati contaminati con livelli di PFOA più alti dello standard di sicurezza interno di DuPont: 70.000 persone stavano bevendo acqua avvelenata. Alcuni lo facevano da decenni! Secondo il Dipartimento per la protezione ambientale del West Virginia la soglia di tolleranza di PSOA nell’acqua era di 150 molecole per miliardo. Ma il nuovo standard stabilito da esami tossicologici fu di 0,2 molecole per miliardo: la dimostrazione che le compagnie chimiche avevano scorrazzato per anni senza quasi limiti di velocità.

Nel 2001 allora Bilott intentò una class action alla quale aderirono 70.000 abitanti del West Virginia e ottenne lo scambio di 400 dollari per ogni individuo che avesse fatto un controllo sul proprio sangue. Accorsero in massa, e la DuPont, in quanto imputato, dovette pagare 33 milioni di dollari per le spese d’analisi, che diedero i risultati solo alcuni anni più tardi. Furono le analisi di massa più numerose di sempre. Lo studio legale che negli anni aveva perso molto denaro nelle ricerche di Bilott e ne pochi risultati pecuniari, finalmente si rimise finanziariamente in piedi. Nel dicembre 2011, sempre dall’articolo di Nathaniel Rich, gli scienziati iniziarono a rilasciare le loro scoperte. C’era un “probabile legame” tra PFOA e carcinoma renale, patologia tiroidea, carcinoma testicolare, pre-eclampsia, colesterolo alto e colite ulcerosa.

Nel maggio 2015, ricorda il NYT, 200 scienziati di varie discipline firmatari della Dichiarazione di Madrid espressero preoccupazione per la produzione di tutti i fluorochimici o PFAS, compresi quelli che avevano sostituito il PFOA. PFOA e i suoi sostituti erano sospettati di appartenere a una grande classe di composti artificiali che alterano il sistema endocrino. Tali composti, incluse sostanze chimiche utilizzate nella produzione di pesticidi, benzina e materie plastiche, interferiscono con la riproduzione e il metabolismo umani causando cancro, problemi alla tiroide e disturbi del sistema nervoso.

Dopo l’esito delle analisi il primo rimborso a una cittadina parte lesa dei 3535 che fecero causa alla DuPont, ammontò a 1,6 milioni. Dove gli scienziati hanno testato la presenza di PFOA nel mondo, l’hanno trovato. L’acido perfluoroottanoico si trova nel sangue o negli organi vitali di molti pesci, tartarughe marine e alcuni mammiferi oceanici dal Nord America all’Asia. Un problema oramai globale.

La DuPont Company e il precedente di Ruffalo

Ma cosa produce la DuPont oltre al Teflon? La Company americana fondata nel 1802 da un ricco emigrante francese è custode dei brevetti di materiali tessili quali Nylon, Lycra e Neoprene.  Oltre a tanti altri materiali artificiali utilizzati anche per le industrie alimentari e i brevetti su vari procedimenti chimici la DuPont ha prodotto anche CD, lastre per radiografie e tantissima pellicola cinematografica. Celluloide. Anche per il cinema italiano ed europeo.

La ricostruzione sul grande schermo della storia di Cattive acque è rimasta molto fedele alla storia reale. Ruffalo stesso ha trasformato la sua postura acquisendo un accento diverso e alcuni dei tic che afflissero Bilott per un forte esaurimento durante la vicenda. Anche l’avvocato è presente nel film, in un cameo insieme alla moglie, che nel film di Haynes è interpretata invece da Anne Hataway. Compaiono nei panni di sé stesse anche alcune persone nate con malformazioni facciali a causa degli sversamenti chimici di Dry Run. Inoltre, Mark Ruffalo torna “a casa DuPont” dopo Foxcatcher, il film di Bennet Miller candidato a 5 Oscar, uno come Miglior attore non protagonista proprio per Ruffalo. Vinse però J.K. Simmons per Whiplash. Ruffalo interpretava Dave Schultz, campione olimpico americano di lotta nel 1984 che fece parte insieme al fratello Mark, di una squadra sportiva finanziata da John Eleuthère du Pont, rampollo viziato e scheggia impazzita della famiglia DuPont, che assassinò nel 2006 proprio Dave Schultz nella sua vasta proprietà in Pennsylvania, e nel 2010 si suicidò in carcere. Gli stessi anni nei quali l’avvocato Rob Bilott combatteva la sua battaglia legale contro la DuPont Company. Un intreccio curioso quanto inquietante.

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