Venezia 76 – Woman: recensione
Recensione di Woman, un documentario diretto da Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand, il cui concepimento è iniziato tra il 2012 e il 2014.
Un progetto incentrato sulle donne e sulle problematiche che il gentil sesso continua a vivere nella nostra epoca, in uscita adesso, potrebbe sembrare uno dei tanti frutti dello Scandalo Weinstein. Tuttavia, Woman – ideato dai registi Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand – è una sorta di documentario che raggruppa in poco più di un’ora e mezzo la voce di circa 2000 donne sparse in tutto il mondo e appartenenti a cinquanta paesi diversi, tra il 2012 e 2014, e dunque qualche anno prima dalla nascita del movimento Me Too.
Woman è un inno al genere femminile, in tutta la sua complessità, forza e debolezza. Il gruppo di donne, che è stato preso come campione piuttosto vasto da intervistare per dar vita a questo progetto, presenta le mille sfaccettature della donna, dall’istruzione e indipendenza economica al matrimonio, maternità e sessualità. Molte di esse, per la prima volta, esprimono a parole la loro identità, la loro personalità, ciò che sentono e provano. Woman è la loro occasione per essere ascoltate veramente. Nonostante, all’inizio, mostrino una certa timidezza, e siano sospettose nel rivelarsi davanti alla macchina da presa raccontando anche aneddoti tabù, il modo in cui è strutturato il documentario e anche l’abilità dei registi portano ad abbattere certe barriere, trasmettendo nelle intervistate un senso di tranquillità durante il proseguimento dei loro racconti di vita.
Woman: le donne si raccontano senza filtri, dimostrando il fallimento del concetto “sesso debole”
Donne di generazioni diverse, di luoghi differenti e di vari background socioculturali ci permettono di vedere il mondo attraverso i loro occhi; ciò che viene trasmesso è potente e intenso. Si apprendono storie di soprusi, violenze sia fisiche che psicologiche, ma in particolare modo di tenacia e determinazione, a ulteriore dimostrazione del fatto che “il sesso debole” sia solo un’idea, un mito, una leggenda. Proprio da questo punto di vista, considerando ciò che è accaduto pochi anni dopo la realizzazione del documentario (ovvero lo Scandalo Weinstein e una conseguente e rinnovata ondata di femminismo che ha scatenato il movimento Me Too), Woman è una produzione di forte impatto, un’idea originale, che affronta la vita vera delle donne con un realismo tale da far identificare qualsiasi spettatrice femminile – e perché no, magari anche il pubblico maschile.
Il documentario ha una struttura specifica, che presuppone la presenza di ciascuna delle donne intervistate in primo piano davanti alla macchina, che le riprende su uno sfondo nero, quasi volesse nascondere tutto ciò che un’appartenente al genere femminile deve sopportare e affrontare nella propria vita. Lo sfondo nero contribuisce a mettere in risalto le protagoniste del progetto, e soprattutto il loro sguardo, che sembra fissare (e interrogare) direttamente gli spettatori guardandoli negli occhi, scrutandoli. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, e proprio tramite essi, riusciamo a empatizzare con quelle ragazze, signore, single, madri di famiglia, che fanno il bilancio della loro esistenza come donne.
Woman dà la possibilità a circa 2000 donne di avere una propria voce, spesso inascoltata
Le sequenze delle interviste sono organizzate per argomenti (sessualità, famiglia, amore, vita professionale ecc.) e, nel momento in cui la tematica cambia, il mutamento viene segnalato dallo scorrimento di una serie di immagini/brevi video di altre figure femminili che non parlano, ma si limitano a osservare e ad agire. Sguardi che, come al solito, tendono a esprimere più di qualsiasi parola. Nonostante gli uomini siano stati e continuino a voler essere dominanti rispetto alle donne, la voce del gentil sesso inizia gradualmente a farsi strada.
Per circa un’ora e quaranta le donne esprimono loro stesse; forse se il documentario avesse avuto una durata minore sarebbe stato ancora più incisivo e diretto, ma probabilmente i registi hanno voluto prendersi tutto il tempo necessario per far avere un quadro completo sulla figura femminile in vari aspetti della vita quotidiana e del privato. Da questo ritratto le donne ne escono sì sconfitte (soprattutto quando raccontano del sessismo nei luoghi di lavoro, in famiglia, e delle violenze subite), ma anche e in particolar modo vittoriose. Ciò che esprime al meglio l’intero messaggio del documentario, paradossalmente, viene mostrato fin dall’inizio, nella breve scena dei titoli di testa, in cui vediamo una donna in un fondale marino che cerca di tornare a galla e che, anche se con le dovute difficoltà, si avvicina caparbiamente sempre di più verso la superficie.