TFF41 – White Plastic Sky: recensione del film d’animazione ungherese

Nel 2123, le persone possono scegliere di morire e diventare alberi. Nora e Stefan intraprendono un viaggio disperato, oltre i confini delle terre conosciute, per salvare loro stessi e, forse, l'umanità intera.

Come vi immaginate il futuro dell’umanità? Come potrebbe essere il mondo tra 100 anni, nel 2123, quando noi non ci saremo più? Gli animatori ungheresi di White Plastic Sky, Tibor Banoczki e Sarolta Szabo, lo rappresentano sterile, brullo, invivibile. Talmente tanto che agli esseri umani non è rimasta altra possibilità che sopravvivere sotto immense cupole, con solo 50 anni a disposizione per poter studiare, lavorare, riprodursi, esistere. Dopodiché, ci si trasforma in alberi, per il bene delle generazioni future.

Qualche anno fa, l’ambientazione grave e malinconica di White Plastic Sky – in concorso al 41° Torino Film Festival, e già presentato alla Berlinale – sarebbe sembrata iperbolica, ma la rapidità con cui sembra che stiamo correndo verso il collasso ambientale rende i suoi paesaggi aridi solo una lieve esagerazione delle terre desolate che i nostri nipoti potrebbero chiamare casa. Eppure, prima ancora di essere una parabola ecologista, White Plastic Sky è una storia d’amore e sopravvivenza, in un contesto distopico.

White Plastic Sky: il viaggio disperato di Nora e Stefan

Il film prende le mosse da una decisione apparentemente inspiegabile, quando la protagonista Nora, nonostante abbia solo 32 anni, decide di sottoporsi volontariamente alla procedura di impianto, in cui le viene innestato un seme e si dà il via alla procedura di metamorfosi. Tutto questo con ben 18 anni di anticipo sulla rigida tabella di marcia statale, lasciando all’oscuro di tutto suo marito Stefan. A Stefan, poco più giovane di Nora, non resta quindi che lanciarsi in un disperato tentativo di salvataggio, oltre le terre conosciute (ovvero oltre la cupola) e verso l’unico scienziato in grado di invertire il procedimento.

Ma è questo davvero quello che vuole Nora, che ha scelto in piena autonomia chi e cosa essere? E se si trattasse di un gesto egoistico dettato da un trauma? A questo punto l’opera si trasforma in un viaggio di ricerca, come una sorta di videogioco di stampo esistenzialista, e Stefan si infiltra nella struttura dove Nora è ricoverata. Banoczki e Szabo usano il loro impressionante futuro alternativo – realizzato in rotoscoping e computer grafica – come una leva, per aprire e scrutare misteri metafisici e, soprattutto, la questione di quanto noi stessi dobbiamo alle persone che ci amano.

White Plastic Sky: l’importanza della vita, oltre la razza umana

Un po’ 2022: i sopravvissuti, un po’ La fuga di Logan e un po’ A Scanner Darkly, White Plastic Sky stupisce e colpisce non solo da un punto di vista estetico ma anche concettuale. In questa allucinante distopia, il cannibalismo tecnologico non è un segreto di stato, ma un fatto universalmente accettato con flemma da tutti. Non si può fare a meno, qui, di intravedere una critica più o meno velata ai totalitarismi contemporanei, capaci di insinuarsi in una società che appare via via sempre più concentrata su se stessa e sempre più distratta e superficiale.

Se è vero, in un finale che evoca il dimenticato L’albero della vita di Darren Aronofsky, che l’amore può trascendere qualsiasi cosa, cosa accadrebbe se per un momento la razza umana potesse pensare a sé come parte di una storia più grande? Se potesse capire che la vita stessa è più importante della sopravvivenza della razza umana? White Plastic Sky, indipendentemente dal suo epilogo (positivo o negativo? Parliamone), sembra lasciare allo spettatore un’unica grande certezza: la nostra specie è irrimediabilmente e univocamente votata all’autodistruzione.

White Plastic Sky: valutazione e conclusione

Secondo il duo di animatori ungheresi Tibor Banoczki e Sarolta Szabo, abbiamo solo un secolo di tempo prima che la distopia sterile e disidratata del loro film d’animazione White Plastic Sky diventi la nostra realtà. Grazie all’utilizzo del rotoscopio, della computer grafica e di effetti visivi fotorealistici, i due registi mettono in scena questa eventualità raccontando un mondo futuro in cui gli esseri umani, al raggiungimento dei 50 anni, diventano alberi in seguito a una elaborata procedura di innesto. Pur con qualche forzatura, il film è un congegno estetico e narrativo di alta qualità, che solleva interrogativi inquietanti sulla razza umana e sulla nostra contemporaneità.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 3

3.9