Weapons: recensione del film di Zach Cregger

Julia Garner, Alden Ehrenreich e Josh Brolin sono i protagonisti di Weapons, il magnetico horror diretto da Zach Cregger (Barbarian). Dal 6 agosto 2025 in sala.

Nelle sale italiane arriva il 6 agosto 2025, in sincrono con l’uscita americana (8 agosto), distribuito da Warner Bros. Pictures Italia. L’auspicio è che il buon tempismo basti a Weapons per trovare il suo pubblico. Agosto, dalle nostre parti, non è quel che si direbbe una garanzia per gli incassi; l’hype alimentato dal consenso critico in patria darà una mano. Scritto e diretto da Zach Cregger (Barbarian, era il 2022), Weapons ha per protagonisti Julia Garner, Josh Brolin, Alden Ehrenreich. La premessa è bella e anche originale, che di questi tempi è una rarità; dura parecchio – più di due ore – ma il tirarla per le lunghe ha senso. La prima metà della storia costruisce un immaginario di tensione, mistero e inquietudine debordante contraddetto (consapevolmente) da una seconda in cui violenza, umorismo perverso – è uno degli horror più divertenti, se passate il termine, degli ultimi anni – e l’ombra di una sinistra, demoniaca mitologia sciolgono i nodi irrisolti per condurre lo spettatore verso un approdo, una verità, incompleta, suggestiva e molto bizzarra.

Weapons: la misteriosa sparizione dei bambini, e quello che succede dopo

Weapons; cinematographe.it

Una premessa di valore non basta, servono spalle robuste per reggerne il peso. Weapons ha spalle robuste, non abbastanza da mantenersi all’altezza del suo fulminante incipit. Zach Cregger scrive e dirige un horror smaliziato: non solo ci racconta una storia ma, nell’atto stesso di raccontarla, esplora con piglio d’autore le possibilità di storytelling offerte dal genere. Il film, narrativamente parlando, fa spesso di testa sua, innova, complica le cose, e proprio a partire dall’intrigante premessa. Succede una sera qualunque a Maybrook, Pennsylvania. Alle 2:17, in piena notte, 17 bambini scompaiono nel nulla. Le telecamere li sorprendono mentre lasciano le loro case, tutti nello stesso momento, e corrono in strada, le braccia tese a mimare il volo di un aereo. A rendere le cose ancora più inquietanti c’è che frequentano la stessa scuola e la stessa classe. La maestra si chiama Justine Gandy (Julia Garner), ha pochi amici in città, un discreto problema con l’alcol e tutti pensano sia implicata. Donna, estranea, sessualmente disinibita: è il capro espiatorio perfetto.

C’è un’anomalia nella sparizione. Uno degli alunni di Justine non sparisce nel nulla. Si chiama Alex (Cary Cristopher), parla poco, vive con la zia Gladys (Amy Madigan) e Justine pensa che è da lui che si deve partire per dipanare il mistero. Archer Graff (Josh Brolin), maschio alfa e padre di uno dei bambini scomparsi, è invece di tutt’altro avviso e pedina Justine, convinto di poterne dimostrare la colpevolezza; per liberare suo figlio è disposto a tutto. È chiaro, a questo punto, che a Zach Cregger non interessa soltanto costruire una cupa fantasia horror sull’innocenza violata dal Male. Vuole anche riflettere sul modo con cui le persone reagiscono a un trauma lacerante. Le libertà di storytelling che si concede con Weapons dipendono anche da questo.

Il film non è, a livello strutturale, il solito horror. Comincia con un prologo di nera poesia, i ragazzi che corrono incontro alla notte cullati dalla voce di George Harrison che canta, per loro e per noi, “Beware of Darkness”, e tutto illustrato dalla voce fuori campo di una bambina misteriosa che riassume i fatti due anni dopo che si sono verificati. La narrazione è discontinua, sconnessa, frantumata in capitoli che, un personaggio dopo l’altro, un tassello dopo l’altro, ci conducono attraverso la logica dell’accumulazione alla sconcertante verità. C’è un capitolo dedicato a Justine, uno ad Archer, uno a Paul (Alden Ehrenreich), agente di polizia problematicamente legato alla protagonista, uno al capo di lei, (Benedict Wong) e non solo. Ogni capitolo è un punto di vista, un sentimento, una visione del mondo. Un modo diverso di rispondere all’orrore.

Un horror riuscito al 99%

Weapons; cinematographe.it

Sono soprattutto due i riferimenti che contaminano l’immaginario di Weapons. Uno è legato alla stretta e tragica attualità americana, e ne ha parlato per prima la critica statunitense: la misteriosa sparizione dei ragazzi funziona anche da dolorosa metafora di mali endemici della società americana, come la proliferazione delle armi da fuoco e le stragi nelle scuole. Il secondo ha a che fare con il racconto, doppio, di una piccola comunità travolta dal male e dell’impatto che l’irrazionale ha sulla vita della gente: è l’eredità di Stephen King. Dall’intreccio di queste due due anime, l’una dolorosamente autentica, l’altra nobilissima e di matrice letteraria, Zach Cregger costruisce Weapons, un horror sul Male che ci aggredisce e sui modi giusti e sbagliati di rispondere.

Il film si concentra soprattutto sui modi sbagliati, sui sospetti, le generalizzazioni, la ricerca ossessiva di un capro espiatorio, l’innata predisposizione al linciaggio dell’estraneo/a. La forza del film è costruire la sua paura non sopra ma insieme al racconto delle psicologie, dei vezzi, delle fragilità dei personaggi. Non sacrifica lo studio dei caratteri in favore del puro horror ma, anzi, lo usa con lucida consapevolezza per far respirare la storia. Julia Garner, Josh Brolin, Alden Ehrenreich abitano personaggi imperfetti, fragili, antiretorici. Sono antieroi umanissimi e la verità emotiva di questo horror riuscito al 99% sta tutta qui.

99, e non una % di più. Forse era impossibile, per il film, essere altro da ciò che è: un meraviglioso e imperfetto horror al guado tra incubo e realtà, costruito attorno a un mistero troppo ambizioso perché lo spettatore non si faccia trascinare nel vortice dell’immaginazione sfrenata. Quando la verità deflagra e la nera mitologia del film svela (ma solo in parte) i suoi contorni, pur apprezzandone la creatività non si può non avvertire un pizzico di delusione. Aspettative troppo alte? Può darsi, ma Weapons è lo stesso un horror potente e decisamente sopra la media, audace nel ribaltare la cupezza dei toni della prima parte con l’assurdo e nerissimo umorismo della seconda. Il brusco aggiustamento dei toni è la sorpresa più grande di un film che non va troppo per il sottile in materia. Si dice che la partita di un film si risolve nei primi 15 minuti; se cattura dall’inizio l’attenzione del pubblico è fatta, altrimenti c’è da sudare. Con Weapons è il contrario. Molto dipenderà da come il pubblico reagirà al raccapricciante, sconvolgente e divertente (sì) finale. È violento, surreale, onirico, sboccato. È anche denso, imperfetto e magnetico, come il film. Il consiglio è seguirne il battito, e lasciarsi andare.
 

Weapons: valutazione e conclusione

Weapons; cinematographe.it

Cosa ci racconta Weapons, del senso del cinema di Zach Cregger? Prima di tutto che l’impronta è decisamente autoriale, e non solo perché il poco più che quarantenne Cregger il film se lo scrive e se lo dirige, tutto da solo. L’elegante costruzione dell’immagine, il dialogo tra attualità, immaginario nerissimo, studio di caratteri e tensione palpitante raccontano di un horror che non ha voglia di scegliere tra intelligenza e spettacolo perché sa di poterli avere entrambi. Come in Barbarian, anche per Weapons la casa è il luogo in cui l’orrore – ovviamente molto claustrofobico – raggiunge il parossismo. Come in Barbarian, anche stavolta si parla di una minaccia sinistra e impalpabile nascosta in mezzo alla banalità della vita, al punto che è difficile notarla fino a quando non è troppo tardi. Zach Cregger sa coniugare shock, atmosfera, spessore e cura formale; servirebbe un lavoro più scrupoloso sulla mitologia e un dosaggio più equilibrato degli ingredienti, in modo da non lasciare il film in balia di aspettative squilibrate. Se riuscirà nello scatto in avanti, il pantheon dell’horror contemporaneo ha un posto anche per lui.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3