Voyagers: recensione del film di fantascienza di Neil Burger

Un'astronave in missione per conto dell'umanità, un equipaggio giovane che scopre vita, passioni e sentimenti. Voyagers, regia di Neil Burger, con Lily-Rose Depp, Tye Sheridan e Colin Farrell, è un raro esempio di fantascienza Young Adult.

Un’astronave piena di teenager. Cosa può andare storto? Voyagers, film di fantascienza diretto da Neil Burger e uscito nel 2021, nel cast Lily-Rose Depp, Tye Sheridan e Colin Farrell, cerca di sposare temi e archetipi della narrativa cinematografica YA (young adult) a un pugno di inedite vertigini filosofico/esistenziali. La patina è una tranquillizante, fracassona, macelleria action.

Il risultato è curiosamente a metà strada. Voyagers costruisce una premessa non così originale nei contenuti, abbastanza nel lavoro sul genere, ma la abbandona strada facendo, in favore di una versione più muscolare e meno ragionata dei fantasmi messi in scena. Resta l’eleganza del design, il fascino glaciale di un genere, quello fantascientifico, che qui da noi non ha mai preso molto e non si sa bene perché. Oltre a una protagonista femminile che stavolta esce un po’ dalla sua comfort zone.

Il punto di partenza dell’operazione, se non altro della sua analisi, è un riferimento letterario preso all’amo e sbattuto in faccia allo spettatore senza troppi complimenti. Lo troverete replicato in ogni recensione pubblicata su questo pianeta, per una semplice ragione. Perchè è maledettamente evidente.

Voyagers: qualcosa come Il signore delle mosche nello spazio

Voyagers cinematographe.it

L’ombra del romanzo si stende, più o meno benevola, sul corpo del film, sulle buone intenzioni, le idee fisse, le promesse mancate. Qualcuno ha detto Il signore delle mosche nello spazio? Nel 2063 le cose per la Terra non vanno mica tanto bene. La colpa, ovviamente, siamo noi. La buona notizia è che per un pianeta devastato dal cambiamento climatico, da qualche parte nello spazio profondo è stato trovata un’altra casa abitabile. Ora non resta che partire, prendere le misure e rovinare pure quella. L’altra buona notizia è che la nave capace di condurci un gruppo di pionieri ci sarebbe pure. La brutta, è che nella migliore delle ipotesi il viaggio dura 86 anni.

L’idea di Voyagers è questa. Formare un equipaggio di giovani (maschi e femmine), da modellare al riparo dalle tentazioni e i saliscendi della vita normale. Annichilimento delle esperienze in una bolla che gli risparmi di sapere cosa sia, sul serio, la vita sulla Terra. Chiaro, perché altrimenti ne sentirebbero la mancanza in maniera troppo forte e non potrebbero portare a termine il loro compito. Che consiste nello starsene zitti e buoni, concepire a 24 anni dei figli che a loro volta concepiranno altri figli a 24 anni. E saranno proprio questi ultimi, i nipotini, a visitare ed esplorare il nuovo mondo. Per mantenere la prima generazione concentrata sull’obiettivo si ricorre alla somminstrazione quotidiana di una droga liquida azzurrognola spacciata per tonico, ma che in realtà serve a tenere a bada le emozioni. Sovrintende la prima fase del viaggio il padre putativo, Richard (Colin Farrell), che sulla Terra evidentemente non aveva granchè da fare.

Una scena di Voyagers

Quello che succede a questo punto è facile a immaginarsi. Spetta a Christopher (Tye Sheridan) e Zac (Fionn Whitehead) addentare la mela e squarciare il velo sull’inghippo narcotico che frena il sano sviluppo emotivo dell’equipaggio. Sono loro a scatenare la scintilla della rivolta. Appropriarsi dei sentimenti negati assume a tutti gli effetti il carattere di una deflagrazione sregolata e  famelica (con meno sesso di quanto non si crederebbe, tuttavia). Christopher e Zac mettono in moto il meccanismo, vero, con evidente sconcerto del teneramente paterno Richard. Ma lo fanno in maniera radicalmente opposta. Christopher e Sela (Lily-Rose Depp), il vero cuore spirituale della nave, cercano un’equilibrata mediazione tra dovere e passione, soddisfacimento dei bisogni primari e rispetto delle consegne. Zac, no. Sceglie la via più rapida e brutale. C’entra qualcosa un misterioso “mostro” alieno (reale? immaginato?) che agita la coscienza della nave .

Il film lancia la sfida di un tema importante, ma non la raccoglie

Una ripresa di Voyagers

Neil Burger scrive e dirige Voyagers, materia tutt’altro che estranea al suo percorso. Gli appartiene, l’esplorazione di un corpo e uno spirito portati al punto di rottura delle proprie potenzialità (Limitless), o magari il fondo apocalittico YA (Divergent). Mix di atmosfere e generi, questo il mantra. Peccato che il film non abbia poi tanta voglia di chiudere il cerchio, lanciare la sfida e poi raccoglierla. Che i protagonisti reclamino vita, emozioni, gioie, dolori e fatiche, questo al racconto interessa solo superficialmente, tutt’al più come chiave narrativa per giustificare l’inevitabile esplosione di violenza del terzo atto.

L’idea claustrofobica dello spazio chiuso che sbriciola ogni illusione su cosa sia, realmente, la natura umana. Qui, almeno a livello delle intenzioni, ristagna il parallelismo di fondo con Il signore delle mosche. Non si va molto più in là dell’enunciazione di un fosco principio. Allo stesso tempo la transizione dei personaggi da un’età giovane prima anestetizzata, poi sempre più feroce e libera, fino a un’età quasi adulta che si spera più equilibrata, si spegne didascalica. Le canoniche due ore circa del film rappresentano un ostacolo non da poco di fronte alla volontà di catturare un’esistenza nella complessità di tutte le sue sfumature, sfaccettature e via dicendo. Si poteva però osare di più.

Cosa funziona, in Voyagers, è la fotografia opprimente della nave, l’orgia di corridoi, un labirinto senza uscita restituito in tutta la sua elegante e algida tenuta. Il carisma paterno ma non paternalistico di un Colin Farrell che si diverte a non nascondersi che il tempo passa, lo sguardo sul mondo evolve e anche le ferite e i rimpianti dell’anima mantengono una certa forza narcisistica. Bene anche Lily-Rose Depp, quel certo non so che di serafico e non particolarmente esuberante che ha sin qui strutturato la sua (giovane) carriera ha costituito il motivo principale della sua scelta come motore emotivo e fisico del racconto. Voyagers le offre comunque l’opportunità di staccarsi dal modello e di ostentare i suoi fantasmi interiori in maniera più libera e rumorosa. Se il film avesse seguito il suo esempio, sarebbe stato meglio.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.3