Una storia vera: la recensione del capolavoro di David Lynch

Una storia vera è una pura narrazione pastorale, bucolica, ai limiti del dantesco. È attraverso questo film che David Lynch traduce il senso di tutta una vita.

Una storia vera (The Straight Story) è un film del 1999 diretto da David Lynch, con Richard Farnsworth, Sissy Spacek e Harry Dean Stanton.

Una storia vera racconta la vicenda di Alvin Straight, un anziano contadino dell’Iowa, precisamente di Laurens, che nel ’94, a bordo del suo trattore tosaerba, affrontò un viaggio di sei settimane percorrendo quasi 400 km a 8 km orari per andare a trovare il fratello Lyle, che aveva avuto un infarto, a Mount Zion nel Wisconsin.

Questo intraprendente settantenne vive con la figlia Rosie e, non appena apprende dello stato grave del fratello con cui non aveva più alcun rapporto da molti anni, non avendo più la patente, decide di partire con il suo tosaerba e un rimorchio in cui pone una tenda e cibarie di ogni tipo. Il suo viaggio lo porterà ad attraversare l’Iowa e il Wisconsin, incontrando persone che arricchiranno il senso e lo spessore del suo cammino.

Una storia vera: il viaggio come parabola della vita

Una storia vera

Alvin Straight è un personaggio animato da un romanticismo del tutto introvabile, con un proprio spirito e un potere decisionale forte, tanto da non farsi fermare da nessun tipo di imprudenza o consiglio. Inarrestabile di fronte all’età, al tragitto, alla sua salute. Il suo viaggio diventa una tregua dai rancori, è il momento in cui metterli da parte, assieme all’orgoglio e al risentimento, e ciò non accade prima della partenza ma durante. Alvin affronta quel cammino con la lentezza di cui necessita per superare al meglio tutto il livore tenuto in serbo per il fratello. In quei momenti non solo affronta i suoi demoni, ma riconsidera ogni attimo della sua vita, incontrando per strada persone di ogni tipo che sono attratte da lui, da un signorotto di campagna buffo e saggio; in qualche modo vedono in lui una sorta di specchio umano in cui potersi riflettere.

Una storia vera ha una potenza visiva ineguagliabile: la narrazione non divaga, non si disperde, è caratterizzata da un tracciato pulito eppure imprevedibile ed emozionante, ciò anche grazie al talento musicale di Angelo Badalamenti che compone una melodia straordinaria.

Quando Alvin incontra una ragazza che fa l’autostop, riconsidera e si riappropria di un proprio senso della famiglia, un’appartenenza indistruttibile, cosa che aiuta lei a farne ritorno e lui a continuare il suo percorso, con un senso più forte. Alvin durante le sue soste parla anche con un prete in un cimitero, con due meccanici gemelli, una donna a cui capita di uccidere un cervo con la macchina e dei ciclisti con i quali si accampa e dialoga del suo rapporto con la gioventù e la vecchiaia.

Una storia vera

Una storia vera ha la capacità di rievocare e ricomporre la condizione sociale, paesaggistica, materiale e culturale che Alvin visse dopo la guerra. Una pellicola intensa che ripercorre con leggerezza i picchi e le cadute di un uomo che decise dopo molti anni di ricongiungersi con una parte del suo passato ostile.

Il tempo è lieto, è dilatato, è intimo, ed è da considerarsi sempre in contrasto con le velocità di chi lo supera per la via, o per la vie. Con il suo stato fisico non eccellente viaggia per le strade su quel piccolo tosaerba a una velocità inferiore rispetto agli altri, cosa che gli accade anche nella vita, e questo tipo di esperienza a rilento la vive anche lo spettatore. Forse non è esatto chiamarlo contrasto ma più tregua. La sua lentezza è una tregua, il suo viaggio è una tregua, anche il suo dolore fisico e interiore è una tregua.

Lynch da parte sua non dà tregua, le sue narrazioni non sono diversificate dal genere, dalle mescolanze di carattere o dalle paranoie dei suoi postulati, ma ancora una volta colpisce la sua regia che vive di una sua linearità, certamente diversa da Strade Perdute, ma che risalta per intensità: crea una pellicola in sequenza unica, da viversi come un’esperienza totale e che scorra senza divisioni o sintagmi. Un Lynch che non mistifica, che traduce il senso di tutta una vita, di tutti i suoi film probabilmente in lungo piano sequenza nutrito dal sapore del grano autunnale e dal suono di un tosaerba al tramonto.

Una storia vera

Con Una storia vera David Lynch rimescola le carte declinandosi a una regia lineare, asciutta ma disseminata da piccole dilatazioni che si espongono all’esistenza di un uomo, alle sue inquietudini, ai suoi paradossi; un uomo il cui sguardo si spalanca sulla propria vita e da essa ne trae il miglior insegnamento per poter prendere una decisione, con cui combattere durante tutto il viaggio.

Un racconto che non distorce, non adultera, non censura, non si lascia sopraffare ma riempie, unisce e ricopre i vuoti con un filo eterno, una frase, una lingua d’asfalto, una direzione, un colore, un ritmo, un battito che permette ad Alvin di non incespicare più nel suo veleno e incedere verso un finale spettacolare.

Una storia vera è una pura narrazione pastorale, bucolica, ai limiti del dantesco, con riferimenti al grano, al cielo, ai conflitti interiori ma anche quelli bellici, è un film che resta nel cuore, resta impresso nella memoria e che possiede una verità sempiterna, una dote, una rarità e una bellezza che non invecchia mai.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5