TFF37 – Un confine incerto: recensione del film di Isabella Sandri

Un confine incerto si fa portatrice di un male, di un’ossessione e di un’ambiguità che mette costantemente a disagio lo spettatore.

Negli ultimi quindici anni, Isabella Sandri con i suoi lavori (alcuni dei quali realizzati al fianco di Giuseppe Gaudino) ha raccontato storie di bambini e di adolescenti: dai profughi palestinesi in Libano agli orfani delle “bombe intelligenti” in Afghanistan, dai figli dei lavoratori delle maquilas messicane, alle bambine sopravvissute alle stragi in Ruanda, o ai piccoli indios sterminati dall’arrivo dei bianchi nella Terra del Fuoco e in Patagonia. Ma qual è una delle crudeltà più gravi che continua a esistere in questa nostra epoca, uno dei mali peggiori? Forse portare via il futuro all’essere umano, la forza di credere in sé. Uccidere la sua forza ma anche – forse peggio – la sua parte tenera. Uccidere la tenerezza che l’essere umano ha dentro: il bambino. Nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Un confine incerto, realizzata in solitaria e presentata in anteprima nella sezione After Hours della 37esima edizione del Torino Film Festival, la Sandri ci mostra come ciò può avvenire.

Un confine incerto: una storia di pedofilia e rapimento di minori al centro del nuovo film di Isabella Sandri

UN CONFINE INCERTO Cinematographe.it

La violazione dell’innocenza va in scena quotidianamente in un camper parcheggiato nella Foresta Nera, nel quale vive una strana coppia formata un ragazzo di nome Richi e da una bambina chiamata “Sputo”. A centinaia di km di distanza, in quel di Roma, c’è chi invece questa violazione prova con tutti i mezzi a sua disposizione a impedirla. Lei è l’agente della Polizia Postale Milia Demez e il suo compito è quello di indagare su una rete di pedofili. Per farlo, ogni giorno cataloga foto e video dal web: si sente sempre in ritardo, impotente e “fuori sincrono” di fronte ai crimini a cui assiste senza poter intervenire. Analizzando l’ennesimo filmato, scopre l’identità di una bambina: è Magdalena Senoner, scomparsa qualche tempo prima in Sud Tirolo. Le immagini, però, viaggiano senza confini, difficile capire da dove arrivino. Anche il mondo dei protagonisti fluttua tra Paesi e lingue diverse. Milia sarà in grado di decifrare la scomparsa assurda di quella bambina grazie a una lingua poco parlata, ma che lei conosce bene, il Ladino?

Un confine incerto: un film che si ricollega a tragiche storie vere, come quella di Denise Pipitone

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Alla visione del film la risposta, ma già sulla carta si intuisce quanto complesso possa essere tale quesito. Del resto, complesso è già di per sé l’argomento al centro dell’opera, che carica sul plot e i personaggi che lo animano tanta responsabilità e un peso specifico non indifferente. Un peso che la regista veneta prende in consegna per dare sostanza narrativa e drammaturgica a una storia che, nonostante nasca dalle menti e dalle tastiere di Gaudino e della stessa Sandri, non può non rievocare tragiche vicende realmente accadute e purtroppo ancora senza risposte, a cominciare da quella di Denise Pipitone. Richiami a parte, Un confine incerto ha il merito di non lasciarsi schiacciare dal suddetto peso come avvenuto, al contrario, ad altre operazioni analoghe che chiamavano in causa tanto la piaga della pedo-pornografia quanto quella delle sparizioni dei minori per chissà quali fini.

Il film di Isabella Sandri riesce a mettere a disagio lo spettatore

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La scrittura racconta entrambe le forme di violenza per dare vita a una scrittura che, prendendo in prestito i codici, i toni e linguaggi del cinema di genere (dal thriller al crime, passando per il noir), si fa portatrice di un male, di un’ossessione e di un’ambiguità che mette costantemente a disagio lo spettatore. Quest’ultimo spia dal buco della serratura un orrore che la regista dichiara, lascia intuire, ma non palesa mai fino in fondo, lasciando l’atto criminale fuori campo. Esattamente all’opposto del modus operandi di Alexandros Avranas che in Miss Violence mostra senza risparmiare nulla al fruitore. Due percorsi completamente diversi per stordire e aggredire l’occhio e la mente di chi guarda e a loro modo ugualmente efficaci. Dove il cineasta greco decide di spingersi, la collega italiana invece decide di fermarsi. Sta qui la sostanziale differenza, ossia nella soglia che la Sandri sceglie di non oltrepassare.

Un confine incerto: un film che “gioca” abilmente sulle ambientazioni

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Un confine incerto è un film che “gioca” abilmente sulle ambientazioni, con il bosco che si fa tela sulla quale dipingere una “favola nera” dove un orco e una principessa convivono in scenari naturali che fanno da contrappunto alla storia. Peccato che il dramma malato che si consuma al suo interno perda la carica e le emozioni efficacemente accumulate lungo il percorso, disperdendole in digressioni poliziesche e investigative che non riescono a tenere il passo e a creare il giusto controcampo. L’esigenza di creare un equilibrio, tanto quanto quella di chiudere il cerchio, genera purtroppo dei passaggi a vuoto e delle fasi di stallo che dilatano eccessivamente la durata, il ritmo e la timeline. Ne risente la scorrevolezza della narrazione, le one-lines dei personaggi (alcuni dei quali meramente accessori come quello della psicologa Paola Cristiani), ma per fortuna non la confezione che ha nella regia puntuale e solida della Sandri, nella colonna sonora di Epsilon Indi e nelle interpretazioni di Cosmina Stratan (Milia), Moisè Curia (Richi “Pamper”) e della piccola Anna Malfatti (Magdalena Senoner), le note positive.

Regia - 3
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.2