Berlinale 2018 – U – July 22: recensione

La recensione di U - July 22 (Utøya 22. juli), film del norvegese Erik Poppe presentato durante la quinta giornata della Berlinale 2018

C’è una sottile linea che separa la volontà di fare un film che documenti un atto terroristico per sensibilizzare gli animi – o per assicurarsi che ciò che è accaduto non venga dimenticato – e il farlo per il solo gusto di trasfigurare la tragedia in arte. È proprio per questo motivo che, quando si decide di approcciarsi a questo tipo di cinema dal retrogusto pruriginoso e al tempo stesso documentaristico, la luce che guida l’opera non dovrebbe essere altro che una piena consapevolezza di cosa vogliamo che il nostro film rappresenti, che cosa debba comunicare agli spettatori. Nel caso di U – July 22 (Utøya 22. juli), film del norvegese Erik Poppe presentato alla critica durante la quinta giornata del festival, la linea purtroppo non è così netta come dovrebbe.

Nel pomeriggio del 22 luglio 2011, un’autobomba viene fatta esplodere nel centro di Oslo vicino ai palazzi governativi. Nello stesso momento, sull’isola di Utøya, quaranta chilometri a nord-ovest di Oslo, mentre è in corso un campus della sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese, la notizia comincia a serpeggiare tra i partecipanti nonostante lo scarso segnale di cui si gode sul posto. Quando un gruppo di giovani ritorna da una nuotata nel lago scherzando come se nulla fosse, Kaja (Andrea Berntzen), infastidita dal comportamento della sorella che si trova tra loro, sente il bisogno di farle notare la cosa. Pochi minuti dopo la loro discussione, cominciano a sentirsi degli spari sull’isola e il panico dilaga. Quelli che seguiranno saranno 72, lunghissimi minuti, di fredda furia omicida.

U – July 22: la messa in scena del terrore avulso da qualsiasi esigenza documentaristica

Inserendosi nella sparuta lista di quei film girati in long take – una lunghissima, unica, inquadratura – telecamera in mano, U – July 22 cattura velocemente lo spettatore proiettandolo nell’azione e acuendo la sensazione di coinvolgimento emotivo. L’occhio della telecamera potrebbe infatti essere il nostro e noi siamo a Utøya, pronti a scappare e nasconderci nell’ameno bosco circostante. A questo proposito, è altamente funzionale la scelta di focalizzare l’attenzione su Kaja (incredibile la prova attoriale dell’esordiente Berntzen), che assurge quindi a eroina dell’intero film, nella sua disperata ricerca della sorella tra le tende dell’accampamento e la vegetazione.

Aprendosi con panoramica aerea sulla città di Oslo a cui fanno immediatamente seguito una serie di immagini come estratte da una telecamera di sorveglianza a mostrarci il momento dell’esplosione dell’autobomba, il film sembra faccia del documentario la sua chiave stilistica. Ma è il repentino stacco sull’idilliaca isola di Utøya e l’entrata in scena della protagonista a informarci della natura romanzata del racconto (comunque basato sulle vere testimonianza dei sopravvissuti, come ci si premura di ribadire in un paio di disclaimer a inizio e fine film) . Proseguendo nell’azione diventa sempre più chiaro che, tra le intenzioni di Poppe, non c’è affatto quella di presentare un disamina dell’accaduto ma solo quella di seguire una storia che sappia coinvolgere e consegnarci uno spaccato verosimile di cosa abbia voluto dire trovarsi su quell’isola in quel momento.

U – July 22 e il dibattito sul fine dell’arte

Non entrando, se non per un fugace momento, all’interno dell’inquadratura, il terrorista Anders Breivik, unico autore di entrambi gli attentati in Norvegia, rimane sempre e solo un pericolo senza volto, i cui spari che sembrano provenire da ogni parte dell’isola diventano quasi parte integrante della colonna sonora. Al contrario, sono i volti dei giovani a essere protagonisti. Non solo quello di Kaja su cui la telecamera stringe spesso in primi piani alla costante ricerca di ogni sfumatura emozionale ma anche quelli dei suoi compagni, dalla sorella Emilie agli amici con cui si nasconde inizialmente.

U – July 22 non può quindi che essere definito un film controverso. Un film per cui diventa lecito chiedersi quale possa esserne lo scopo e se fosse davvero necessario girarlo. Non aggiungendo niente a ciò che sappiamo degli attentati, se non un continuo senso di angoscia al sentire il susseguirsi di spari, urla e terrore dilagante, il film sembra piuttosto una vuota dimostrazione di come, con le giuste accortezze, sia possibile trasporre una tale follia omicida sullo schermo. Tecnicamente ben fatto, ma vuoto.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.7

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