To End All War: Oppenheimer & the Atomic Bomb – recensione del documentario

Prodotto da Sky, il documentario è stato distribuito in concomitanza con l'uscita del film di Christopher Nolan.

Mentre l’industria continua a fermentare per il fenomeno cinematografico dell’anno che, dopo aver travolto gli Stati Uniti con il chiacchieratissimo Barbenheimer, ha finalmente fatto approdare anche nelle sale italiane l’ultimo film targato Christopher Nolan, Oppenheimer, furoreggiano i documentari e gli approfondimenti riguardo ad uno dei personaggi più influenti del XX secolo. To End All War: Oppenheimer & the Atomic Bomb è il documentario prodotto da Sky e distribuito a poche ore dall’uscita italiana del film con Cillian Murphy. L’opera, diretta dallo statunitense Christopher Cassel (Into the Wild Frontier, Primal Instict), ricostruisce le fatiche e i tormenti del brillante e determinato scienziato, per mezzo di immagini d’archivio e interviste esclusive, tra cui quella allo stesso Christopher Nolan, quella a Charles Oppenheimer (nipote del fisico) e quella al sopravvissuto di Hiroshima, Hideko Tamura.

Leggi anche Oppenheimer: recensione del nuovo film di Christopher Nolan

To End All War: atto di guerra e atto di pace

To End All War cinematographe.it

Mi è stato chiesto se, negli anni a venire, sarà possibile uccidere 40 milioni di americani con l’uso di bombe atomiche in una sola notte. Temo che la risposta a questa domanda sia sì“. Il documentario parte dalle parole dello stesso Oppenheimer, dal suo volto che, con occhi di ghiaccio, ci trafigge fin dal primo scatto e ci attrae verso una lucida ricostruzione del suo pensiero e delle intuizioni che hanno definitivamente cambiato il mondo. L’opera mantiene una costruzione temporale che parte dagli anni ’30, quando l’ascesa di Hitler e dei nazisti unita alla scoperta del fenomeno della fissione portarono alla conseguente rincorsa al nucleare, con gli Stati Uniti intenti ad anticipare i tedeschi nella costruzione di nuovi ordigni potenzialmente catastrofici; si arriva, pertanto, alla nascita del progetto Manhattan, la quale direzione fu affidata al già noto scienziato non per la sua esperienza bensì per la sua conoscenza ed il modo che aveva di esporla.

Il racconto del trasferimento in New Mexico per la costruzione della bomba e i test nucleari si alterna ad un complementare scavo nel privato del protagonista, tramite l’analisi della duplice relazione con la moglie Kitty e l’amante di tutta una vita, Jean Tatlock, e le strette relazioni con i membri del Partito Comunista (tra cui la Tatlock stessa e il fratello di lui, Frank Oppenheimer), uniti alla consequenziale e misteriosa scomparsa di lei. La documentazione storica prosegue sino ad arrivare alla definitiva detonazione, a quei 3 giorni tanto rovinosi per gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki che hanno poi accompagnato Oppenheimer per tutto il resto della sua vita, angosciandolo per il senso di colpa, pur nella convinzione di aver agito nel giusto.

Un atto di guerra o un atto di pace, un atto di guerra voluto per assicurare la pace ma che, per il dolore inflitto, il suo stesso ideatore non ha mai digerito. Eppure la storia prosegue, incespica sulla rivoluzione data dal nuovo assetto mondiale, dalla morte di Roosevelt e l’arrivo di Truman, da una nuova conoscenza bellica necessitante di un controllo e di una gestione di cui il protagonista si occupa sino alla postulazione di un nuovo armamento ancor più rovinoso: la bomba a idrogeno, il quale rifiuto categorico da parte di lui lo porta a scontrarsi ripetutamente con i suoi colleghi sino all’epilogo finale.

Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi

Oppenheimer cinematographe.it

La frase pronunciata da Robert Oppenheimer in occasione del Trinity Test del 16 luglio 1945, prova generale prima del fatale bombardamento sul Giappone, chiarifica con tragico sarcasmo e sorprendente consapevolezza tutta la genialità, tutta la determinazione, tutta l’alterigia di un uomo voluto a capo del progetto per la sua intelligenza, per la fame di conoscenza che lo ha spinto a convincersi che fosse quello l’unico modo per porre fine alla guerra per sempre. L’obbiettivo del fisico non era che quello fosse il primo di tanti ma che piuttosto fosse l’ultimo definitivo bombardamento, che avrebbe persuaso chiunque dal riproporre un’offensiva bellica in scala mondiale; la sua è una soluzione che miscela il soddisfacimento personale per aver addirittura oltrepassato le aspettative al senso di colpa per uno degli atti di guerra più deprecabili di cui abbiamo notizia, lui che non chiese mai pubblicamente scusa a nessuno ma che quando andò ad incontrare Truman affermò “Io ho le mani sporche di sangue“. Un uomo non facilmente decifrabile, col volto da copertina ma di una rivista complicata nella sua lettura, come nel lavoro, così nei rapporti, emblematizzati dalla compresenza costante di Jean e Kitty, ma di certo una figura dirompente dello scorso secolo che, come ci ricordano le ultime battute del documentario, non era solamente bomba atomica ma ha contribuito enormemente allo sviluppo scientifico anche, per esempio, con lo studio dei buchi neri.

To End All War: valutazione e conclusione

La risposta documentaria di Christopher Cassel a Christopher Nolan non incappa in alcun errore ma anzi dà un’esaustiva ed interessante rilettura storica del personaggio, inquadrato, disegnato, animato, perscrutato, visto nella sua totalità, nel sua sfaccettata complessità tramite immagini d’archivio che, in diversi momenti, ne riportano i respiri e le parole, tramite interviste che testimoniano la vicinanza di alcuni e lo studio di altri e tramite un’audace animazione che, in alcuni frangenti, dona nuova vita e nuova linfa al personaggio. Il montaggio che fluidamente passa attraverso queste differenti forme espressive crea un contrasto fotografico che esalta i momenti d’archivio, attribuendo al progetto ancor più credibilità e aderenza ai fatti. Fatti riportati oggettivamente, nel rispetto della propria natura controversa, che non vengono giudicati ma solamente letti, documentati ed esplicati per essere ragionati ed appresi in maniera totalmente personale.

Leggi anche Oppenheimer: storia e significato della fatidica frase “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6