Venezia 79 – The Whale: recensione del film di Darren Aronofsky

Aronofsky porta in scena una autentica tragedia umana, che colpisce per la sua intensità.

The Whale è il nuovo film del pluripremiato regista americano Darren Aronofsky, noto al grande pubblico per essere l’autore di pellicole del calibro di Requiem for a Dream, The Wrestler e Il cigno nero. L’opera è stata presentata in anteprima presso la 79° Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, dove ha concorso per i principali premi.

Per l’interpretazione del ruolo principale, Aronofsky si è rivolto a Brendan Fraser (La mummia), che per il suo lavoro ha riscosso grande successo sia tra il pubblico che tra la critica. Fanno parte del cast anche Sadie Sink (Stranger Things), Hong Chau (Watchmen), Ty Simpkins (Jurassic World) e Samantha Morton (Minority Report). Prodotto dallo stesso Aronofsky con il supporto di A24, il film è distribuito in Italia da I Wonder Pictures.

The Whale: gli ultimi giorni di uomo

Recensione The Whale - Cinematographe.it

La vicenda narrata da The Whale è interamente ambientata all’interno dell’appartamento di Charlie (interpretato da Brendan Fraser), un uomo affetto da obesità cronica. Durante la visione di un filmato pornografico è colto da un malore e viene soccorso dal giovane Thomas (Ty Simpkins): un missionario cristiano che per puro caso bussa in quel momento alla sua porta. Convinto di essere in punto di morte, Charlie chiede al ragazzo di leggergli uno specifico saggio letterario.

La crisi si rivela non essere letale e Charlie sembra riprendersi completamente. Quando viene raggiunto da Liz (Hong Chau), l’infermiera che si prende cura di lui, riceve nuove cattive notizie. Una breve visita rivela che le condizioni dell’uomo sono estremamente gravi e, per sperare in un miglioramento, un ricovero ospedaliero è assolutamente necessario. Il protagonista non è però interessato a curarsi e, sentendo l’approssimarsi della morte, decide di ricontattare sua figlia Ellie (Sadie Sink), con cui non ha più un rapporto da diversi anni.

Il proprio rifugio, la propria prigione

Recensione The Whale - Cinematographe.it

Come si accennava nel precedente paragrafo, The Whale è interamente ambientato all’interno di un solo appartamento. Questa scelta dipende dalla volontà dell’autore di porre l’accento sulla condizione di isolamento del protagonista. Charlie, schiacciato dal peso di un intollerabile dolore, ha trovato rifugio all’interno delle mura di casa. Anche la sua obesità deriva dalla necessità di sfuggire al presente: il corpo è da lui usato come ulteriore barriera con il mondo.

Il momento scelto come inizio non è causale: rappresenta l’ultimo tentativo di Charlie di fuoriuscire dal proprio rifugio per tornare a confrontarsi con gli altri esseri umani. Questo vuole dire esporsi a un enorme rischio: quello di soffrire di nuovo. Eppure, spinto dall’approssimarsi della fine, il protagonista si rende conto della necessità di rischiare per un ultima volta. Riuscire a stabilire una connessione con Ellie potrebbe significare la sua definitiva liberazione dalle prigioni che si è costruito intorno.

Ricostruire il rapporto con la figlia non è però un’impresa semplice. Questa porta su di sé i segni della ferita emotiva procurata dall’abbandono del genitore. Quello tra Ellie e Charlie è un confronto tra due esseri feriti nel profondo. A differenza di suo padre, la sofferenza di Ellie è esposta affinché tutti la possano vedere. Se è la disperazione a caratterizzare Charlie, sua figlia è invece condizionata dalla rabbia.

Eppure, a guardare bene, anche la giovane è prigioniera del proprio turbamento. La rabbia che la rende maligna è uno strumento di protezione che utilizza per impedire a chiunque di avvicinarsi. Come suo padre, Ellie teme di essere ferita nuovamente. Per approcciarsi a lei, Charlie deve quindi rinunciare alle sue difese e accettare di essere aggredito.

Uno sguardo amorevole

Recensione The Whale - Cinematographe.it

Quella narrata da Aronofsky in The Whale è una autentica tragedia umana, che colpisce per la sua intensità. Per renderle pienamente giustizia, l’autore ha utilizzato un approccio lievemente diverso da quello che gli abbiamo visto adottare in passato. Rinuncia infatti al grottesco, che avrebbe potuto depotenziare la premessa, e mette in scena un vero e proprio dramma da camera, dall’impostazione a tratti teatrale.

Per trasmettere al meglio il senso di reclusione, limita l’immagine all’interno del formato in 4/3, che riduce notevolmente l’ampiezza dell’inquadratura. Opta inoltre per una regia semplice, priva di qualsiasi forma di virtuosismo, che utilizza per esplorare i corpi e i volti dei suoi personaggi. Si tratta in ultima analisi di una messa in scena funzionale, che contribuisce all’apparato narrativo dell’opera.

Non si tratta però di uno sguardo freddo, anzi. Il regista mostra enorme rispetto per i personaggi di The Whale e per il loro dolore. Questo approccio lo porta a lasciare al di fuori della scena i passaggi più tragici della vicenda e a concentrarsi invece sulla reazione provocata da questi. Nulla è concesso al vuyerismo: la pellicola conferisce dignità agli ultimi giorni di Charlie.

Nel finale il cinema prende il sopravvento. Per trasmettere la potenza del momento conclusivo, in cui la spiritualità gioca un ruolo importante, l’autore utilizza l’effetto speciale. Lo fa stando attento a trattarlo come un elemento narrativo e dotato di significato. Si tratta di una conclusione chiara ed esplicita, che porta a termine il percorso di Charlie e lascia lo spettatore stordito e commosso. La visione di The Whale, anche grazie all’esplosione cinetica dell’ultima sequenza, non lascia indifferenti.

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Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4
Sonoro - 3
Recitazione - 4.5
Emozione - 5

4.3