Venezia 75 – The Other Side of the Wind: recensione del film di Orson Welles

Con The Other Side of the Wind, Orson Welles presenta, grazie all'amico Peter Bogdanovich, il suo personale 8½.

Fra gli eventi più attesi di una 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia che ci sbilanciamo a definire già un successo, c’era sicuramente la proiezione di The Other Side of the Wind, leggendario film incompiuto di una colonna portante della settima arte come Orson Welles. Un film fortemente voluto dal cineasta, che ha attraversato numerose difficoltà in fase di produzione e di montaggio, riuscendo però a completare solo poco più di 40 minuti della sua opera, nonostante circa 100 ore di girato. La prematura scomparsa di Orson Welles nel 1985 ci ha fino a oggi privato della possibilità di ammirare la sua opera finale, rimasta bloccata da problemi tecnici e legali per più di 30 anni.

Dopo tanta attesa, grazie anche all’ingresso nella vicenda di Netflix (che ha acquistato i diritti per la distribuzione del film), l’amico di Welles Peter Bogdanovich ha finalmente potuto mantenere la promessa fatta al regista di completare il suo testamento artistico, regalando agli spettatori di tutto il mondo un’ultima inestimabile testimonianza del genio artistico di una delle stelle più luminose del firmamento cinematografico.
The Other Side of the Wind Cinematographe.it

Con The Other Side of the Wind, Orson Welles racconta la vicenda di chiaro stampo autobiografico di Jake Hannaford (interpretato da John Huston), apprezzato cineasta di ritorno a Hollywood dopo una lunga esperienza in Europa, con l’intenzione di rilanciarsi nella più importante industria cinematografica. Una villa californiana accoglie i festeggiamenti per i 70 anni del regista e per il suo atteso ritorno, celebrato da una schiera di ammiratori e seguaci, fra cui il critico Brooks Otterlake, interpretato proprio dall’artefice della rinascita di The Other Side of the Wind Peter Bogdanovich.

The Other Side of the Wind: un’illuminante riflessione sull’artista e sul mestiere del regista

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Avvolto da un alone di mistero e leggenda fin dalla sua genesi, The Other Side of the Wind si svela finalmente a un pubblico nato per buona parte dopo la morte di Welles o almeno dopo il suo ultimo film canonico (F come Falso, del 1973). Pur con un montaggio particolarmente frenetico, con un sonoro imperfetto, con degli arditi salti da fotografia a colori a bianco e nero e più in generale con la sensazione di assistere a un prodotto rimaneggiato da troppe menti per essere realmente fedele all’intento dell’autore, questo film perduto e ritrovato rivela tutto il corrosivo genio di un autore fuori dagli schemi, che pur in una fase calante della propria carriera si dimostra particolarmente lucido e lungimirante nei confronti dell’ambiente hollywoodiano, dipinto come un mondo di serpi e finti amici parassiti, interessati solo a godersi il loro lussureggiante momento e non a Jake Hannaford.

Proprio il personaggio magistralmente impersonato da John Huston è il centro di una illuminante riflessione sul mestiere di regista, nonché di una profetica visione della fase finale della vita e della carriera di Orson Welles. La storia di un regista che fra problemi di diverso tipo non riesce a completare la sua opera più ambiziosa, l’insistita enfasi sulla tracotanza del cineasta protagonista del film e al tempo stesso sui suoi difetti, la virile arroganza del personaggio di John Huston, creato dal regista sulla base del suo stesso attore e dello scrittore Ernest Hemingway, per i quali nutriva una passiona sconfinata, e i taglienti riferimenti all’omosessualità sono tanti disordinati ma efficaci tasselli su cui viene costruita una metafora della vita dello stesso Welles, costantemente in bilico fra trionfi e fallimenti e alimentato dalla voglia di rivoluzionare continuamente la propria arte, nonostante lo scorrere del tempo e il cambiamento dei costumi.

The Other Side of the Wind: l’8½ di Orson Welles

Vista la statura di Orson Welles, non esitiamo a definire The Other Side of the Wind il suo , lontano dalla poesia, dalla vitalità e dalla precisione registica del capolavoro felliniano, ma alimentato dalla stessa sincera volontà di auto analizzarsi e di tracciare un amaro bilancio del proprio percorso artistico e dei propri fallimenti umani. Non mancano passaggi a vuoto e confusionari, vistosi cali di ritmo e la sensazione di troppa carne al fuoco messa sul piatto in maniera non impeccabile, inevitabile per un’operazione di questo tipo, ma quest’opera di resurrezione cinematografica rapisce comunque il cuore e la mente dello spettatore in quanto ultima testimonianza di un genio spavaldo e beffardo, che si mette a nudo come non mai dietro alla macchina da presa, incantandoci nuovamente per la sua natura anticonformista e per il suo sfrontato approccio all’arte cinematografica.

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Tirando le conclusioni, The Other Side of the Wind si rivela una preziosa opera di archeologia cinematografica, che pur nelle sue imperfezioni diventa fondamentale per completare l’arco artistico di un maestro della settima arte, rimasto incompiuto fino a oggi. Anche se permane la sensazione che con più mezzi, soldi e tempo a propria disposizione Orson Welles avrebbe saputo regalarci l’ultimo suo struggente capolavoro, The Other Side of the Wind diventa così la migliore approssimazione possibile del suo lavoro e un reperto storico imperdibile per tutti gli appassionati e gli studiosi, che sarà disponibile su Netflix a partire dal 2 novembre.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.7