TFF35 – The Nothing Factory: recensione

Storia di operai, il film The Nothing Factory potrebbe essere uno specchio da prendere ad esempio, peccato per alcune scelte al di fuori dal realismo.

Indignazione e rivolta per gli operai dell’ultimo film diretto dal regista portoghese Pedro Pinho (Bab Sebta, Um fim do mundo, As Cidades e as Trocas): The Nothing Factory è la pellicola presentata alla 35ª edizione del Torino Film Festival che riporta con verosimiglianza le azioni di un manipolo di lavoratori deciso a non lasciarsi sottomettere dal potere dell’amministrazione. Una difesa a scopo personale per salvaguardare un’esistenza che necessita di mansioni, di stipendi nelle case, di un rispetto in quanto professionisti del settore, i quali non cedono di fronte a nessuna sconfortante offerta.

Due furgoni sono arrivati nel mezzo della notte per prelevare macchinari dell’azienda. Il giorno dopo un miglioramento ai fini dell’ottimizzazione del lavoro porta con sé un fortissimo sentore di cambiamento, dunque, di licenziamento. Una condizione che troppi addetti alla costruzione di ascensori, oggetto trattato dalla fabbrica, non possono sostenere, una situazione nella quale non si possono trovare, decisi così ad agire con qualsiasi mezzo pur di mantenere stretto un misero stipendio. Uno sciopero che diventerà autogestione, che diventerà tentativo di portare avanti in solitaria l’impresa, un’esplorazione delle estreme conseguenze a cui giungono i lavoratori se privati dell’opportunità di lavorare.

The Nothing Factory – La precisione da documentario che tende però a cambiare

the nothing factory

The Nothing Factory è talmente preciso, talmente lineare da poter semplicemente passare per un documentario. I movimenti delle riprese, la macchina cinematografica come occhio indagatore che prova a recepire le dinamiche di un incasinato evento, tutto volto ad istituire una parvenza, incredibilmente riuscita, di realtà. O almeno nella sua prima parte di narrazione, in cui di nota una descrizione che copia bene il mondo intorno, finché non si lascia trasportare su svolgimenti finali discutibili e come staccati dalla sobrietà iniziale dell’opera. Un film che estende la propria durata nell’arco di tre ore di visione, per nulla facili da seguire se sprovvisti della voglia di scoprire determinate dinamiche, e quasi giustificate dalla necessità di voler esporre fin dove possono spingersi le intenzioni di onesti, determinati lavoratori.

Centosettantasette minuti dunque che non riescono a riportare a pieno quello che sarebbe potuto essere un perfetto specchio della forza lavoro: il capovolgimento del capitalismo, le conseguenze delle proprie malefatte a fin di giustizia, i gravitanti argomenti che girano attorno a questi temi caldi. The Nothing Factory mantiene viva la dignità degli operai, ma non l’attenzione di uno scettico pubblico incuriosito dal procedere delle vicende, ma disinteressato alla totalità della pellicola di Pedro Pihno, destinata a perdere sé stessa nel lungo contesto proposto e trasformandosi perciò con artificiosità.

The Nothing Factory – Un film incerto dai diversi binari

the nothing factory

Con voci fuoricampo ad istruire riguardo il regolamento a cui tentano di affidarsi i manovali della fabbrica, il film si rivela sia una lunga spiegazione che non sembra giungere veramente ad una chiara e prevista fine, sia l’ideazione di un’opera cinematografica che viaggia su due binari opposti seppur destinati a convergere, quello primario del racconto semplice e indicativo della storia e quello secondario, incentrato sull’esplorazione del fantasioso, che però si manifesta nella pellicola di Pihno nel modo più inadeguato.

Il risultato di The Nothing Factory è dunque incerto, un film che sembra voler lottare contro i poteri, ma alla fine invece si dirama per musiche, problemi di coppia e interviste girate in prima persona. Un miscuglio di singolarità in una sceneggiatura che, come gli operai protagonisti, vuole sicuramente dimostrare qualcosa, ma lo fa impiegando un tempo eccessivo e un mare di elementi, che evidentemente non possono portare da nessuna parte. La classe proletaria accende i motori, ma soltanto a tratti riesce a far salire a bordo lo spettatore. Una pellicola che, se avesse mantenuto il proprio realismo, sarebbe stata in grado di far sentire veramente la propria voce.

 

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2