The Girl in the Book: recensione del film con Emily VanCamp

The Girl in the Book parla di pedofilia e disfunzionalità, raccontando con grande tatto e sensibilità una storia che purtroppo è comune a molte donne.

The Girl in the Book è un film del 2015 scritto e diretto da Marya Cohn, al suo debutto dietro la macchina da presa per un lungometraggio. Il film affronta il sempreverde e scottante tema della pedofilia, e ha per protagonisti Emily VanCamp (conosciuta soprattutto per il suo ruolo nella serie Revenge), Michael NyqvistJordan LageAli Ahn e David Call. The Girl in the Book è stato trasmesso in prima TV su Sky Cinema a novembre 2018.

Alice Harvey (Emily VanCamp) è una giovane editor newyorkese, con il sogno nel cassetto di scrivere il suo primo romanz

o. La sua esistenza viene scombussolata nel momento in cui il padre, un pezzo grosso dell’editoria, le chiede di curare la nuova edizione di un romanzo di un amico di famiglia, ovvero Milan Daneker (Michael Nyqvist). Agitata e titubante per il compito assegnatole, Alice comincia piano piano a ricordare ciò che aveva cercato di seppellire nei meandri della sua mente, ovvero le molestie subite da Milan quando era ancora una ragazzina. La protagonista comincia così un difficile e tortuoso viaggio all’interno della sua stessa psiche, fra gravi ricordi che riaffiorano, contagiando la nascente storia d’amore con Emmett (David Call), la sua amicizia con Sadie (Ali Ahn) e le sue aspirazioni letterarie.

The Girl in the Book: fra pedofilia e disfunzionalità affettiva

The Girl in the Book Cinematographe.it

Passato pressoché inosservato al momento dell’uscita, The Girl in the Book è un film che nell’epoca del Me Too acquista un’importanza maggiore, raccontando con grande tatto e sensibilità una storia che purtroppo è comune a molte donne, fatta di innocenza violata, dolorosi silenzi, negazione e di ferite che a distanza di anni non si cicatrizzano, lasciando un tangibile strascico nelle vite delle persone coinvolte. Basandosi sulla sua esperienza personale, Marya Cohn cerca infatti di porre l’accento non solo sul durante, ma anche e soprattutto su ciò che accade dopo una molestia, specie se subita in giovane età, e sulle conseguenze che essa porta nella vita di tutti i giorni, nei rapporti sentimentali e familiari e anche nelle aspirazioni lavorative.

Emily VanCamp dà vita a un personaggio con alcuni punti di contatto con quello da lei interpretato in Revenge, perennemente in bilico fra disagio esistenziale, collera repressa e indomito desiderio di ricominciare. Lo spettatore entra così facilmente in empatia non soltanto con il trauma vissuto dalla protagonista, ma anche con i suoi (in certi casi pesanti) errori, frutto di un’instabilità psicologica ed emotiva sempre più profonda. Per raccontare la turbata personalità di Alice, la regista sceglie un classico ping pong fra passato e presente, fatto di continui flashback scaturiti da situazioni particolarmente stressanti per la giovane. Mentre la vita della Alice adulta è rappresentata con equilibrio e con la necessaria intensità, riscontriamo invece una certa rigidità narrativa e registica nei flashback, che, nonostante il tema particolarmente doloroso, non riescono mai a rompere la barriera fra il semplice disagio e un reale attacco alle emozioni e alle certezze dello spettatore.

The Girl in the Book non riesce a disturbare nel profondo lo spettatore

Anche se il pudore con cui Marya Cohn rappresenta le molestie subite dalla giovane Alice è giustificabile dalla necessità di arrivare a un pubblico il più ampio possibile e di focalizzare l’attenzione sull’interiorità della vittima anziché sull’esteriorità del carnefice, The Girl in the Book alla lunga patisce la mancanza di una vera e propria scena madre incentrata sull’esplosione emotiva della protagonista. Con il passare dei minuti, abbiamo infatti la sensazione che manchi un raccordo fra la Alice del passato e quella di oggi e che un semplice e particolarmente edulcorato confronto a 4 con il carnefice e con i genitori non basti a descrivere la complessa situazione emotiva della protagonista. L’incertezza delle fondamenta affievolisce così anche la forza della rinascita interiore di Alice, con la regista che complica ulteriormente la situazione optando per evitabili sfumature da commedia romantica nell’atto conclusivo.

A dispetto delle buone prove di Michael Nyqvist e di Ana Mulvoy Ten (Alice da giovane), abili a rappresentare rispettivamente il viscidume e il disagio, The Girl in the Book non riesce a lasciare realmente il segno, fallendo anche nel tentativo di creare un parallelo fra la molestia subita dalla protagonista e il furto artistico perpetrato ai suoi danni da Milan.

The Girl in the Book Cinematographe.it

The Girl in the Book si rivela quindi un film importante per la tematica affrontata, ma indebolito dall’incerta regia di Marya Cohn e da una fotografia ovattata, che non si connette mai realmente al travaglio interiore della protagonista. Nonostante la lodevole e approfondita analisi di ciò che una donna deve sopportare durante e dopo una molestia, resta quindi la sensazione che con uno sguardo più lucido e graffiante dietro alla macchina da presa il film ne avrebbe guadagnato in intensità e impatto emotivo sullo spettatore, portando quindi maggiore coraggio e consapevolezza alle vittime di queste nefandezze nella vita reale.

Regia - 2
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.9

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