The Colour Room: recensione del film con Phoebe Dynevor

La vita di un'artista non convenzionale. The Colour Room, con Phoebe Dynevor (Bridgerton) e Matthew Goode, dal 24 aprile 2022 su Sky.

Un momento molto importante nella vita dell’artista della ceramica Clarice Cliff. Da qui si parte per parlare The Colour Room, biopic in costume diretto da Claire McCarthy, su Sky Cinema dal 24 aprile 2022 e in streaming su NOW. Con Phoebe Dynevor (Bridgerton), Matthew Goode e David Morrissey, un dramma multicolore che indugia nel racconto pubblico e privato di un’eroina anticonformista per ragionare su temi decisamente attuali come emancipazione, pari opportunità, rifiuto delle convenzioni. Radicato sull’attualità di un pensiero progressista che non si impone allo spettatore con inopportuno furore ideologico, il film scivola (troppo) placidamente verso la naturale conclusione dei suoi snodi narrativi e sentimentali. Confida eccessivamente nella natura esemplare della vita della sua protagonista e non si preoccupa di costruirci attorno una sincera tensione drammatica, come invece dovrebbe, forzando la superficie. Buona fattura e risvolti di interesse autentico per un dramma in cui tutto va come ci si aspetta. Per fortuna, la direzione presa dalla vita di Clarice Cliff è quella giusta.

The Colour Room: i sogni di ceramica di Clarice Cliff

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Clarice Cliff (Phoebe Dynevor) lotta per veder riconosciuta l’unicità della sua ispirazione in un mondo di uomini che fanno spallucce. Fortuna che la pelle è dura, lo humor soddisfacente e per di più accompagnato a una naturale predisposizione all’eccentricità e all’indisciplina. Vivace operaia nell’Inghilterra degli anni ’20, mai così industriale e fuligginosa, ha le idee chiare su cosa fare e come farlo, senza curarsi troppo dell’impatto del suo genio ballerino sulla vita di chi le sta intorno. La pazienza sconcertata della mamma (Kerry Fox) e della sorella Dot (Darci Shaw), una non scontata rete di supporto emotivo che altrove, data la natura ribelle delle sue ambizioni, non le sarebbe mai stata accordata. Con tanti saluti ai suoi sogni colorati. I sogni di Clarice sono sogni di ceramica.

Clarice ne sa più di chiunque le stia intorno su ceramica, colore e dintorni. Il suo è il tipo del talento istintivo e molto fertile, The Colour Room la introduce al punto in cui il suo pensiero è già abbastanza definito. Quello che manca è l’opportunità di dare sbocco pratico a una rivoluzione di gusto e di stile che è anche, più o meno, una vernice di fresco posata su molli dinamiche di genere. Clarice è moderna in più di un aspetto. L’apprendistato, multiforme e molto eclettico. La tappa decisiva nella fabbrica del signor Colley Shorter (Matthew Goode). D’inclinazione aperto al rischio ed economicamente con l’acqua alla gola, coglie in Clarice la scintilla del nuovo e le offre una possibilità. La affida alle cure di Fred Ridgeway (David Morrissey), rinomato designer, le affianca una pattuglia di giovani e volenterose operaie. Il risultato è una linea di gioiellini in ceramica Art Deco dall’azzeccato nome di “Bizzarre“ che ovviamente all’inizio nessuno capisce. All’inizio.

Una vita esemplare in tre parti

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L’arte di Clarice Cliff è colorata, predilige l’incertezza del tocco all’algida stilizzazione di una tecnica cristallina. Intonata al gusto sbarazzino della sua ideatrice, è pensata da una donna per le donne, lì dove la mediazione maschile è possibile solo quando la collaborazione è sinceramente alla pari. Arriverà il sostegno bipartisan, anche se non da parte di tutti e al prezzo di qualche smorfia. Ma gli affari sono affari e il mondo ha bisogno di andare avanti. The Colour Room fa correre il racconto su tre binari, la vita intima della protagonista, la carriera, l’impatto sociale e politico di un certo modo di stare al mondo e di porsi tra e davanti agli uomini.

Phoebe Dynevor sceglie di stare al passo con il gusto molto attuale per storie al femminile dalla testa ai piedi. Si affida all’elegante regia di Claire McCarthy con buona volontà; chiaramente si muove con disinvoltura nei toni leggermente fuori fase del racconto in costume. Incastra, con senso della misura, l’eccentricità del suo personaggio al carattere, a suo modo anticonformista, di Matthew Goode, padrone del vapore inusuale per portamento e sensibilità. Credibile la ricostruzione dell’intimità familiare, c’è un interessante complessità ai margini della storia, racchiusa nel personaggio di David Morrissey. Il mentore scavalcato dall’allieva. Maschilista ma senza asprezze, accoglie abbastanza disinvolto la novità di un mondo in cui una donna può fare lo stesso lavoro di un uomo, meglio e più in fretta.

Il limite dell’operazione è la forza di uno sguardo retrospettivo che si accontenta di illustrare una vita esemplare, isolandone tutti i caratteri di modernità, senza dimenticarsi di nulla ma anche senza cercare di approfondire troppo. Non si sente fino in fondo la fatica, la tensione, il disagio creativo e personale di Clarice Cliff all’inseguimento di una visione peculiare. The Colour Room parla al femminile, prima persona, singolare e plurale. Non impone le sue verità con arroganza ma arriva troppo lineare sul finale. Le contraddizioni, gli egoismi, gli slanci della protagonista. I guasti, neanche pochi, della società dentro cui sperimenta la sua innovazione, non bruciano di pathos e tensione drammatica come e quanto sarebbe auspicabile.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5

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