The Boss: recensione del film con Melissa McCarthy

The Boss, che vede la collaborazione tra i coniugi Melissa McCarthy e Ben Falcone, è un film che sfocia sempre più nella banalità e nel volgare fine a se stesso, ma conserva il lato comico-demenziale.

Sul catalogo Netflix per l’Italia è appena stata inserita la commedia del 2016 The Boss con la vulcanica Melissa McCarthy. La pellicola segna la seconda tappa della vita registica di Ben Falcone, il quale, con il precedente Tammy (2014) e il successivo Life of the Party (uscito questo mese nelle sale statunitensi), conferma l’indissolubile legame artistico con la moglie Melissa McCarthy, ancora una volta presente davanti alla macchina da presa, alla sceneggiatura e alla produzione (come negli altri due film sopracitati).

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Michelle Darnell è un’orfana costretta a passare, suo malgrado, l’infanzia in un istituto gestito da suore, poiché rifiutata da ogni famiglia che si proponeva di adottarla.
Dati i suoi difficili trascorsi Michelle si chiude in se stessa e si convince di poter essere l’unica persona al mondo in grado di renderla felice. Grazie alla sua determinazione, alla sua furbizia e al fiuto degli affari, la donna diventa un’imprenditrice di successo mondiale.

Quando il mondo è ai nostri piedi però, rischiamo di dare per scontate le persone che ci sono vicine. È questo più o meno questo ciò che accade a Michelle!
Al primo passo falso della protagonista, la sua ex fiamma, nonché primo rivale negli affari, Renault (Peter Dinklage), riesce a farla finire in carcere con l’accusa di insider trading.
Il risultato è che Michelle perde tutto e, dopo aver scontato la condanna, è costretta a risollevarsi dalla polvere e ricominciare da zero per risalire la china e tornare in paradiso.
Per farlo, però, dovrà mettere da parte il suo modo di essere e i suoi ideali narcisisti perché l’unico alleato che ha è proprio Claire, l’assistente che ha maltrattato per tanto tempo.

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Melissa McCarthy è una che si dà da fare, non è una a cui piace stare con le mani in mano e la sua vita, sia professionale che privata, lo dimostra.

L’attrice è diventata famosa per il ruolo di Sookie nella famosa serie tv Una Mamma per Amica, ma ha poi spiccato il volo prendendo parte a numerose pellicole, alcune delle quali le sono valse candidature prestigiose. Per Le amiche della sposa (2011), oltre al plauso della critica, è stata nominata agli Oscar per miglior attrice non protagonista, ai BAFTA per migliore attrice non protagonista e ai SAG, sempre nella stessa categoria; inoltre per Spy (2016) ha ricevuto la sua prima nomination ai Golden Globe.

L’attrice è stata anche scelta come icona per un film ingombrante come Ghostbusters (2016) e per il rilancio dei Muppets al cinema, con il film The Happytime Murders (in uscita quest’anno).

Stiamo quindi parlando di un pezzo da novanta della nuova commedia americana, capace di giostrarsi serenamente in un film minore come quello diretto da Falcone. Forse è proprio il regista, la causa principale del fiasco della pellicola.

Tralasciando le prove di Dinklage e della Bell (il primo ci abituato molto meglio e la seconda continua ad essere un bel faccino), è intorno all’interpretazione della McCarthy che il film ruota e lì il film muore. La voglia di fare di The Boss una commedia acida e politicamente scorretta naufraga con l’incapacità di Falcone di “contenere” l’esuberanza e l’esplosività della moglie, la quale risucchia tutta la componente narrativa, rendendo sempre più insipida la profondità della storia e finendo col porre in primo piano gag e sequenze demenziali in cui può mettere in scena i suoi cavalli di battaglia.

Il film sfocia sempre più nella banalità e nel volgare fine a se stesso, ma conserva il lato comico-demenziale di chi vuole farsi due risate per un’oretta e mezza. Lascia niente, ma la McCarthy fa divertire, a suo modo.

Regia - 1
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 1
Recitazione - 2.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 0.5

1.3

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