Roma FF16 – Terrorizers: recensione del film di Ho Wi-Ding

Quattro storie che si intersecano in un vortice di ossessioni e azioni psicotiche: Terrorizers è il nuovo film ispirato all’omonima pellicola del 1986.
Un vortice di ossessioni e sentimenti celati e nascosti, invalidati da una costante e pericolante malattia nascosta dalle tranquille e silenziose apparenze. I film orientali, con la loro meditata avversione nei confronti dei virtuosisimi estetici e narrativi, si concentra sul connubio imperfetto tra detto e non detto, celato e manifesto, che da sempre caratterizza la filmografia giapponese, cinese, coreana.
Queste caratteristiche sono ben presenti in un film questa volta di Taiwan, che si ispira ad un film omonimo uscito ormai più di 30 anni fa, nel 1986: Terrorizers di Ho Wi-Ding è un film corale e episodico, caratterizzato da un montaggio alternato che presenta quattro storie parallele di cinque personaggi differenti che convergono nella stessa dinamica narrativa. Presentato alla 16ª Festa del Cinema di Roma in concorso ufficiale, ha fatto parlare di sé e ha destato molta curiosità, sia per i cinefili che già conoscevano il film omonimo di Edward Yang, sia per chi si approccia per la prima volta a questa storia.

Tutto comincia con un bicchiere in frantumi, che sfugge dalle mani di Yu Fang spaventata dalla presenza di Ming Liang, suo coinquilino dall’aura cupa e misteriosa. Da qui si dipanano quattro storie complementari, accomunate dalla presenza criptica di Ming Liang, ossessionato dalla violenza e dalla perversione, che segue incessantemente Monica, cam girl in declino, e che intende eliminare tutto quello che lo divide dalla sua ossessione erotica.

Terrorizers: una scomposizione episodica che rimescola le carte in tavola

Terrorizers Cinematographe.it

Il film di Ho Wi-Ding ha una composizione strutturale che si evolve mano a mano che si procede con la narrazione: da una composizione narrativa e fotografica molto pacata e legata ad una cura alla strutturazione dell’inquadratura quasi manichea, si approda ad un ritmo serratissimo, concitato e frenetico, che poco lascia spazio alla contemplazione della fotografia, ma che indirizza lo sguardo dello spettatore verso la comprensione del folle quadro mentale che Ming Liang ha in mente.

Come il ritmo, la stessa ossessione psichica del protagonista aumenta con il proseguire della narrazione, o meglio, viene esplicitata maggiormente. Questo perché ad un certo punto del film vengono riavvolti i fili della storia, si ripropongono alcune scene già presentate all’inizio, ma implementando alcuni accenni psicologici ed alcuni elementi che hanno l’obiettivo di rimettere insieme i pezzi del puzzle narrativo per comprendere meglio la trama. Ma ciò non fa altro che frammentarla ancora di più, dovendo mettere in atto un meccanismo mnemonico necessario per comprendere la chiave di lettura della storia. Questo perché a livello temporale è molto confusionario, le motivazioni iniziali dei personaggi non si comprendono minimamente, ma con l’aggiungersi di elementi si può comprendere meglio la psicologia dei personaggi, che però, bisogna dire, risulta essere estremamente ermetica, non particolarmente caratterizzata e, dunque, non contestualizzata. Forse anche la recitazione, non molto enfatica e per certi versi contenuta in una pacatezza orientale destabilizzante, non permette di entrare completamente in sintonia con i personaggi.

La psicologia occultata dal sonoro in Terrorizers

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Il profilo di Ming Liang è quello di un ragazzo destabilizzato, caratterizzato da una psiche compromessa e ossessiva, che manifesta dei gesti e delle azioni psicotiche apparentemente incomprensibili per via della sua tacita natura, ma che si esplicitano nel momento in cui la storia, in maniera ingarbugliata e per nulla funzionale, si riavvolge e mostra le parti mancanti che erano state omesse precedentemente.

Il suono è fondamentale in questa pellicola: i suoni diegetici ed extradiegetici coprono le parole, per bloccare la comprensione della narrazione soggettiva e occultare quindi quegli elementi che non possono essere ancora mostrati. È, inoltre, un elemento di disturbo che occulta la presenza di Ming Liang e ne facilita dunque l’azione. Al contempo i silenzi e l’assenza di suono sono sintomo di una tensione costante che si riversa nel tessuto filmico, veicolando quindi le sensazioni e le emozioni in base alla connotazione sonora dell’accostamento visuale.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8