TFF35 – Seven Sisters: recensione del film di Tommy Wirkola

Seven Sisters, in uscita nelle sale italiane dal 30 novembre 2017 con Koch Media, si regge interamente sulle sette interpretazioni di Noomi Rapace, presentando però delle pecche stilistiche

Seven Sisters, presentato alla 35ª edizione del Torino Film Festival, è un thriller fantascientifico diretto da Tommy Wirkola ed interpretato da Noomi Rapace, Willem Dafoe e Glenn Close.

In un prossimo futuro il pianeta è scosso da carestie e dalla sovrappopolazione che come una tenebra incombe e mina il futuro della Terra e dei suoi abitanti. Vengono così varate misure drastiche che impediscono alle famiglie di poter procreare in maniera incontrollata, limitando ogni famiglia ad avere un solo figlio. Nicolette Cayman (Glenn Close) è direttrice del dipartimento di riassegnazione dei bambini, che ha il preciso compito di prelevare qualsiasi ragazzino/a che non sia primogenito, per poi inserirlo nel programma della crioconservazione, che iberna il corpo in attesa di tempi migliori.

Seven Sisters

In questo mondo così esasperato e dispotico vengono alla luce sette gemelle, cresciute dal nonno in modo preciso e protettivo. Per poter sfuggire al controllo e sopravvivere fingono di essere la stessa persona, Karen Settman, ma non escono mai tutte assieme, bensì un solo giorno a settimana: il nonno ha denominato ognuna di loro come i giorni della settimana, così da far vestire settimanalmente i panni di Karen Settman a seconda del giorno di cui portano il nome.

Le sorelle, in assoluta segretezza e in perenne fuga dalla politica di conservazione, si nascondono nella loro abitazione, convivendo, senza aver mai la possibilità di poter avvicinarsi a qualcuno. Nonostante i disaccordi tra sorelle e l’impazienza di avere una vita propria, le sorelle tentano di camuffarsi dietro l’identità di Karen, finché una sera Lunedì, di ritorno dal lavoro, non sparisce nel nulla.

Seven Sisters mostra una prospettiva catastrofica e dittatoriale del futuro prossimo

Seven Sisters mostra una prospettiva catastrofica, una realtà seppur distopica del mondo tra cinquant’anni, la diretta conseguenza della sovrappopolazione e dell’incuria verso il pianeta, pervasa da un clima dittatoriale che impone alle famiglie la legge del figlio unico (come accadde in Cina nel 1979). Seven Sisters è un film che si regge sulle sette particolari e diversissime interpretazioni di Noomi Rapace, protagonista della trilogia filmica Millennium, che ha dalla sua una credibilità e una versatilità impressionante.

Seven Sisters è una critica sociale non del tutto nuova, considerando che l’idea di un mondo futuro adombrato dalle dittature o da un devastante oscurantismo politico nei confronti della procreazione è di per sé un’analisi che ha una precedenza, corrosiva e reale. Quindi la previsione della pellicola non è più una previsione, la pellicola non ha quel particolare scatto verso il domani che anticipi qualcosa: Seven Sisters sembra, piuttosto, essere stata scritta dieci anni fa.

Ciò che rende il film maggiormente oneroso e fallace è la condizione di un pianeta allo stremo, sterile. Per quanto sia apprezzabile tergiversare su una tematica non troppo cara alla politica mondiale, lo scenario di una Terra inaridita e sterile è già stato portato avanti spesso e con risultati sicuramente migliori e più esaustivi, in pellicole come Elysium e Downsizing.

Seven Sisters è un film che si regge sulle sette particolari e diversissime interpretazioni di Noomi Rapace

Seven Sisters

Seven Sisters non convince per alcune scelte stilistiche che ne irrigidiscono ogni virtù

Seven Sisters è determinato da una scrittura mai appesantita dalla complessità dei ruoli, non c’è dispersione e d’altra parte si può notare come la fotografia e i toni siano freddi, glaciali, cosa che rende i personaggi parte di un mondo che li rigetta, una realtà che abortisce il superfluo e dà vigore al solo. La società che vivono le sette sorelle impedisce ogni slancio, ogni personalità, impone un controllo sistematico, in cui l’idea fascista della famiglia e della sua centralità è resa ancor più prigioniera e serrata. Non a caso la pellicola è ambientata in Europa.

Ma se la pellicola mostra punti di forza apprezzabili, non si può non notare come i giusti presupposti vengano poi sviliti soprattutto nel finale, in cui la narrazione diventa prevedibile e irritante, non solo per l’impostazione della trama ma per alcune scelte stilistiche precise che ne irrigidiscono ogni particolarità, ridimensionando quelle che sono le virtù di una pellicola che nasce come critica sociale per poi demolirsi nel circuito del dramma sentimentale ai limiti del grottesco.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.4