Scary Stories to Tell in the Dark: recensione del film

La nostra recensione di Scary Stories to Tell in the Dark, adattamento degli omonimi libri di paura per ragazzi prodotto da Guillermo del Toro e diretto da André Øvredal.

Il calore del fuoco, la luce pallida della luna, l’odore dolciastro dei marshmallow che si squagliano e una torcia che illumina da sotto il volto di chi, con toni misteriosi e drammatici, sta raccontando una storia di paura che, probabilmente, disturberà il sonno di coloro che gli stanno attorno. È il meraviglioso cliché che accompagna solitamente l’idea che abbiamo dei bivacchi dei boy scout americani ed è il presupposto di Scary Stories to Tell in the Dark che, da collana di racconti per ragazzi, è diventato un film diretto da André Øvredal in uscita il 24 ottobre 2019 distribuito da Notorious Pictures.

Il film prende spunto da alcuni racconti contenuti nei tre volumi pubblicati dal 1981 al 1991, scritti da Alvin Schwartz e illustrati (originariamente) da Stephen Gammell, che negli anni sono diventati – seppur non al pari de I Piccoli Brividi di R. L. Stine, che sono la serie di libri per bambini più venduta della storia – un vero e proprio culto per grandi e piccini appassionati di racconti dell’orrore.

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A trasporre le storie dalla carta alla pellicola sono stati Guillermo del Toro, Patrick Melton e Marcus Dunstan, i quali hanno scritto il soggetto poi trasformato in sceneggiatura dai fratelli Dan e Kevin Hageman e reso materia viva da Øvredal, che si era fatto notare nel 2016 con Autopsy (un horror per niente male, che giocava con lo spettatore fino alla fine).

Scary Stories to Tell in the Dark: di cosa parla il film?

L’adattamento si muove in maniera abbastanza semplice. Nel 1968, durante la notte di Halloween, gli amici Stella, Auggie e Chuck fanno uno scherzo al bullo Tommy per vendicarsi dei suoi soprusi. Tommy, per fargliela pagare, li rinchiude in una casa abbandonata appartenuta alla famiglia Bellows. Leggenda narra che la dimora sia infestata dallo spirito di Sarah, la figlia più giovane dei Bellows, la quale veniva tenuta rinchiusa dalla sua famiglia in una stanza segreta e il cui unico contatto col mondo erano delle storie spaventose che la ragazza raccontava ai giovani della città per avere un po’ di compagnia. Cercando una via d’uscita dalla casa Stella – a sua volta scrittrice in erba – trova un libro contenente tutti i racconti di Sarah. Decide di portarlo a casa con sé, ma scoprirà presto che non è stata una buona idea.

Nel libro cominciano a comparire delle storie nuove, scritte col sangue, che hanno come protagonisti proprio il suo gruppo di amici.

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Scary Stories to Tell in the Dark: tanto potenziale sprecato

Scary Stories to Tell in the Dark ha un potenziale enorme. Enorme. Il materiale di partenza è un gioiellino del genere, che basa il proprio orrore sull’angoscia, l’inquietudine e l’immediatezza tipica dei racconti brevi ben fatti. Il film ha le spalle coperte da del Toro, che è un autore celebrato spesso per i giusti motivi e che si è più volte misurato con atmosfere horror che hanno lasciato il segno, primo tra tutti Il labirinto del fauno. Insieme a lui c’è André Øvredal che, con il già citato Autopsy, aveva gettato le basi per diventare un fan favourite degli appassionati del brivido. Cosa manca?

Mancano molte cose, prima tra tutte il coraggio di realizzare un film più semplice, che potesse davvero basarsi sulle proprie storie piuttosto che su una narrazione-collante che fa acqua da tutte le parti. Gli sceneggiatori di Scary Stories to Tell in the Dark si sono sentiti in obbligo di creare un mondo che potesse accompagnare i racconti di paura e si sono affidati alla sfruttatissima formula del gruppetto di amici pre-adolescenti che, grazie a It e a Stranger Things, è diventata per Hollywood il cavallo su cui puntare. All’interno del film, però, è proprio l’ingrediente umano a fallire clamorosamente, con dei protagonisti coi quali si fatica a provare davvero empatia.

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Allo stesso modo è fallimentare l’appiglio al contesto socio-culturale dell’epoca. Siamo nel 1968 e Scary Stories to Tell in the Dark si sente in dovere di introdurre i suoi spettatori alla guerra in Vietnam e all’ascesa del Presidente Nixon. Entrambi sono elementi di totale contorno la cui presenza non è mai in nessun modo giustificata né dalla trama, né dal possibile significato profondo che essi dovrebbero comunicare. Cosa vuole dimostrare il film mostrandoci i giovani americani pronti a partire per combattere una guerra già sviscerata in prodotti (decisamente e irrimediabilmente) migliori? Perché stravolgere il fascino senza tempo dei libri di Schwartz – profondamente radicati nelle leggende metropolitane e nei racconti folkloristici – per inondare il film con le ansie culturali e sociale dell’epoca?

Perché Scary Stories to Tell in the Dark non è un film a episodi?

Diventa quasi automatico fermarsi a pensare quello che sarebbe potuto essere Scary Stories to Tell in the Dark. Le potenzialità per diventare un buon prodotto di intrattenimento per una certa fascia di pubblico in vista di Halloween erano lì da vedere. E basta un solo attimo per realizzare come la modalità migliore per portare i racconti di Schwartz al cinema fosse attraverso un film a episodi. Perché stravolgere completamente la natura dei libri e trasformare una narrazione antologica in una storiella adolescenziale (con poco appeal, per giunta)?

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Insomma, sarebbe stato così assurdo mantenere la natura del materiale d’origine e unire le storie in un contenitore più semplice? Quanto sarebbe stato più godibile ambientare il film durante quel proverbiale falò notturno, con una competizione a “chi racconta la storia più spaventosa”? In fondo, presi singolarmente, gli incontri dei protagonisti con i mostri del libro di Sarah Bellows non sono niente male (per la maggior parte). L’uso della computer grafica è minimo – seppur sarebbe stato completamente evitabile – e le creature rispecchiano l’amore di Guillermo del Toro per il lato artigianale del cinema. L’estetica del film riporta parecchio alla natura folkloristica dei libri, partorendo dei visual che sono davvero, davvero, il lato migliore di tutta la pellicola.

Dal punto di vista tematico, però, quell’estetica da horror per ragazzi cozza parecchio con il tentativo di realizzare una storia dell’orrore socialmente impegnata, tipica di un cinema (per forza di cose) più adulto, ma mai davvero sviscerato. I due elementi proseguono su binari paralleli e non si incontrano proprio mai. Ci si ritrova a desiderare più mostri o, almeno, più di quelli che ci vengono effettivamente mostrati.

Scary Stories to Tell in the Dark è una grande delusione, sebbene non sia certo il primo film dell’orrore a infarcirsi di allegorie sociali pigre e sciatte, tra un brivido e l’altro. Avremmo preferito più decisione: una metafora sociale brillante e tagliente, completamente impegnata a denunciare la situazione culturale del tempo, oppure (detto francamente) un semplice prodotto di intrattenimento, pauroso e divertente. Peccato che, nella smania di essere entrambi, finisca col fermarsi nel mezzo, senza identità, senza fascino, senza ragione di esistere.

 

Regia - 3
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 1.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.1