Salvate il soldato Ryan: recensione del film di Steven Spielberg

A tanti anni di distanza Salvate il Soldato Ryan è e rimane patrimonio del cinema per aver saputo rivoluzionare i cliché del genere.

Potremmo parlare per ore tra “cinefilos” di quanto abbia segnato la storia del cinema quella scena iniziale, quei primi 25 minuti in cui Steven Spielberg ricreò il sanguinoso mattino del 6 Giugno 1944 ad Omaha Beach, e dove Salvate il Soldato Ryan spaccò letteralmente a metà la tradizione del war movie come fino ad allora era stato concepito, offrì al pubblico un’immersione totale dentro il teatro di guerra, di quella guerra, della crociata per liberare l’Europa dallo stivale nazista.
Ma Salvate il Soldato Ryan è andato oltre il cinema, ha influenzato il mondo dei videogames, delle serie televisive, i comics persino, fatto riscoprire ai millennians la centralità di ciò che accadde su quella spiaggia normanna, quanto la morte di migliaia di uomini abbia guidato il mondo verso una direzione piuttosto che un’altra.
Perché lo sbarco ad Omaha, il D-Day, fu il punto centrale di quel secondo conflitto mondiale, e di conseguenza lo fu anche per la storia del XX secolo, più della battaglia di Stalingrado, di El Alemein, più anche dello sbarco sulla Luna o dell’atomica su Hiroshima.

Ma perché il film di Spielberg è divenuto così basilare, così importante, perché soprattutto ebbe tanto e tale successo di pubblico e critica, nonostante poi la notte degli Oscar sorridesse alla meteora Shakespeare in Love? Per capirlo, non c’è che da rituffarci in quel meraviglioso e terribile iter narrativo.

Salvate il Soldato Ryan: perché il film di Steven Spielberg è diventato un cult?

Un vecchio cammina con passo nervoso sul viale che porta al cimitero militare di Colleville-sur-Mer, dove riposano 9387 soldati americani caduti in Normandia. Il vecchio è seguito dalla famiglia, dal figlio con le nipoti e dalla moglie, ma poco dopo esservi entrato, si accascia battuto dalla commozione. I suoi occhi guardano un mondo di ricordi, guardano quell’alba di tanti anni prima. Improvvisamente siamo alle prime luci del 6 Giugno del 1994, nel settore Dog Green della spiaggia di Omaha, una delle cinque dove l’immenso esercito alleato dà l’assalto al Vallo Atlantico.

Il Capitano dei Rangers John Miller (Tom Hanks), è costretto a sbarcare in un diluvio di ferro e fuoco, perdendo moltissimi uomini della Compagnia, finita assieme al resto della forza d’assalto americana, in bocca alle ancora intatte difese tedesche.
Solo dopo perdite paurose, gli americani riescono a conquistare le alture e ad aprire un corridoio sicuro per l’avanzata.
Tra le migliaia di morti, vi è anche un giovane ragazzo dell’Iowa: Sean Ryan. Allo Stato Maggiore americano nei giorni seguenti, si scopre che altri due dei suoi fratelli sono morti, il primo in un’altra spiaggia dello sbarco, il secondo contro i giapponesi.

Viene deciso quindi di creare una squadra che trovi l’ultimo fratello, James Francis Ryan (Matt Damon) e che lo riporti all’affranta madre in madrepatria. La squadra sarà guidata proprio dal Capitano Miller, che si porta con sé il fido Sergente Horvath (Tom Sizemore), il mitragliere Reiben (Edward Burns), il letale cecchino Jackson (Berry Pepper), i soldati Caparzo (Vin Diesel), Mellish (Adam Goldberg), l’infermiere Wade (Giovanni Ribisi) e come interprete il timido Caporale Upham (Jeremy Davies).
Lungo la strada il gruppo sarà costretto a misurarsi con le truppe tedesche, a sfidare la morte, sempre con il dubbio, la domanda, se davvero la loro vita vale meno di quella di quello sconosciuto che ha “vinto” un ritorno a casa. In un’odissea orrenda ma piena di verità scomode e preziose, Miller e i suoi uomini, sperduti nel carnaio normanno, saranno chiamati a scelte difficili e che vanno al di là del loro dovere di soldato.

Salvate il soldato Ryan: la più sconvolgete esperienza bellica cinematografica

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Salvate il soldato Ryan: leggi qui la storia vera che ha ispirato il film 

Con ogni probabilità, parlando di Salvate il Soldato Ryan parliamo dell’eccellenza di Hollywood applicata ad un progetto cinematografico per ciò che riguarda almeno gli anni ’90. Steven Spielberg confezionò quello che era (ed è tuttora) la più sconvolgete esperienza bellica cinematografica mai avuta in quel momento, e lo fece non solo grazie alla sua grande abilità di regista ma anche di innovatore.
Dalla fotografia particolare ed ottenuta modificando le lenti di cinepresa, all’uso della steadycam, dall’addestramento a cui sottopose gli attori fino al “reclutare” veri soldati per interpretare gli uomini in armi di quel periodo, il regista americano fin da subito inseguì con straordinaria determinazione “l’effetto verità”.
Furono persino portati degli esperti per ciò che riguardava l’impatto dei proiettili sui corpi e sulla “composizione cadaverica” per donare al tutto maggio realismo.

Ma, ed è qui la sublime contraddizione, è anche un film bellico americano classico, in tutto e per tutto, riprende elementi narrativi e propri della psicologia e filmografia di Sam Fuller, di Peckinpah,  di John Ford, Aldrich e Huston, per quanto però l’anima, l’essenza sia Spielberghiana al cento per cento.
Lo è per lo scuotere lo spettatore sul piano emotivo, attaccarsi all’universale principio di empatia tra personaggi, drammi e pubblico, per il donare una visione comunque ottimista del mondo che descrive.
Lo è anche per la grande importanza che per il regista americano aveva avuto nella sua infanzia ed adolescenza la seconda guerra mondiale, tanto che il suo primo cortometraggio realizzato ancora ragazzino, era proprio incentrato sulla seconda guerra mondiale.
Per Spielberg la guerra è un inferno, un inferno che però porterà al domani, alla democrazia, è la Grande Crociata, la Generazione Gloriosa che si sacrifica, e lì l’uomo qualunque (il grande eroe del cinema di Steven da sempre), si scopre capace di ogni cosa.
Di fronte ha l’ennesimo mostro, l’ennesimo pauroso incubo senza volto, quella guerra che assedia e attacca non solo i corpi ma anche le anime.

Salvate il Soldato Ryan: impeccabile e rivoluzionario

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A tanti anni di distanza Salvate il Soldato Ryan è e rimane patrimonio del cinema per aver saputo rivoluzionare i cliché del genere, per aver cambiato il modo di creare una battaglia, per il perfetto connubio tra uno script approfondito e ben strutturato, una colonna sonora di John Williams a dir poco meravigliosa, un montaggio che ancora oggi è da studiare e una fotografia che può essere paragonata (per innovazione) a ciò che Stanley Kubrick mostrò al mondo in Barry Lyndon.

Quest’epopea, questo racconto di uomini in armi, viaggia (come sovente succede con Spielberg) sul doppio binario del macro e del micro. Da una parte le storie, le paure, i racconti di quei soldati, ognuno diverso, ognuno che vede quella missione a modo suo, ognuno che affronterà un destino a sé stante.
Dall’altra Salvate il Soldato Ryan ci mostra nella caotica Francia del Giugno del 1944 un susseguirsi di domande senza risposta: quanto vale una vita? Perché quella di Ryan vale di più di quella di quei soldati? La guerra è solo un inferno o c’è dell’altro? Magari la possibilità di scoprire risorse ed energie ignote? Di stringere legami profondi con i propri simili? Magari di imparare ad apprezzare sul serio ciò che conta nella vita?

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Domande che spesso non trovano una risposta definitiva o se non altro danno allo spettatore la facoltà di trovarla da sé, indipendentemente.
Il tutto senza dimenticare però anche i difetti che il film di Spielberg ha al suo interno, difetti che col tempo han portato molti critici ad un’opera di ridimensionamento della caratura del film dal punto di vista tematico e semiotico, a favore dell’altro film bellico che in quel 1998 fece il suo debutto in sala: La Sottile Linea Rossa di Terence Mallick.
Salvate il Soldato Ryan in effetti è hollywoodiano per ciò che riguarda i pregi ma anche per i difetti, come il fatto che manchi totalmente un punto di vista del nemico tedesco, relegato ad una fugace per quanto potente interpretazione di Joerg Stadler.
In questo il film manca un po’ di coraggio, si accontenta di dare al pubblico ciò che si aspetta; manca poi anche una descrizione del popolo francese, soprattutto della Resistenza, che sappiamo esser stata fondamentale in quei giorni.
La battaglia finale, nella sua orrenda e tremendamente efficace rappresentazione del concetto di “inferno urbano bellico”, è anche l’occasione per riciclare l’epica dell’americanismo eroico, di un certo rambismo di maniera (per quanto solo parzialmente).

Ma si tratta di difetti che sono tali perché inevitabili, soprattutto nel cinema bellico americano, di cui Spielberg creò in quel 1998 la summa, il punto più alto del canone classico.
Certo avremmo avuto poi Letters From Iwo Jima, Flags of Our Fathers, Behind Enemy Lines, Hacksaw Ridge, Fury, Dunkirk, soprattutto grazie a questo film avremmo avuto le due splendide serie Band of Brothers e The Pacific…ma nulla di ciò che è venuto dopo ha raggiunto le vette di struggente malinconia e di potenza espressiva che Salvate il Soldato Ryan ha donato, e continua ancora oggi a donare, al pubblico.

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A 21 anni di distanza, quel film, quel racconto tremendo e commovente, rimane senza ombra di dubbio il miglior film di guerra mai fatto su quell’incredibile invasione, su quel cardine storico a partire dal quale le democrazie occidentali segnarono per sempre il fato del secondo conflitto.

Regia - 5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 5
Recitazione - 4
Sonoro - 5
Emozione - 5

4.7