Reggie: recensione del documentario Prime Video

Diretto da Alexandria Stapleton, il documentario che ripercorre la carriera del campione di baseball, Reggie Jackson, è disponibile su Prime Video.

Prima del fuoriclasse il giocatore, prima del giocatore l’uomo; con il documentario Prime Video Reggie, diretto da Alexandria Stapleton, scopriamo un Reggie Jackson a tutto tondo, dal campo al fuoricampo, in un intersecabile percorso che unisce il cinema allo sport e segue l’abituale e parabolica traiettoria dei colpi inflitti da “Mr. October” con la sua più potente arma: la mazza da baseball. Il film ripercorre la carriera del campione capace di vincere 5 edizioni delle World Series e di siglare più di 500 home run, contestualizzandone l’ascesa e le continue battaglie e lasciando allo stesso Jackson la possibilità di definire un quadro generale sulle numerose controversie che lo hanno visto protagonista e di raccontarsi come uomo, ancor prima che come professionista sportivo.

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Reggie: la sua storia secondo il suo punto di vista

Reggie cinematographe.it

“Questa in particolare è la mia storia, secondo il mio punto di vista“; esordisce così Reginald Martinez Jackson sulle prime battute del documentario. Il giovane campione è ora un uomo che porta sulla propria pelle i segni dell’esperienza: l’esperienza sportiva di un giocatore di baseball scontratosi col mondo intero per una determinazione senza filtro, percepita come arroganza e presunzione, e l’esperienza di vita di un afroamericano in lotta contro un sistema denigratorio e razzista. Le parole di Reggie dialogano con quelle di alcuni amici ed ex compagni, da Julius Erving a Hank Aaron, mentre le immagini d’archivio scorrono dislocandoci temporalmente: dall’inospitale Birmingham all’esordio in MLB con gli Oakland Athletics, i primi tre titoli e il successivo passaggio, prima a Baltimora e poi a New York dove, con gli Yankees, conquista altri due campionati e viene definitivamente consacrato come assoluto fenomeno.

I colpi del battitore proseguono e in parallelo, tra gli anni ’60 e i ’70, prosegue la storia, proseguono gli scontri in nome dei diritti civili e con loro aumentano l’influenza e l’attenzione mediatica riservata agli sportivi appartenenti a minoranze. La storia avanza e mentre l’infanzia di Jackson, vista tramite gli occhi di un figlio profondamente segnato dall’insegnamento paterno, viene soltanto accennata in alcuni momenti, la fase più matura del suo cammino viene puntualmente restituita; egli stesso, con straordinaria onestà d’animo, continua a mostrarsi al pubblico senza veli, raccontando il suo recente passato e il suo presente, evidenziandone una medesima rilevanza storica.

Da giocatore a dirigente: una lotta continua

Reggie Jackson cinematographe.it

Le continue lotte che ne hanno segmentato il realizzarsi, hanno reso la carriera di Reggie Jackson simile a quella di un pugile più che a quella di un asso del baseball e fu proprio il sempre più roboante esporsi di Muhammad Ali in difesa dei diritti civili, unito alla scomparsa di Martin Luther King, a fargli capire quanto campioni come loro potessero concretamente fare contro la discriminazione. Lui, sportivo silente che preferiva “lasciar parlare la sua mazza”, lui, atleta che da Birmingham a Oakland aveva conosciuto sia la repressione che la reazione, comincia ad accostare il suo nome a quello di Bill Russell, Jackie Robinson, Jim Brown; sì batte contro le disuguaglianze di “uno sport da sempre arretrato” e, al termine del proprio percorso sul campo, non si ferma, diviene prima dirigente degli Yankees e poi degli Astros, a Houston, dove finalmente trova lo spazio per operare un livellamento delle opportunità anche a livello societario e dirigenziale.

Nonostante i suoi molti anni di servizio sia da battitore che da dirigente infatti, Reggie, per le strade di New York, ha trovato diversi ostacoli finalizzati ad arrestare l’ascesa di un giovane afroamericano ben consapevole del proprio talento e che non aveva alcun timore ad esprimere il suo pensiero. Dopo la diatriba relativa all’ingaggio con il proprietario degli Oakland Athletics, Charlie Finley, che gli costò la cessione, non mancarono le accese dispute anche nella grande mela, con il nuovo proprietario George Steinbrenner, con l’allenatore Billy Martin e con il compagno di squadra Thurman Muson, il quale coniò il soprannome “Mr. October” con chiara accezione dispregiativa. Ma furono probabilmente quest’instabilità e questa tensione interna a spronare la squadra e lo stesso Jackson e a spingerli ad una vittoria tanto ricercata quanto inattesa.

Reggie: valutazione e conclusione

Alexandria Stapleton dirige attenta, nel tentativo di restituire quella forza trasudante scaturita da ogni colpo inferto da Reggie sul campo e fuori da esso; la scaltrezza registica risiede nel gioco che contrappone questi due momenti: l’atto sportivo e tutto ciò che gli sta attorno, collegati unicamente da un gesto, un gesto che, osando, si sarebbe potuto rappresentare con scelte di ripresa differenti ma che, invece, viene dipinto mantenendosi aderente alla tradizione documentaria. Allo stesso modo il sonoro e la fotografia accompagnano neutrali e riconoscenti, senza strafare ma seguendo con precisione, opponendo alla nitidezza del presente l’immagine opaca di un passato ingombrante. Una pellicola che non travolge ma colpisce forte come un home run e che tocca molte corde con la sincerità di un fuoriclasse, uomo ancor prima che giocatore.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5