Rachel: recensione del film con Rachel Weisz

Rachel Weisz è una vedova misteriosa e affascinante in Rachel, nuovo film scritto e diretto da Roger Michell nelle nostre sale dall'8 marzo

Lo conosciamo principalmente per la commedia romantica Notting Hill, ma nella cinematografia di Roger Michell il dramma ha ampiamente fatto incursione (Ipotesi di reato ne è probabilmente l’esempio più noto) e a circa quattro anni dal ben accolto Le Week-End, il regista torna a raccontare una storia addirittura tragica nei suoi picchi con Rachel.

Dopo aver girato nel 1995 il film per la TV Persuasione, tratto dal romanzo omonimo di Jane Austen, il cineasta sembra impossibilitato a resistere al fascino dei costumi, delle scenografie e delle abitudini propri delle ricostruzioni storiche, forse per il suo retaggio inglese (Michell è nato a Pretoria, in Sudafrica, ma l’Inghilterra lo ha praticamente adottato sin da ragazzo). Il cineasta accetta di portare sullo schermo il romanzo di Daphne du Maurier, scrittrice del secolo scorso le cui opere avevano già ispirato registi come Alfred Hitchcock, il quale realizzò un adattamento di Rebecca, eletto miglior film dall’Academy nel 1940. Lo stesso libro da cui è tratto Rachel era stato già trasposto nel 1952, con il titolo più fedele al romanzo Mia cugina Rachele, diretto da Henry Koster e che vedeva il premio Oscar Olivia de Havilland nei panni della protagonista.

Ambientata nel primo Ottocento, la storia è quella di Philip (Sam Claflin), giovane inglese che quando apprende della morte del cugino Ambrose, da cui è stato cresciuto sin da piccolo dopo essere rimasto orfano, ne incolpa la vedova Rachel (Rachel Weisz), che nelle lettere inviategli dal defunto viene definita la causa del suo tormento e della sua malattia. Nel momento in cui la cugina acquisita si trasferisce nella sua proprietà, Philip si ritroverà tuttavia a esserne infatuato, cominciando a credere che una simile donna non possa aver portato dolore nella vita di nessuno.

Rachel – Il premio Oscar Rachel Weisz incarna fascino e mistero nei panni della vedova

rachel recensione, cinematographe

Dopo una sequenza iniziale che, con un rapido montaggio accompagnato da una voce fuoricampo, riassume il passato del nostro protagonista, anche narratore omodiegetico, Roger Michell si distacca dalla derivazione letteraria del film. Nonostante sia lei a dare il titolo all’opera, è interessante come la nostra Rachel compaia solo dopo il primo atto. In questo frangente, Philip immagina come sia questa “cugina”, fisicamente e non, costruendosene un’immagine sulla base di ciò che ha appreso da chi ha avuto modo di conoscerla, al contempo consumato dai pregiudizi destati dalle angosciose lettere speditegli dal cugino defunto.

Questa difficoltà a inquadrare la vedova persiste per l’intera durata del film, anche dopo il fatidico incontro, e tormenta il giovane rampollo così come lo spettatore, che assieme al protagonista si trova servito un indizio dopo l’altro in grado di far pendere l’ago della bilancia verso la colpevolezza o l’innocenza di Rachel. Sostenuta da validi comprimari, fra cui un ambiguo Pierfrancesco Favino dall’aspetto quasi luciferino, la Weisz è perfetta nel ruolo di questa donna difficile da decrittare, seducente ma all’apparenza non lasciva; pronta a ridere e a scherzare, senza però mai abbandonare un decoro che ne tradisce il bisogno quasi morboso di rivendicare una propria dignità, tanto da gettarsi in un pianto scomposto quando sente di essere stata ferita o addirittura umiliata.

Rachel – Roger Michell sfoggia una forma elegante a discapito di una scrittura che scava solo in superficie

rachel recensione, cinematographe

Autore anche della sceneggiatura, Michell non arriva forse a scavare nel cuore di Rachel, focalizzandosi più sull’ingenuità di Philip, la cui infatuazione/ossessione per la cugina sembra essere quella di un adolescente – la giovinezza del protagonista gioca un ruolo cruciale anche nella narrazione, dal momento che potrà considerarsi adulto solo quando compirà i 25 anni, giorno in cui erediterà l’intera fortuna del compianto Ambrose. Con Philip sempre più incantato dalla vedova, si ha la sensazione che costruire i trabocchetti per lasciare l’ambiguità su Rachel acquisti maggior rilievo del sondare l’animo di lei. Così, giunti alla fine, l’impressione è che il regista non sia riuscito a scavare negli aspetti più torbidi del racconto, almeno dal punto di vista della scrittura.

Michell è infatti capace di colmare in parte tale lacuna con un forte impianto visivo che, coadiuvato dai costumi di Dinah Collin (A Royal Weekend, Venere in pelliccia) e della sontuosa fotografia di Mike Eley (The Outcast), ci regala scene che enfatizzano il burrascoso rapporto fra i due protagonisti e che, in determinati frangenti, sembrano portare a galla l’aspetto più autenticamente umano della vedova, che rimane in fin dei conti oscuro allo spettatore così come le sue intenzioni lo sono per il giovane protagonista.

Rachel è dunque un’opera non riuscita nella sua totalità, per mancanze da attribuire più alla sceneggiatura che alle capacità registiche di Michell, il quale con la sua eleganza riesce comunque a portare sullo schermo un racconto che, pur proponendo dei meccanismi che il pubblico moderno potrebbe considerare demodé, affascina per il carattere ossessivo di un protagonista che non sembra in grado di comprendere una donna vedendola solamente attraverso gli occhi di un uomo obnubilato dall’infatuazione, dal risentimento e dai dubbi. Nelle sale italiane, il film uscirà l’8 marzo, distribuito da 20th Century Fox Italia.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.9