Quel giorno tu sarai: recensione del film di Kornél Mundruczó

Mundruczó esplora i modi, gli spazi e i tempi attraverso cui certi tipi di eventi traumatici persistono generazione dopo generazione.

Dopo il meritato successo di Pieces of a Woman, premiato a Venezia e candidato all’Oscar, il regista ungherese Kornél Mundruczó insieme alla sceneggiatrice Kata Wéber tornano a sperimentare con Quel giorno tu sarai, una storia inesplorata, incisiva e vibrante che ritrova Martin Scorsese nella veste di produttore esecutivo. Il nuovo film di Mundruczó, applaudito fuori concorso a Cannes 2021, vede come produttori Viola Fügen, Michael Weber e Viktória Petrányi ed esce al cinema il 27 gennaio 2022.
Il lungometraggio è diviso in tre episodi e ha per protagonista una famiglia che si confronta con la pesante eredità della Shoah attraverso tre generazioni. Il primo: Éva e la sua nascita ad Auschwitz. Il secondo: Léna dedicato alla figlia di Éva che arriva a  Budapest per accudire l’anziana madre, e che solo indirettamente ha vissuto il dramma dell’Olocausto. Il terzo: Jónás, incentrato sulla vita quotidiana del nipote, il figlio di Léna, nella Berlino di oggi (il ragazzo è vittima di vergognosi episodi di antisemitismo). Il “cuore nero” del film, che ha inaugurato il Trieste Film Festival 2022, è dunque la Shoah, ma il modo in cui la coppia Mundruczó/ Wéber affronta il tema è artisticamente eccezionale.

Quel giorno tu sarai: un viaggio dopo la Shoah fra la  memoria e la paura di dimenticare

In medias res e con l’occhio della cinepresa negli effetti di un miracolo. Il film inizia con un primo episodio ambientato nel 1945, e girato in un unico piano sequenza con un carattere quasi surreale. Una scena d’apertura straordinaria, febbrile soffocante pietrificante estrema. Questo primo frammento narrativo si basa su un romanzo di Imre Kertész in cui si racconta di come la Croce Rossa polacca si occupasse – dopo la liberazione da parte dell’esercito russo – di pulire i campi, e del fatto che durante il loro lavoro venissero ritrovati molti bambini.

Mundruczó avvia l’opera filmando un evento incredibile di sopravvivenza: il ritrovamento della piccola Éva nascosta in un chiusino del campo di concentramento di Auschwitz. Éva è il personaggio centrale, scelto a simboleggiare una speranza che non salta una generazione, porta la testimonianza di quella mano divina che nessuno può vedere, ma di cui alcuni hanno memoria. La telecamera lascia il posto al secondo episodio della storia, che si sposta a Budapest: decenni più tardi, nell’appartamento di una ormai anziana Éva (Lili Monori) affetta da demenza senile che accoglie la figlia Léna (Anna Maria Lang) in un giorno che si concluderà con una memorabile catastrofe domestica; fino a giungere alla terza tranche dedicata a Jónás ( Goya Rego, convincente nella sua eccellente interpretazione), che vive a Berlino, in una società multietnica e un tempo sinonimo di inferno per gli ebrei.

Un film attraverso cui il regista e la sceneggiatrice non smettono di esplorare su tutti i livelli

Quel giorno tu sarai cinematographe.it

Nel nuovo film Mundruczó esplora i modi, gli spazi e i tempi attraverso cui certi tipi di eventi traumatici persistono generazione dopo generazione con un lavoro di regia che usa primi piani, campi lunghi e il long take. Quel giorno tu sarai accende una riflessione sui temi dell’identità e della memoria, e su come le ferite del passato non siano del tutto sanate in una società ancora impreparata per elaborare gli orrori della prima metà del Novecento. Le lunghe riprese fluttuanti riescono ad esprimere un senso di libertà e a spiazzare chi guarda, non permettono di anticipare quello che succederà. Si punta molto anche sullo script che ha le sue radici nella storia personale della sceneggiatrice ungherese (la cui madre era ebrea) e sulla fotografia di Yorick Le Saux, che ha collaborato con registi come Jarmusch e Guadagnino, e che contribuisce a realizzare il clima irreale, sospeso e di perenne attesa che avvolge gli attori. Nel cast c’è anche la grande attrice ungherese Lili Monori, che interpreta il suo ruolo drammatico da autentica fuoriclasse e fa pensare all’ Anthony Hopkins di The Father. Anche qui il finale è una nota distesa. Wéber e Mundruczó provano a suggerire che le alleanze empatiche tra le diverse culture potrebbero aiutare a liberare l’Europa dal veleno del suo passato e non smettono di esplorare su tutti i livelli, assumendosi un rischio che ci piace.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3