Pratomagno: recensione del docu-film diretto da Gianfranco Bonadies e Paolo Martino

La recensione del documentario con inserti d'animazione co-diretto da Gianfranco Bonadies e Paolo Martino

In anteprima al quinto Festival Internazionale del Documentario, Visioni del Mondo, Immagini dalla Realtà (a Milano, da giovedì 12 a domenica 15 settembre 2019), Pratomagno, mediometraggio co-diretto da Gianfranco Bonadies e Paolo Martino, è un documentario con inserti d’animazione che richiama a un’idea di cinema elementare, no nel senso di un cinema primitivo o semplice, ma di un cinema di elementi. I rami resi infuocati da un potenziamento cromatico applicato a un albero puntualizzano un simbolismo che fa delle radici pedane di lancio verso il cielo, ponti che congiungono la terra all’aria. E anche l’acqua, ricorrente sia nella sua natura benefica sia in quella rovinosa e devastatrice, cadenza un’opera ascrivibile a un’idea di cinema come amplificatore sensoriale, come ricettacolo di una poesia corporea, incagliata nella materia e ad essa completamente aderente.

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Pratomagno: storia di un’amicizia fra un giovane immigrato e un bambino in due tempi

L’amicizia fra Sulayman, un giovane immigrato del Gambia, e il piccolo Alberto, ‘cherubino’ di quattro anni, è rappresentata attraverso gesti di tenerezza calati in scenari di vibrante bellezza naturale, in una Toscana ancora intatta, affatto sfiorata dalla minaccia della calamità ambientale o dalle deturpazioni tecnologiche. La camera segue i due protagonisti, divisi dall’età e dalla provenienza, con uno sguardo terso e plastico: la peluria bionda che ricopre la pelle del bambino come impercettibile lanugine, la sagoma longilinea del ragazzo, i corpi volumetrici degli animali, tutti gli elementi di natura, ciò che esiste sulla terra, è reso nella sua dimensionalità, nel suo spessore e nel suo peso, nel suo appunto esserci. Appare particolarmente interessante come questo piccolo film che sceglie di affrontare temi cruciali come le migrazioni e le emergenze climatiche in modo così obliquo dismetta la retorica per accogliere una cifra stilistica legata alla percezione e all’impressione acutamente sensoria.

Il futuro immaginato è affidato al linguaggio animato: il bambino in carne ed ossa è diventato sagoma, avatar senza corpo

Il film è disarticolato in due diversi piani: l’oggi affidato al linguaggio mimetico in cui la mediazione registica è ridotta al minimo e de-narrativizzata in favore della percettività s’alterna ad un futuro immaginato e reso attraverso le tecniche ‘stilizzanti’ – e, dunque, anti-naturalistiche – dell’animazione. Alberto cresciuto non è più un uomo in carne ed ossa, ma un cartone con i capelli rossi e la barba che, di ritorno alla campagna della sua infanzia, si ritrova di fronte a uno scenario radicalmente mutato, letteralmente annegato in piogge battenti e senza fine. L’indulgere progressivo nelle tonalità del blu funge da contraltare alla parte più solare dell’idillio perduto e comunica un senso crescente di malinconia e la consapevolezza del non ritorno. Il toro, simbolo di radicamento e di solidità, animale coriaceo per eccellenza, diviene feticcio innaturale ed altrettanto innaturalmente è vinto dalla forza devastatrice dell’acqua che, per negligenza umana, affoga e spazza via la terra.

Pratomagno affronta l’emergenza ambientale in modo inedito e con estrema coerenza estetica e concettuale

Esempio di un cinema intelligente che trasforma il concetto in immagine e che, attraverso la fotografia e la resa plastica, cerca di proporre un’alternativa rispetto alla verbosa discussione mediatica sul futuro del pianeta, Pratomagno colpisce per il modo in cui l’amore per ciò che vive in natura e alla natura appartiene si traduce in rispetto concreto, in concreta esaltazione della sua sacralità. Il messaggio arriva, dunque, chiaro: la disattenzione nei confronti di ciò che ci circonda e della minaccia ambientale ci trasformerà in avatar di noi stessi, disintegrerà la nostra carne, spezzerà le zampe dei nostri tori. In quel domani oggi solo immaginato, ma in verità incombente, gli slogan pronunciati nelle piazze o le orazioni dei politici non saranno allora serviti a niente, quali carcasse vuote di preoccupazioni solo sbandierate, silhouette senza volume come sagome animate prive di corpo. La coerenza nell’armonizzare estetica e concetto di cui il film dà prova è allora la manifestazione più compiuta del suo messaggio e della sua essenza, della sua estrema necessità. 

Regia - 4
Fotografia - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

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