Power of Rome: recensione del film con Edoardo Leo

Edoardo Leo ci conduce in un viaggio a tratti ulissiano nella Roma eterna. Power of Rome è un dedalo di narrazioni, impulsi e illusioni; un corpo che muta continuamente.

Illusione, sangue, potere, fiducia tradita e al contempo riposta. Tutto questo converge in Power of Rome, un’opera nella quale il cinema è un’allitterazione di attimi infiniti in cui passato, presente e futuro si compenetrano partendo dall’universalità per poi sfociare nella grammatica intima dell’io. Nell’anima si consuma la guerra che è stata degli imperatori, il delirio dell’onnipotenza, l’annullamento nichilistico che è poetica unione a tutte le cose, che distrugge l’essenza stessa dell’essere riducendola a un seme, a un meccanismo millesimale ma necessario alla trasformazione, all’evoluzione.

Giovanni Troilo dirige un film meta-teatrale, ponendo la prima pietra della sua opera nella finzione scenica, nella storia di un attore, Edoardo Leo, chiamato in causa da una produzione inglese per interpretare Giulio Cesare. La scena è quella fatale e iconica della sua morte per mano dei congiurati, tra i quali si annovera il figlio adottivo Bruto. Ma il finto Cesare rifiuta la sua morte, alla fallace lama che vorrebbe trafiggerlo, liberandolo finalmente dall’incombenza pantomimica, egli oppone la sua forza, i suoi perché; rovescia la prospettiva scavando con mani, occhi e sensi nella realtà a cui appartiene ma nella quale si scopre improvvisamente straniero. Gli interrogativi restano sospesi in uno spazio etereo, partono dalla ragione ottusa dell’uomo per dilagare tra le vie della Città Eterna, aprendo così la strada a un tragitto che si fa viaggio di scoperta non solo della monumentale prestanza di Roma ma anche e soprattutto dell’essere umano. La sceneggiatura intreccia tutti i livelli del subconscio e della razionalità tessendoli con la parabola delle gesta di Romolo, Giulio Cesare, Augusto, Nerone, Costantino e di quanti dopo di loro ne hanno preso spunto per tentare di ricomporre la bellezza, di afferrare la grandezza.
Il potere è un tintinnio assillante, permea le idee e domina l’anima, lasciandola librare come gli uccelli dal cui volo i romani predicevano il futuro. Esso si palesa con la sua forza prorompente e quasi inconsapevolmente scava nella radice di questo verbo, compagno silente di ognuno; è una lente d’ingrandimento per mezzo della quale si scopre, amplificandolo, il meglio e il peggio. Per rubare le parole del film stesso, “Il potere distrugge, protegge, cala la nebbia sul passato, ma non può cancellare ciò che siamo o saremo”.

Power of Rome è un dedalo di narrazioni

L’ossatura di Power of Rome ha le braccia e le mani dell’illusione e con esse dirige un’orchestra fatta di storie. Storie che sono persone. Persone che sono finestre da aprire e porte da attraversare. Cartine che ci insegnano a perderci nel dedalo di strade della Città Eterna, invogliandoci a sintonizzare i piedi sui passi del cuore e così aprire mondi. L’anfratto di ogni monumento, il respiro dell’eternità che si incastra tra i sampietrini battuti dai viandanti, il corso del Tevere che è specchio in cui mirarsi e tavolozza sulla quale rivedere il passato.

Edoardo Leo si muove in un gomitolo di pensieri contrastanti in cui la grande storia si smaterializza per farsi carne e quotidianità contemporanea. L’immensità del suo Giulio Cesare viene cesellata: alleggerita dalla polvere del tempo si traspone naturalmente nel reale, suggerendo la soluzione di ciò che siamo. Buoni e cattivi, padroni e servi, tutti piegati a logiche già vecchie e ancora nuove, persi, destinati alla gloria o a niente. Persi, ma mai davvero perduti, perché la spina dorsale di Roma è la trasformazione perenne e il nostro slancio vitale è seme destinato a germogliare, magari in un futuro in cui la nostra presenza non è contemplata.
La sceneggiatura di Luca Lancise e Donato Dallavalle bilancia abilmente il peso del tempo, facendoci salire su una giostra che prende dallo stile documentaristico lo spessore istruttivo di spiegarci aneddoti e curiosità sui monumenti più celebri di Roma. Suggestivo, a tal proposito, è l’ingresso nel Pantheon, il monumento che più di tutti rievoca la gloria dell’Urbe e che Leo, nella sua esplorazione disincantata, paragona a un’astronave.
C’è però anche una prospettiva ulissiana in Power of Rome che interessa tanto l’epica omerica quanto l’ideologia di James Joyce: Edoardo Leo compie infatti un viaggio di circa due giorni nella sua città, ma lo fa riscoprendola con gli occhi di chi non l’ha mai guardata attentamente. Il suo è un viaggio di andata e ritorno in cui si è obbligati a vedere il passato ma in cui non ci si può voltare indietro: un diktat doveroso e doloroso che nasconde in seno l’angoscia dell’uomo moderno, che nelle sue escursioni per il mondo divora immagini per collezionare ricordi vuoti di tridimensionalità. L’Edoardo Leo che vediamo allontanarsi dal set all’inizio del film non torna più, si polverizza nel fragore dei clacson, si contorce nei perché dell’incomprensibilità. Chi torna è un altro attore, un homo novus: non ha la soluzione al mondo, ma ha la consapevolezza e la serenità per accettare la fine – la (finta) morte -, per farsi soldato in una storia manovrata dal fato. Sul suo volto si appiccica la maschera fissa e fittizia di Giulio Cesare, ma allo stop del regista decade per far spazio a tutte le maschere del suo io, anadiplosi dell’universale esistere umano.

Edoardo Leo: il modernissimo Ulisse del film di Giovanni Troilo

Il viaggio intrapreso da Troilo, nato da un’idea di Fulvio Lucisano, scalfisce gli angoli della scoperta, conferendo per osmosi agli spettatori il ruolo di piccoli Omero. Roma è la protagonista assoluta, eppure il messaggio di fondo è un invito a grattare la superficie delle cose che già conosciamo, come la città nella quale abitiamo. Power of Rome si perde nell’arte quanto nel traffico, nel sacro quanto nel profano, affiancando all’interpretazione di Edoardo Leo quella di Giorgia Spinelli (producer, guida e conoscitrice della storia romana) e di una serie di artisti grazie ai quali entrano in gioco spicchi di finzione: coni di luce che accendono per un attimo la storia, mettendo in risalto intenzioni, paure, pensieri e pretese degli antichi sovrani e di coloro che ruotavano attorno ad essi. Ci riferiamo, nel dettaglio, all’Adriano di Marcello Mazzarella, al Tito di Joe Capalbo, al Nerone di Pierangelo Menci, all’Augusto di Luca Chikovani, al Costantino di Massimiliano Pazzaglia, al Marco Antonio di Marco Giuliani e al Marco Aurelio di Daniele Moterosi, ma anche al Bruto/ portaborse interpretato da Jacopo Antinori, a Matt Patresi che interpreta il regista e ancora a Victoria Chapman, Bruno de Stephanis, Martina Vitolo, Giulia Perelli, Yasemin Sannino.

Il lungometraggio prodotto da Italian International Film e da Vision Distribution con Sky lavora per sovrapposizione anche nella scelta fotografica, danzando tra il bianco e nero dei sogni e l’interferenza tra immagini. Valerio Coccoli fa del volto di Edoardo Leo la pergamena su cui riprodurre Castel Sant’Angelo, Ponte Milvio e altri scorci romani e nel catturare la sua Roma crea analogie fluorescenti che fanno del sangue una delle parole chiave. Il rosso quindi è onnipresente, tra cerchi di delimitazione e croci d’altare; Power of Rome è un corpo che non sanguina ma implode nella crudeltà, ricorrendo a una rappresentazione forzatamente moderna, come a voler sottolineare la coincidenza tra ieri e oggi, senza temere, tuttavia, di sperare in una rifondazione nella bellezza.
La stessa che si ascolta nella sinfonia di Marco Molinelli: un distillato di note atte ad infilzare il tempo con la pretesa di proseguire oltre la fine del minutaggio. Ci riesce. Perché la colonna sonora di Power of Rome è la vera potenza invisibile e inafferrabile. Mentre tutti i comparti tecnici si affannano nel bloccare la mutevole forma dell’attimo, la musica lo sigilla inesorabilmente nel momento stesso in cui lo consuma e con la pioggia, col vento, con gli applausi, con le preghiere e i sorrisi essa si congiunge, senza disdegnare gli stili e gli artisti, senza guardare la bocca di chi la pronuncia o la mano di chi l’accarezza.

Cos’è dunque Power of Rome? Potremmo semplicisticamente definirlo un tour nella Città Eterna ma la verità è che è tante cose e, forse, alla fine ognuno ci vedrà il suo viaggio.
Il film è al cinema dal 19 al 21 aprile 2022.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5