TFF34 – Porto: recensione dell’ultima interpretazione di Anton Yelchin

Due ragazzi, la splendida leggerezza di una notte di passione improvvisa e bruciante e poi subito dopo il peso della realtà quotidiana, con il suo odioso bagaglio di dubbi e paure mascherate da prudenza. Questi gli elementi principali di Porto, il film di Gabe Klinger prodotto da quel Jim Jarmusch di Solo gli amanti sopravvivono attento a cogliere ed eternare la fugacità della vita e dei sentimenti, di cui noi mortali (e non) siamo spesso solo pedine.

La città portoghese dà nome ad un film centrato solo all’apparenza sulla vita di due specifiche persone. Jake (un toccante Anton Yelchin – al quale la pellicola è dedicata –  alla sua ultima interpretazione) e Mati (Lucie Lucas) sono solo simboliche incarnazioni di vissuti comuni, in cui il tempo forgia e cancella con lo stesso impeto attimi di vita di persone che si cercano, si trovano e si perdono, lasciando tracce indelebili e talvolta dolorose del loro passaggio.

Ed è proprio il tempo il fulcro della narrazione di Porto, un tempo tiranno ed insensato, capace di rivoluzionare un universo in una notte per poi indugiare prepotente e spietato sul quel piccolissimo stralcio di esistenza, che finisce per farsi gravoso ed ingombrante nei giorni e negli anni a venire, cristallizzando l’evolversi delle vite che ha colpito, vittime del non averlo potuto/voluto vivere oltre.

Un film che concentra la sua forza espressiva in un montaggio emotivo, costruito per rivelare l’intero percorso dei protagonisti a poco a poco, balzando fra punti di vista e momenti differenti della storia con un andamento volutamente confuso ed altalenante,  proprio come quello della memoria, abilissima nel tormentare chi non sa e non vuole dimenticare riproponendo pezzi di vissuto da rileggere e rielaborare in cerca di risposte che potrebbero non arrivare mai.

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Porto: la potenza di un incontro breve ma indelebile

Jake e Mati si trovano a Porto per motivi diversi: lui lavoratore americano e lei studentessa francese, i due ragazzi continuano ad incontrarsi per caso fino a quando Mati non prende l’iniziativa e fa un passo deciso verso Jake. Un passo che li porterà a condividere la notte più bella e passionale della loro vita, in cui i due finiranno per dichiararsi amore senza fare i conti con il peso dell’alba e del suo minaccioso “gettare luce” sulle cose.

Il giorno dopo, infatti, tutto cambia: Mati torna alla sua vita di sempre, in cui Jake non ha una collocazione, o almeno non ne ha una che non comporti un totale sconvolgimento del suo fragile equilibrio. Per Jake invece è troppo tardi e quella notte finisce per perseguitarlo, portandolo ad aggirarsi come uno zombie nei luoghi ormai spenti in cui quell’amore unico si è consumato e può essere solo ricordato e rimpianto.

la regia di Gabe Klinger gioca sadica e poetica con le debolezze degli esseri umani, sottolineando la nebulosa inaffidabilità dei ricordi attraverso il ricorso alternato al digitale e alla pellicola, in cui i momenti vissuti assumono la forma di spettri di un futuro inesorabilmente condizionato da un passato che ha fermato il  progredire delle esistenze dei protagonisti.

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Il tutto corredato da una fotografia onirica e simbolica, che si concentra profeticamente su albe, notti e tramonti, prefazioni ed epiloghi della reale concretezza di un sole che non riesce a sorgere e restare, ed in cui la struggente malinconia delle immagini  è sottolineata da evocative musiche jazz e da una sceneggiatura che si fa riflessione a voce alta e disperato tentativo di dare un senso a ciò che non è possibile controllare. Qualcosa che  – forse anche per la sua natura instabile – merita di essere vissuto al di là delle sue conseguenze, condizionate da un libero arbitrio che potrebbe essere solo un’amara illusione.

Porto è stato presentato in concorso nella sezione Torino 34 del Torino Film Festival 2016; nel cast anche Françoise Lebrun, Paulo Calatré, Chantal Akerman.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.8