Paterno: recensione del film di Barry Levinson con Al Pacino

La nostra recensione di Paterno, il biopic con Al Pacino sulla fase finale della vita del leggendario coach Joe Paterno, in onda su Sky Cinema a partire dal 31 maggio

Paterno è un film per la TV del 2018 diretto da Barry Levinson e interpretato dal premio Oscar Al Pacino. Il film è ispirato alla vera storia del leggendario coach di football americano universitario Joe Paterno, che a cavallo fra il 2011 e il 2012 ha chiuso bruscamente la sua cinquantennale carriera (e a stretto giro, a causa di un tumore incurabile, anche la sua stessa vita) a causa delle accuse piovute sul suo assistente Jerry Sandusky, reo di aver compiuto decine di abusi sessuali su minori grazie anche al colpevole silenzio e alla omertosa copertura dello stesso Paterno. Dopo la messa in onda negli Stati Uniti il 7 aprile su HBO, Paterno è arrivato in Italia il 31 maggio grazie a Sky Cinema.

Paterno: quando le imprese sportive si scontrano con la bassezza umana dei loro protagonisti
Paterno

Il film racconta gli ultimi giorni del coach Joe Paterno (Al Pacino) alla guida dei Penn State Nittany Lions, segnati dalle indagini sul suo storico collaboratore Jerry Sandusky (Jim Johnson) per una serie di abusi sessuali su un impressionante numero di adolescenti passati nei decenni in quella che è una delle squadre universitarie di football americano più prestigiose. Stretto fra il desiderio di non abbandonare la sua unica ragione di vita, ovvero il campo, nonostante la veneranda età di 84 anni, il suo glorioso passato e le crescenti pressioni nei suoi confronti da parte di stampa e famiglia, Paterno si trova così a fare i conti con il rimorso e il senso di colpa per non essere intervenuto per fermare una vera e propria deturpazione di troppe giovani vite.

Paterno

A quasi 20 anni di distanza dall’epico Ogni maledetta domenica, Al Pacino torna a indossare i panni di un allenatore di football sul viale del tramonto, ricongiungendosi a quel Barry Levinson che lo aveva già diretto con successo nel riuscito You Don’t Know Jack, altro film per la TV di HBO. L’obiettivo stavolta è quello di portare in scena un vero e proprio caso sociale che ha scosso l’America e il mondo dello sport appena pochi anni fa, sbattendo in faccia alla società un vero e proprio dramma giovanile consumatosi per decenni proprio in quel luogo ritenuto la migliore palestra di vita e cultura, ovvero l’università.

Paterno: un film biografico che si poggia interamente sulle ancora solide spalle di Al Pacino

Come già accaduto nel recente The Wizard of Lies, altro film televisivo HBO diretto da Barry Levinson, la portata di uno degli eventi più sconvolgenti della storia americana recente e la immarcescibile classe di uno dei più grandi attori di sempre (Robert De Niro in precedenza, Al Pacino in questo caso) non sono supportate da una narrazione all’altezza, ma vengono invece annullate da un racconto caotico e confusionario, che disperde le proprie potenzialità nel vano tentativo di fornire molteplici e spesso non necessari punti di vista sulla vicenda, con il risultato di allontanarsi troppo dal cuore della storia (ovvero l’enigmatica personalità di Paterno) e di non approfondire sufficientemente i principali passaggi di questo caso di cronaca.

Si stenta a riconoscere in Paterno la mano di quello stesso Barry Levinson capace di dirigere nei decenni passati memorabili pagine di cinema come Good Morning, VietnamRain Man – L’uomo della pioggia e Sleepers, encomiabili esempi di drammi umani e sociali sostenuti da un racconto energico e con un chiaro obiettivo da perseguire. Il biopic procede infatti con una narrazione blanda e arrancante, che si poggia interamente sulle ancora solide spalle di un monumento vivente del cinema come Al Pacino per caratterizzare la controversa figura di un uomo che ha scelto di sacrificare la sua vita, la sua famiglia e la sua stessa morale all’inseguimento di un sogno sportivo, chiudendo gli occhi anche di fronte a ciò che avrebbe dovuto stigmatizzare e denunciare, ovvero il disumano comportamento del suo assistente Sandusky nei confronti dei giovani che gli venivano speranzosamente affidati.

Paterno non riesce mai a raggiungere un accettabile livello di drammaticità e intensità

La compressione degli eventi di Paterno in appena pochi giorni soffoca il racconto, mettendo lo spettatore di fronte a quello che è un rapido e progressivo esilio volontario fra le mura di casa e in cui il tormento interiore del protagonista è affidato esclusivamente alle doti espressive di Pacino e a continui quanto inconcludenti brevi ricordi che non riescono nell’intento di sviscerare il travaglio e il rimorso dell’allenatore. Per tanto, troppo tempo, il film si concentra sulle indagini condotte dalla reporter Sara Ganim (Riley Keough) e sulle testimonianze dei reduci dalle violenze di Sandusky, che non toccano però neanche brevemente le vette di umanità e drammaticità raggiunte recentemente per esempio da Il caso Spotlight, anch’esso incentrato sul tema della pedofilia.

La stessa figura di Sandusky non è mai affrontata a viso aperto, ma rimane invece sullo sfondo, caratterizzata unicamente da rapidi raggelanti primi piani, non sufficienti a rendere l’atrocità del personaggio e delle sue azioni. Levinson cerca inoltre di compensare le carenze in fase di scrittura con delle scelte di fotografia tanto elementari quanto inefficaci, utilizzando un tono progressivamente più cupo per gli interni e degli improbabili e forzati giochi di luce per i flashback e i ricordi di Paterno, che finiscono, se possibile, per allontanare ancora di più lo spettatore dalla vicenda. Non percepiamo mai la portata delle azioni di Sandusky, né viviamo realmente la lacerazione interiore delle sue vittime o il conflitto interiore di Paterno, che rimangono soltanto degli spunti inseriti e lasciati appesi, senza la necessaria introspezione.

Paterno: un biopic scialbo e mal scritto

L’unico faro nella notte diventa così prevedibilmente Al Pacino, che da una parte svolge uno strabiliante lavoro di mimesi nei confronti della gestualità e dell’impostazione di Paterno, e dall’altra compensa con i suoi sguardi e le su piccole ma fondamentali variazioni di voce e gesti le carenze della sceneggiatura. Nella parte finale, è proprio il lavoro dell’attore a infondere al racconto e al proprio personaggio quel minimo di senso di progressiva fragilità e abbandono sufficiente a salvare il film dalla catastrofe.

Il solo altro spunto interessante, sempre nelle battute conclusive, è rappresentato sorprendentemente dal breve quanto efficace ritratto che Levinson fornisce della tifoseria americana, pronta a sostenere i propri idoli sportivi anche di fronte ai fatti più indifendibili, dimostrando la totale incapacità di scindere imprese sportive e statura umana. Un problema che in un mondo con pochi eroi e ancora meno esempi di integrità è oggi comune a tutti gli sport e a tutte le latitudini.

Paterno

Tirando le conclusioni, Paterno si rivela un biopic scialbo e mal scritto, che non riesce mai a dare la giusta drammaticità e la necessaria tensione a una storia vera che ha profondamente scosso la società americana. Nonostante la solita straordinaria prova di Al Pacino, sui titoli di coda (più esplicativi di gran parte del film) ci rimane così la sensazione di aver assistito all’equivalente cinematografico di una voce enciclopedica su Paterno, capace di delineare i sommi capi della vicenda, ma non di scuoterci nel profondo come avrebbe potuto e dovuto.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

1.9