Parlate a bassa voce: recensione del documentario di Esmeralda Calabria

Scritto e diretto da Esmeralda Calabria, Parlate a bassa voce è un viaggio delicato ma intenso nel passato e nel presente dell'Albania.

Presentato al 40° Torino Film Festival e distribuito nelle sale da Satine Film, Parlate a bassa voce è l’ultimo documentario diretto da Esmeralda Calabria, veterana del montaggio (nel 2021 ha conquistato il David di Donatello grazie a Favolacce), che con questo film squarcia il velo facendo riemergere la memoria dell’Albania. Per farlo, l’obiettivo indugia su diverse generazioni di personaggi, che hanno vissuto sulla propria pelle le tante contraddizioni di un Paese che da oltre 30 anni è costretto a fare i conti con i fantasmi del regime comunista, instauratosi in seguito alla Seconda Guerra Mondiale e tramontato solo a partire dal 1990.

Musicisti e attori, ma anche contadini e declassati, sono le voci attraverso cui prende forma l’immagine dell’Albania, quella di ieri – governata con stretta di ferro da Enver Hoxha – così come quella di oggi: Redi Hasa è un violoncellista che a fine anni ’90 lascia la propria terra, raggiungendo il fratello Ekland in Puglia; Bojken Lako, figlio del gigante del cinema balcanico Bujar Lako, lavora come cineasta per il piccolo e grande schermo; la cantante Irini Qirjako è fra le componenti di Jehona, rinomato coro di musica tradizionale albanese.

Parlate a bassa voce: un mosaico di voci ricostruisce la memoria di un Paese fra presente e passato

parlate a bassa voce recensione cinematographe.it

Dei tanti volti incontrati, è soprattutto Redi a farci da guida attraverso questo viaggio nella memoria, svelandoci i luoghi della sua giovinezza e ricordando assieme al fratello gli anni del regime in cui la nazione viveva in un isolamento impermeabile a qualsiasi contaminazione esterna, se non clandestina, facendo sì che l’unica arte consentita fosse quella nazionale o al servizio del partito. Non è probabilmente un caso che, come Redi ed Ekland, siano soprattuto artisti ad aver catturato l’interesse di Calabria. Artisti che tanto a lungo sono stati asserviti o costretti al silenzio, potendo rivolgere solo fugaci sguardi a ciò che il resto della cultura mondiale aveva da offrire, parlandone a bassa voce e con gli amici più fidati, in un clima che vedeva la fiducia di un popolo messa a dura prova per paura di essere traditi anche dal proprio vicino.

L’esperienza da montatrice di Calabria le consente di intessere un incalzante alternarsi di prospettive: le inquadrature mosse, tipiche della macchina a mano, conferiscono l’asciuttezza necessaria alle riflessioni dei protagonisti, a cui però fanno da contrappunto suggestive immagini in cui giochi di luci e musiche evocative aggiungono pathos alla narrazione; l’addio degli albanesi partiti per l’Italia, presente nella Puglia che ha accolto i fratelli Hasa o nei passaggi di ‘O Sole Mio intonati da Qirjako, lascia il passo alle voci di chi è invece rimasto in patria, nelle province o nella capitale Tirana; i brevi inserti di materiali d’archivio restituiscono vivide le immagini del regime, ma è poi soprattutto attraverso i racconti e i luoghi del presente che riaffiora la memoria dell’Albania e dei suoi figli. Ne nasce un ritratto delicato e al contempo incisivo, in cui si palesano le contraddizioni di un Paese che, a oggi, non sembra ancora essersi riappacificato con la propria storia recente.

Esmeralda Calabria crea un delicato inno all’importanza della memoria collettiva

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La tensione stilistica di Parlate a bassa voce è in fondo un riflesso dell’anima divisa del popolo albanese, teso fra presente e passato. Calabria intesse un filo che lega l’oggi agli anni che furono, nei confronti dei quali i suoi “attori” riservano sentimenti contrastanti, rivolgendo loro parole cariche di rabbia e dolore, ma anche ricordi di tempi per certi versi più semplici. Un passato che i protagonisti del documentario riescono catarticamente a rivivere proprio grazie alla macchina da presa messa a disposizione dalla regista italiana. All’attuale classe politica albanese che tenta di rimuovere ogni traccia del regime, forse in modo da evitare l’imbarazzo che deriverebbe dall’assumersi responsabilità, Calabria risponde mettendo al servizio il proprio cinema, convinta che preservare la memoria collettiva sia l’unico modo per ricucire lo strappo storico del Paese e far sì che il popolo albanese non si veda negata la possibilità di rivendicare i torti subiti.

L’efficace mosaico costruito dalla regista è impreziosito dalle stupende musiche firmate dallo stesso Redi Hasa, il quale con il suo violoncello, le cui note aprono e chiudono il documentario, regala al film un tappeto musicale emozionante ma mai eccessivamente lacrimevole. Abilmente, infatta, Calabria rifugge il patetismo volto a cercare l’effetto struggente a ogni costo, facendo trasparire sempre la grande dignità dei propri intervistati e lasciando che sia loro sincerità a colpire in modo secco lo spettatore.

Parlate a bassa voce: valutazione e conclusione

Prodotto, scritto, diretto e montato da Esmeralda Calabria, Parlate a bassa voce prova la grande sensibilità dell’autrice italiana, che con la sua regia delicata e attenda rende omaggio a un intero Paese, attraverso però la discrezione che ci si aspetterebbe da un’intervista intima. Pur offrendo uno spaccato storico, sono soprattutto le vite individuali degli uomini e delle donne intervistati a emergere, fotografati con rigorosa asciuttezza e a cui la regista concede spazio assoluto, “scomparendo” e lasciando che sia la forza delle testimonianze raccolte a tracciare la trasformazione attraversata dall’Albania nell’ultimo mezzo secolo. Intervenendo con abilità ponendo accenti ove necessario, attraverso video di repertorio accuratamente scelti e una colonna sonora toccante ma mai eccessivamente invadente, la regista allestisce un mosaico di profonda umanità e un convincente monito a preservare la memoria collettiva.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

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