Venezia 74 – Foxtrot: recensione del film di Samuel Maoz

Foxtrot trascina lo spettatore in un viaggio ondivago, irrequieto e incontrollato.

Dopo il Leone d’Oro conquistato nel 2009 con Lebanon, il regista israeliano Samuel Maoz torna in concorso a Venezia 74 con Foxtrot, struggente e frammentata pellicola a metà fra un war movie e un dramma familiare. I protagonisti del film sono gli israeliani Lior AshkenaziYonatan Shiray e la franco-israeliana Sarah Adler (Marie Antoinette).

Foxtrot

La vita degli sposi Michael (Lior Ashkenazi) e Dafne (Sarah Adler) viene improvvisamente sconvolta quando alcuni ufficiali dell’esercito si presentano al loro domicilio per comunicargli una tragica notizia: il loro figlio Jonathan (Yonatan Shiray) è stato ferito a morte in battaglia. Michael cade immediatamente preda di un misto di rabbia, dolore e depressione, ma la vita della sua famiglia sarà ulteriormente rimescolata dal caso e dal destino.

Foxtrot

Foxtrot: il potere del caso e l’ineluttabilità del destino

Samuel Maoz dirige con stile e maestria una tragedia in tre atti sulla fatalità, in cui gli echi delle emozioni e delle azioni nate in una casa distrutta dal dolore e dalla perdita hanno conseguenze e strascichi a chilometri di distanza, su un campo di battaglia dove si celebra la disumana follia della guerra. In poco meno di 2 ore, il regista israeliano dipinge con straordinaria forza visiva un universo di sentimenti e sfumature, da un insolito rapporto padre-figlio a distanza al conflitto coniugale, dall’amore alla disperazione, dalla compassione al senso di colpa, stupendo con dei dialoghi asciutti e ben calibrati, in aperto contrasto con uno stile narrativo che sfugge a qualsiasi possibilità di catalogazione, passando in maniera quasi isterica dal più doloroso dramma alla più inaspettata e grottesca comicità.

Foxtrot si muove con lo stesso passo della danza da cui prende il nome, concedendosi parentesi oniriche, erotiche e poetiche, ma tornando sempre e comunque al punto di partenza, in un sadico e infinito ciclo di colpa, punizione ed espiazione. Al suo secondo lungometraggio di finzione, Samuel Maoz conferma le pregevoli doti mostrate in Lebanon, scindendo la propria poetica in due anime cinematografiche agli antipodi ma complementari: da una parte la misura e l’attenzione al dettaglio delle scene ambientate in casa, in cui le parole, gli sguardi e persino i sospiri sono centellinati in modo da rappresentare una sorta di prigione fisica e mentale, in cui tutti gli stadi del lutto vengono progressivamente elaborati e superati; dall’altra il visionario caos del campo di battaglia, che il regista utilizza per liberare tutta la propria fantasia, cercando e trovando la trascendenza nel conflitto bellico, l’erotismo nella follia, l’ordine nel caos più totale.

Un viaggio ondivago, irrequieto e incontrollato di straordinaria forza visiva

Nel caleidoscopio di immagini ed emozioni di Foxtrot, non mancano passaggi forzati e complessivamente meno riusciti, ma non si può che restare sorpresi e ammaliati dall’originalità della messa in scena di Samuel Maoz, totalmente libera da qualsiasi canone o convenzione ma al tempo stesso capace di trovare una propria coerenza e unitarietà, soprattutto nello splendido finale. Un doveroso plauso anche ai tre principali interpreti, abili a rendere le sfumature in continuo mutamento dei propri personaggi, e alla fotografia di Giora Bejach, che a tratti sembra quasi sostituirsi alle parole nel delineare le emozioni dei protagonisti.

Foxtrot

Foxtrot trascina lo spettatore in un viaggio ondivago, irrequieto e incontrollato, che analizza con cinico umorismo il potere del destino e della casualità nella nostra esistenza. Samuel Maoz si conferma così uno dei più interessanti del panorama cinematografico internazionale, sfornando una delle più gradite sorprese di questo primo scorcio di Venezia 74, che è facile prevedere come vincitore di almeno uno dei premi più importanti di quest’edizione del Festival.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6