Venezia 77 – Non Odiare: recensione dell’esordio di Mauro Mancini

Una favola urbana ambientata in un non-tempo e in un non-spazio in cui si raccontano le logiche di un odio ereditato, sedimentato sotto la pelle della nostra società.

L’unico italiano in concorso alla 35esima Settimana della Critica di Venezia 77 è Non Odiare, il film delle prime volte. La prima volta alla regia di un lungo di Mauro Mancini, che ne firma anche la sceneggiatura insieme a Davide Lisino, dopo una grande produzione tra corti, collaborazioni, videoclip musicali e spot, e la prima volta di una camera all’interno della suggestiva Sinagoga di Trieste, la città dove si svolge la storia, anche se ce ne accorgiamo solo dalla scritta sulla fiancata di un bus.

Una co-produzione tra Italia e Polonia che prende spunto da un fatto di cronaca accaduto nel 2010 a Padeborn, in Germania, dove un medico ebreo ha infranto il giuramento di Ippocrate non prestando le cure ad un uomo con un tatuaggio nazista. Un dilemma morale, da cui la pellicola parte, incontrando molte delle influenze del cinema nordico più che mediterraneo, come le origini della produzione suggeriscono, sia nelle scelte di regia che nella fotografia di Mike Stern Sterzyński.

Tra il cast spicca il nome di Alessandro Gassman, alle prese con una prova più cupa e meno parlata rispetto ai ruoli a cui ci ha abituato, affiancato dall’esordiente Luka Zunic e dalla bravissima Sara Serraiocco.

Non Odiare arriva nelle sale italiane il 10 settembre distribuito da Notorious Pictures.

Non Odiare: l’eredità dei padri

Non Odiare, cinematographe.it

Simone Segre (Gassman) è un chirurgo di origine ebraica, solitario e con la paura di volare, da anni allontanatosi dal padre, un superstite dell’Olocausto, e, con lui, da tutto ciò che la sua fede religiosa può significare nel vissuto di ogni giorno. L’ultima cosa rimastagli della sua famiglia è una casa da vendere, piena di cianfrusaglie e con un cane indomabile come unico inquilino. Non si può però fuggire in eterno se non si ha il coraggio di spingersi oltre il fare canottaggio sui corsi d’acqua limitrofi alla città.

Ecco quindi che un giorno il passato torna da Simone sotto forma di un omone tatuato con dei simboli nazisti vittima di un pirata della strada. Al suo cospetto un rigurgito di odio torna ad impadronirsi del chirurgo che, pur essendo l’unico sul luogo dell’incidente, decide di abbandonare la figura moribonda davanti a lui, condannandola al suo destino.

Un gesto che paradossalmente lo avvicinerà alla famiglia dell’uomo, orfana di un padre e in condizioni economiche precarie. Simone deciderà quindi di aiutarla, assumendo come colf Marica (Sara Serraiocco), la figlia maggiore, tornata da Roma per occuparsi di Marcello (Luka Zunic), il figlio di mezzo, ma primo maschio e quindi erede del gene dell’odio, e Paolo (Lorenzo Buonora), ancora innocente e al di fuori delle logiche paterne. Un incontro/scontro che rischia di non lasciare superstiti.

Odio di seconda mano

Non Odiare, cinematographe.it

Inizia da film horror, questo Non Odiare di Mauro Mancini, un horror sotto il sole, come da tendenza recente, facendo da subito coming out sulla tematica del racconto e sullo stile scelto.

In riva ad un lago assistiamo ad una sorta di macabra e significativa cerimonia d’iniziazione paterna all’odio razziale, illuminata da una luce appena calda, in un film poi sempre gelido, nella fotografia, nella scrittura e nella recitazione, girato cercando una distanza, sia emotiva che logica, dai personaggi. Una scelta ponderata per lasciare spazio al vero protagonista del racconto di manifestarsi in tutte le sue contraddittorie conseguenze.

Nessuno dei due protagonisti maschili è stato testimone diretti dell’Olocausto, forse neanche il padre del ragazzo lo è stato, al contrario di quello del chirurgo, eppure entrambi sono stati educati all’odio, come discepoli obbedienti, ma fuori tempo massimo. Più fedeli agli insegnamenti dei loro stessi maestri, come testimoniano le otturazioni dei denti nazisti e le allusioni di Marica riguardo la natura del soprannome del capofamiglia Minervini.

Simone è fondamentalmente un orfano, sperso, che si riavvicina alle sue origini solo dopo aver messo in discussione se stesso, cercando disperatamente un segno dal padre, del quale gli è rimasto solo odio; Marcello, dal canto suo, è un neonazista con la faccia da bambino e dallo sguardo dolce, che gioca a FIFA con il fratello minore, va bene in italiano e fa parte di un gruppo in cui i commilitoni vengono rimproverati perché non si siedono composti. Un ragazzo che si vergogna di vedere la schiena nuda della sorella Marica, il punto di congiunzione tra le due realtà molto più vicine per i comuni problemi irrisolti con le loro figure di riferimento che divise da un’appartenenza razziale, che alla prova finale non regge.

Mancini confeziona questo ménage à trois a tratti molto intimo, a tratti molto tenero e a tratti molto disperato, riempiendo il suo film di simbolismi, piccole tracce di un’epoca passata e di una battaglia presente, cercando di far parlare il meno possibile i suoi attori, tutti azzeccati, tutti dosati.

Sotto pelle

Non Odiare, cinematographe.it

Non Odiare non tratta di antisemitismo, ma delle persone ancora contagiate dai suoi effetti, limitandosi a porre delle domande a chi guarda senza mai assumersi il compito di dare risposte, per le quali sarebbe servito l’approfondimento di tutto un altro mondo, che al film non appartiene. Qui risiede la sua intelligenza e la sua contemporaneità nel porsi ad un pubblico che vive in una realtà in cui purtroppo le forme di estremizzazioni stanno tornando ad essere sempre più presenti.

Il non-luogo scelto è un centro di snodo multiculturale storicamente importante e in cui è tutt’ora presente una forte contaminazione interrazziale, colta dalle camera di Mancini sull’autobus, nei mercati coperti e ai semafori degli incroci stradali, e per di più con delle radici ben radicate nella professione ebraica. Ma allora perché è necessario rimanga un non-luogo?

Perché il seme dell’odio e della paura dell’altro nasce dalla fragilità, germoglia sotto pelle e, a differenza nostra, non è razzista: non fa distinzioni di colore, sesso, latitudini ed età. Il film ci parla anche di questo. Le difficoltà economiche, le poche prospettive per il futuro e lo sfilacciamento dei rapporti familiari sono gli elementi che consentono a questa malattia di diffondersi. E i martiri fanno il resto.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8