My Heart Can’t Beat Unless You Told It To: recensione del film

Se avete amato il cannibalismo romantico e on the road dei distruttivi e magnifici Lee e Maren di Bones and All, l’esordio indipendente eppure potentissimo di Jonathan Cuartas, dalla ricerca narrativa e stilistica pressochè similare a quella dell’instant cult di Luca Guadagnino, vi sorprenderà e commuoverà. Un’impronta autoriale minimalista, cruda, emotiva e spietata, al servizio di un racconto estremamente sentito sull’impossibilità di fuggire rispetto alla propria natura e famiglia, nonostante i sacrifici, nonostante il dolore. Tra la letteratura di Sam Shepard e Cormac McCarthy e il cinema di Wim Wenders e Terrence Malick. Presentato al Tribeca Film Festival nel 2020, è finalmente disponibile sulla piattaforma italiana e-cinema.it

Tre anni prima che Bones and All divenisse un vero e proprio caso cinematografico, facendo il giro dei festival internazionali più glamour e di fama, conseguendo vittorie su vittorie, Jonathan Cuartas, passando per il Tribeca Film Festival – dove consegue la menzione speciale della Giuria -, il Sitges e circuiti minori del cinema americano più indipendente e di genere, esordisce al lungometraggio con My Heart Can’t Beat Unless You Told It To.

Un film che curiosamente condivide con il ben più noto Bones and All di Guadagnino, non soltanto il tema della condizione cannibale/vampiresca nella provincia americana, ma anche quella del significato della famiglia e del peso della solitudine, rispetto a chi come Maren, Lee e Thomas si ritrova costretto a vivere nell’oscurità, tra sacrifici, violenze, anonimia e desiderio di fuga.

La genesi di My Heart Can’t Beat Unless You Told It To inoltre non risulta essere stata affatto immediata, o rapida. Questo perché Jonathan Cuartas, giovane cineasta d’origine colombiana, dal 2016 al 2018 lavora ad alcuni cortometraggi, tra i quali vi è Kuru, la versione a cortometraggio dell’opera che di lì a cinque anni diverrà il suo lungometraggio d’esordio, My Heart Can’t Beat Unless You Told It To.

Tre fratelli, tra silenzi, illusioni e sangue

My Heart Can't Beat Unless You Told It To - Cinematographe.it

Dwight (Patrick Fugit), Jessie (Ingrid Sophie Schram) e Thomas (Owen Campbell), sono tre fratelli, ciascuno di età differente rispetto all’altro.
Se ciò che li unisce è il legame familiare, ciò che li separa è una condizione di dannazione vissuta da Thomas, il più giovane. Il quale si ritrova a dover subire sulla propria pelle e anima il peso del vampirismo, in tutto ciò che comporta. Dalla vita nell’oscurità, all’impossibilità di avere amicizie e libertà, fino alla solitudine e al desiderio della fuga.

Da una parte c’è che ci va a caccia, Dwight e Jessie, anch’essi impossibilitati ad avere una vita propria, fatta d’amori, leggerezza e felicità. Mentre dall’altra c’è Thomas, che non soltanto non può uscire di casa, ma pur restandoci deve osservare una lunga serie di regole. Tra queste, quella di restare alla larga dalle finestre, tutte accuratamente coperte da teli e assi di legno, così da non poter nemmeno osservare ciò che è esterno, e ciò che è vita e normalità.

Tra le pareti squallide, buie, scrostate e desolate della casa di famiglia, immersa tra le campagne di una provincia americana talmente anonima, da non necessitare nemmeno di un nome, nella quale i tre fratelli vivono tra silenzi, sguardi e terrore, è sempre natale.

Ogni giorno è infatti previsto lo scambio dei regali e la ripetizione logorante e decisamente grottesca di un gioco musicale che i tre condividono apparentemente da sempre e che si lega quasi immediatamente ai toni gotici cui il film appartiene.

Se inizialmente la notte è tempo di omicidi e a farne le spese fin da subito sono i senza tetto, gli stranieri – il film riflette seppur sotterraneamente sulla condizione tragica di chi oltrepassa il confine, ritrovandosi in terra americana senza né futuro, né lavoro – e i disperati, appena più tardi diviene necessario procurarsi sangue perfino alla luce del giorno. Elemento che evidenzia ancor più ferocemente la condizione di amore, bisogno, abbandono e pericolo che Dwight e Jessie condividono da sempre, pur di garantire sopravvivenza al fratello adolescente ed emarginato, Thomas.

Quella dei tre fratelli è una routine di sacrifici e violenze – con tanto di lavorazione casalinga dei corpi martoriati e inevitabile congelamento del sangue – camuffata da banalissima e nient’affatto interessante normalità, tra cene di famiglia, karaoke, scambi di regali e così via.

Seppur ce la metta tutta, gli equilibri fragilissimi che sostengono la famiglia disfunzionale del film, sono presto destinati ad infrangersi e crollare, a causa di una tensione sempre più evidente che Cuartas con grande sapienza e abilità comunica a partire dalle primissime sequenze, popolate da inquadrature estremamente statiche, eppure di enorme pathos, tra sguardi, non detti, violenza latente e desideri sempre più aggressivi e potenti rispetto al voler lasciare quel nido di violenze e sacrifici una volta per tutte, raggiungendo la strada, la vita e la libertà.

A differenza infatti di Bones and All, il film di Jonathan Cuartas non è affatto interessato a ciò che sta fuori, piuttosto a ciò che resta all’interno. La dimensione claustrofobica di My Heart Can’t Beat Unless You Told It To non soltanto funziona enormemente nelle sequenze casalinghe del film – quasi interamente ambientato in interni – ma anche in quei pochissimi momenti di respiro, mozzato rapidamente, durante i quali Jessie e Dwight si recano a lavoro e caccia, uscendo dall’oscurità, pur sempre protetti da una gelosissima e necessaria anonima.

Come detto, un interessante e sorprendente impronta autoriale e più in generale stilistica quella di Jonathan Cuartas, che nel limitare la narrazione del suo film alla sola dimensione casalinga, rende immediatamente percepibile e più che concreto il desiderio di Thomas di recarsi all’esterno, per conoscere il reale significato della vita, della libertà e dell’amicizia.

Quella sfera che può soltanto intravedere ogni tanto dalle finestre accuratamente sbarrate, oppure udire, poggiando l’orecchio su quei muri ormai in decadimento e destinati sempre più a crollare, smettendo di proteggere ed esistere una volta per tutte.

I fratelli che Cuartas racconta e filma, concentrandosi sui volti, e sui corpi, quasi sempre inquadrati di spalle sono in realtà estranei l’uno all’altra, come individui catapultati in una realtà drammatica a tal punto da includere perfino l’estraniamento e la volontà di abbandono.

C’è da dire che di horror il film di Cuartas non ha che la traccia del vampirismo, poiché tutto il resto è così definitivamente drammatico e tragico da condurlo ben presto verso altri lidi e generi e non è affatto un male. A partire da un uso della violenza estremamente intelligente. Un film non per tutti, questo è certo, poiché non mostrando mai realmente il suo aspetto sanguinolento ed efferato, lo suggerisce e sottolinea, se possibile ancor più ferocemente, confinandolo ad un fuori campo sadico, spietato e necessario.

Ancor prima del male però, c’è l’amore. Il vampirismo non è mai stato mostrato e raccontato prima in questo modo. Sulla quotidianità disillusa e poi illusa, sulla disperazione della solitudine, sulla speranza di un’assurdità travestita da normalità e sull’illusione drammatica e profondamente commovente e sincera della fuga e della libertà.

Quello di My Heart Can’t Beat Unless You Told It To è un 4:3 granuloso e buio che si esprime e anima con sorprendente finezza, raggiungendo momenti di altissimo cinema, muovendosi tra l’intimismo di Wim Wenders, espresso attraverso una composizione dell’inquadratura maniacale, astratta e naturalista – specialmente nel finale -, e la prosa scarna e cruda della letteratura così radicalmente e visceralmente americana di Sam Shepard e Cormac McCarthy. Sui reietti, la provincia, il male e la violenza, come entità quest’ultima apparentemente inarrestabile se non al sopraggiungere definitivo e senza ritorno della morte che rivive nella scrittura cinematografica di Cuartas.

My Heart Can’t Beat Unless You Told It To: conclusione e valutazioni

My Heart Can't Beat Unless You Told It To - Cinematographe.it

Jonathan Cuartas, forte di un lungometraggio d’esordio incredibilmente feroce, potente e commovente ci ricorda il primo Malick, compiendo un’operazione narrativa dalla sensibilità folgorante che ci racconta con grande sapienza e realismo – ai limiti del documentaristico – l’America di provincia, così come il destino degli ultimi, e degli abbandonati, cui l’amore comunque non dice mai di no.

La visione del film è assolutamente consigliata, a partire dalle solidissime prove di Patrick Fugit, Ingrid Sophie Schram e Owen Campbell, tre interpreti in stato di grazia.

My Heart Can’t Beat Unless You Told It To è disponibile in esclusiva sulla piattaforma italiana E-Cinema.it, anche senza abbonamento, in versione VO e sottotitoli, a partire dai primi di giugno 2023. Non perdetelo!

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4