Mother (2025): recensione del film con Noomi Rapace, da Venezia 82
Un biopic elegante ma prigioniero della propria forma, che finisce per essere poco incisivo.
Un film imperfetto, come la sua protagonista. Mother è un ritratto di Madre Teresa di Calcutta in un momento molto particolare della sua vita, nel passaggio prima di diventare l’icona che tutti conoscono. In concorso nella sezione Orizzonti dell’82esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il film si prende molte libertà nella ricostruzione storica, ma è troppo classico nel cercare di essere innovativo.
Mother: un biopic ambizioso, ma dalle premesse fragili

Teona Strugar Mitevska esordisce con il suo primo lungometraggio in lingua inglese, scegliendo un soggetto delicato da raccontare: una settimana nella vita di Madre Teresa, attraverso la forma azzardata del biopic di finzione. La trasformazione della vita di Madre Teresa in parabola è un’operazione intellettualmente ambiziosa, ma fin dalle prime sequenze emerge il sospetto che ci troviamo di fronte a un’opera più interessata all’aspetto estetico che a quello narrativo, ma dove entrambi contengono criticità. Siamo nel 1948: Teresa attende l’approvazione vaticana per le Missionarie della Carità mentre dirige un convento a Calcutta, le cui suore sono insegnanti per i bambini, infermiere per gli ammalati, servitrici per gli affamati. L’India post-coloniale fa da sfondo alle opere delle sorelle, che si dedicano interamente al prossimo.
Mother e l’interpretazione di Noomi Rapace nei panni di Madre Teresa di Calcutta

L’elemento più riuscito di Mother risiede nel confronto tra Madre Teresa (Noomi Rapace) e Suor Agnieszka (Sylvia Hoeks). Rapace costruisce un ritratto quasi straniante della futura santa: donna glaciale che oscilla tra la dedizione mistica e il rigido controllo, tra la Giovanna d’Arco dreyeriana e l’infermiera Ratched di Qualcuno volò sul nido del cuculo. È una scelta interpretativa coraggiosa che sottrae Teresa all’iconografia tradizionale e la fa vivere nel paradosso di una umanizzazione distaccata. Agnieszka raffigura l’antitesi a tutto questo: incinta dopo un rapporto proibito, rappresenta lo scandalo dell’amore carnale nel luogo più casto. La sua condizione mette in crisi Teresa e il microcosmo che ha costruito, sollevando interrogativi importanti sui limiti della dottrina della santa. Hoeks rende questo conflitto con intensità magnetica, dando vita al personaggio più umano e credibile del film.
A completare questo triangolo psicologico interviene Padre Frederich (Nikola Ristanovski), confessore di Teresa che dovrebbe fungere da contrappunto morale ma finisce per essere un personaggio problematico. È un ecclesiastico dalle visioni troppo progressiste per ruolo svolto e contesto storico, risultando comunque paternalistico. Così com’è, Padre Frederich resta funzione narrativa più che persona, espediente drammaturgico che indebolisce la coerenza del film. Il modo in cui viene affrontata l’istanza femminista è così depotenziata, perché privata della propria forza e indipendenza. Il personaggio tradisce la volontà della regista di inserire una voce più attuale nel racconto, ma non è efficace nelle modalità.
Un film intrappolato dalla forma

Mother cade nella trappola del privilegiare la forma sulla sostanza. Mitevska costruisce un’estetica derivativa che cita troppo esplicitamente i maestri del cinema sacro, come Dreyer, Tarkovskij e Malick, senza trovare una voce distintiva. La narrazione procede per accumulo di simboli cristiani: geometrie cruciformi riprese dall’alto, la semiotica del pane e delle uova, riflessi ossessivi che moltiplicano la presenza del religioso. Questa saturazione simbolica appesantisce un racconto già intriso di gravitas, seppure la sostanza del contenuto sia esile. La fotografia è curata, le composizioni eleganti, la messa in scena ineccepibile: ma è proprio questa correttezza formale a dare la sensazione dell’assenza di una visione personale e di uno stile definito.
Mother: valutazione e conclusione
Mother è un film tecnicamente irreprensibile, sostenuto da interpretazioni solide e da una regia che padroneggia i codici scelti. Mitevska costruisce un oggetto cinematografico che funziona secondo le proprie premesse, ma il problema è che queste premesse sono fin troppo evidenti, dichiarate, programmatiche. In alcune scene si tenta anche un approccio punk, ma con risultati deboli che sembrano fuori contesto. Si potrebbe definire un film scolastico, senza che sia necessariamente un difetto, ma purtroppo è privo di quella scintilla che avrebbe potuto renderlo dirompente.