Venezia 77 – Meel Patthar (Milestone): recensione

Non è mai facile invecchiare. Ancor più, non è facile accettare di invecchiare quando il lavoro è l’unica cosa che ti rimane. Un mestiere che ti sostiene, che ti mantiene in maniera concreta attraverso la paga percepita, ma che permette anche allo spirito di non abbattersi, trovando una valvola di sfogo in quello che dà senso alle proprie giornate e che ci sostiene affinché non ci ritroviamo senza niente da stringere in mano. Un argomento delicatissimo, età avanzata e crisi del lavoro, che Meel Patthar (Milestone) cerca di unire in un racconto da selezione ufficiale della 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti.

Nel bel mezzo di uno sciopero indetto da un agguerrito sindacato che non accetta più le misere condizioni di paga e lavoro che si trova, dunque, a dover contestare, Ghalib (Suvinder Vicky) continua il proprio mestiere da camionista senza battere ciglio. Con il suo automezzo ingombrante, con cui ha fatto chilometri e chilometri di strada per caricare e consegnare roba, l’uomo non ha intenzione di fermarsi, se non fosse per un lancinante mal di schiena che mostra, tanto a lui stesso quanto ai suoi superiori, il primo segno degli acciacchi di un’età ormai non più fanciullesca, mettendo così accanto a Ghalib un giovane apprendista, che dovrebbe prendere un giorno il suo posto. Tra l’impossibilità economica di poter lasciare il proprio lavoro e un’elaborazione di una perdita violenta che accompagnerà il protagonista nelle sue lunghe attraversate in camion, Ghalib dovrà trovare una soluzione per non rimanere a piedi, tentando anche le mosse più disperate.

Milestone – La tensione e il timore del suo protagonistamilestone, cinematographe

Se il tema di Milestone è di una sottigliezza tale da dover prendere tutte le precauzioni del caso per poter essere raccontato con attenzione e con puntualità di scrittura e comprensione, il film di Ivan Ayr arriva troppo tardi alla centralità dell’argomento che vuole trattare, girando molto a vuoto prima di cogliere l’esatta natura del proprio prodotto e saperla così esplicare fin da subito allo spettatore. Una mancanza di punto fermo che condiziona l’andamento tutto della sceneggiatura dell’opera, che quando finalmente sceglie di esplicarsi al suo pubblico lo fa con un sentimento di compassione e premura tale da affiancarsi proprio all’animo sperduto del protagonista.

Una commozione che abbraccia la figura di un uomo e il dramma, personale e lavorativo, che sta vivendo, dove è lo stesso attore Suvinder Vicky a farsi carico non solo dei dolori fisici contro cui il personaggio deve scendere a patti, ma di un’interiorità che lui stesso non sa come esplicare, non riesce a gestire se non continuando dritto a proseguire sul suo camion, con i suoi compiti. Un’interprete che trattiene tutto, ma solo per far arrivare al pubblico la forza di volontà che lo muove e lo spinge a non mostrare alcun segno di cedevolezza, soffrendo per questo a propria volta e stabilendo l’intensa prova attoriale portata a termine dal suo protagonista.

Milestone – Il racconto poco solido, ma sentito, di un uomo e il suo lavoromilestone, cinematographe

Un ulteriore dispiacere, dunque, perché oltre all’abilità interpretativa del suo personaggio principale, Milestone si avvale anche di una maturità registica che ricerca gli sguardi più indicati per raccontare la storia di Ghabil, con scelte di inquadrature e tonalità delle scenografie che esaltano le composizioni del film, dando prova di un occhio preparato dietro la macchina da presa, cosciente di cosa vuole richiedere per la sua messinscena.

Ponendosi sulla strada, ma arrivando con lentezza alla propria meta, Milestone convince anche se sarebbe stato il caso di avere una mano più decisa sulla narrazione messa in campo, inducendo comunque lo spettatore a una visione sentita e trascinante.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.9