Michael Clayton: recensione del film con George Clooney

La recensione di Michael Clayton, il film con George Clooney per la regia di Tony Gilroy sulla crisi morale della sociatà occidentale.

La vita di Michael Clayton (George Clooney) è un vita difficile, dura. Avvocato mediatore di grande abilità e caratura, ha però una vita privata tormentata, con problemi economici e  una grande solitudine, a parte poche amicizie, tra cui Arthur (Tom Wilkinson), altro avvocato di grande successo.
Arthur ha preso l’incarico di difendere la U-North, una conglomerata di prodotti agricoli molto potente, ma durante una seduta del processo che vede la U-North sottoposta ad una class-action, ha una sorta di crollo nervoso delirante.
Michael scopre che Arthur in realtà, ha le prove della colpevolezza della U-North, che si è resa responsabile della morte di 468 persone, e gli viene chiesto di tenerlo sotto controllo dal suo capo, Marty Bach (Sidney Pollack).
Non sa che intanto Karen Crowder (Tilda Swinton), Capo dell’Ufficio Legale della U-North, ha scoperto tutto e ha deciso di fare eliminare da due sicari Arthur, con il tacito accordo del capo della conglomerata.
Micheal ora si troverà di fronte ad un bivio: vendicare l’amico, fare giustizia o pensare alla sua carriera e fare ciò che lo studio gli chiede di fare?

Michael Clayton è un film sulla fine della moralità

Scritto e diretto da Tony Gilroy, Michael Clayton è senza dubbio uno dei migliori thriller del XXI secolo, un film che rende protagonista l’intreccio, i personaggi, che fa dell’imprevedibilità la chiave vincente all’interno di un iter narrativo in cui nulla è ciò che sembra, in cui prevale il dubbio, l’incertezza e dove non esistono eroi.
Dominato da una fotografia straordinaria di Robert Elswit, il film di Gilroy è un oscuro labirinto dove la luce è quasi assente, dove interno ed esterno si sovrappongono, quasi a comporre una sorta di doppio specchio.
Ma del resto la dualità, della vita, della società, dell’essere umano è al centro dei 119 minuti del film, che si erge a simbolo non solo del dilemma morale, ma anche della mancanza totale di principi nella società moderna, ed in particolare nell’attività forense.
Più che un film sulla giustizia, un film sulla difficoltà ad averla, su quanto la società americana sia sostanzialmente schiava di un sistema economico-giudiziario, in cui il denaro compra ogni cosa, permette ogni cosa, dove seguire le regole è garanzia di sconfitta.

Michael Clayton, Cinematographe.it

Il bene ed il male si sfiorano continuamente

La ragnatela in cui Michael Clayton si trova imprigionato suo malgrado, il suo essere tutto tranne che un eroe o un anti-eroe, quanto piuttosto un uomo che vuole sopravvivere, lo guidano infine verso una trasformazione drastica, gli fanno capire che deve diventare egli stesso come i suoi nemici, come quella conglomerata che ha alle calcagna, per farcela.
Negazione della moralità? Un uomo che piega le regole più che spezzarle? Oppure semplicemente la rivincita del concetto di relatività in un sistema che vive di assoluti? Che divide tutto e tutti secondo categorie quali vincente o perdente, corruttibile o no?
Difficile rispondere, ma non si può fare a meno che notare che persino la Karen Crowder di Tilda Swinton per diversi istanti, sembri più una vittima a sua volta che il “cattivo” della situazione, ruolo sicuramente più consono a Ken Howard, silente assassino che non si scopre mai, uomo dalla mente meccanica e che non a caso è nella posizione dominante per quasi tutto il film.

Michael Clayton, Cinematographe.it

Tra simbolismo e teatralità

Opera che vive di simbolismi antichi, dal cavallo portatore della vita, ai feticci di una morte tecnologica ed insieme legata a miti gotici, al vuoto che stringe e soffoca la luce, i corpi, le parole e gli spazi, Michael Clayton è senza ombra di dubbio connesso anche a Shakespeare, ai miti greci, al tema della vendetta e dell’inganno, ai potenti che tremano di fronte agli errori che l’hybris del loro ego li porta a commettere.
Non un film pessimista, quanto piuttosto un film realista sulla nostra società, descritta come classista, impietosa, spietata verso chi cerca qualcosa di più e di diverso da quel denaro che apparentemente può comprare tutto, ma che invece è semplicemente mezzo attraverso il quale la tribù dei sussurratori e dei mediatori costruisce la propria fortuna.
Con un cast assolutamente straordinario, su cui svetta la Swinton (vincitrice dell’Oscar come non protagonista) e con ben sette nominations all’attivo, Michael Clayton è un film che pare appartenere ad un’altra epoca, quella della New Hollywood che dava al pubblico film in grado di essere ad un tempo intimi ed universali.
E a cui quest’opera si avvicina in modo deciso, così come Clooney ai grandi divi del cinema che fu. 

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.8