Venezia 74 – Marvin: recensione del film di Anne Fontaine

Marvin è l'ultimo film girato dalla regista francese Anne Fontaine presentato alla 74ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Bambino malamente preso di mira a scuola, figlio di un padre delinquente e madre anaffettiva, ragazzo dedito al teatro che trascorre tempo sul palco o nel letto di un affascinante adulto. Marvin Bijou racconta la sua omosessualità su un palco e nel grande schermo in una storia rivolta alle persone che lo circondano in platea e allo spettatore seduto al cinema. Marvin Bijou era il nome di nascita di Martin Clément, giovane drammaturgo protagonista della nuova pellicola diretta dalla regista francese Anne Fontaine (Coco avant Chanel – L’amore prima del mito, Il mio migliore incubo!, Two Mother, Gemma Bovary), in concorso nella Sezione Orizzonti alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia.

Fin dalla tenera età Marvin (Finnegan Oldfield) si interroga su cosa voglia dire essere “frocio”. Se è una malattia perversa come afferma il padre, lui non può essere “frocio”. Eppure guarda gli altri ragazzi in piscina, cerca di stare con una ragazzina, ma non le piace poi tanto. Marvin cresce in un ambiente sbagliato, retrogrado, un’unica famiglia costretta tra le mura in una minuscola casa in cui si urla, ci si insulta, si alzano le mani. Il teatro farà uscire dal buio Marvin e sarà sempre il teatro a raccontare la sua storia in rapporto alla propria omosessualità.

Marvin – Anne Fontaine e i cliché dell’omossessualità

marvinUn giovane che si esprime con il teatro riportato attraverso la dimensione cinematografica. Scritto e diretto dalla francese Anne Fontaine, Marvin è un concentrato di cliché narrativi che per nulla sembrano propensi a vitalizzarsi, proseguendo confusi e tediosi fino alla conclusione dell’opera.

Consapevole della sua tendenza sessuale fin dalla tenera età, Marvin Bijou viene violentato dai compagni di scuola, cresce in un ambiente famigliare composto da evidenti trogloditi e trova come unico modo di esprimersi la drammaturgia teatrale. E si continua con l’allontanamento dal nido, l’infatuazione di uomini più grandi, l’amicizia con la tipica coppia in crisi. Copia, di una copia, di una copia di quanto il racconto è oramai saturato abbastanza, accompagnato dalla usuale e quanto mai urtante introspezione del protagonista che non riesce a far fronte alle difficoltà della vita.

L’originalità che ripone la Fontaine è tutta incentrata sulla costruzione dei differenti piani temporali che richiamano a loro capriccio momenti del passato e del presente che disorganicamente si allacciano tra loro, assemblando senza rigor di logica o sentimento – colpa della sceneggiatura co-scritta assieme a Pierre Trividic, ma complice allo stesso tempo il montaggio poco incisivo di Annette Dutertre (L’amour est un crime parfait, Gemma Bovary, 21 nuits avec Pattie, Les innocentes) – l’infanzia (indefinita) dello sprovveduto Marvin, giungendo per successive fasi al suo oggi procedendo sempre in disordinata e farraginosa maniera.

Marvin – Il teatro e la mancanza di direzione

marvinSpiegare l’interiorità tralasciando obiettivi e direzioni sembra il compito di Marvin, una sorta di lungo monologo dalla poeticità banale e pretenziosa, che con i continui soliloqui del protagonista e i suoi incontri con amici e parenti tocca un’altra vena scoperta della pellicola, quella dei dialoghi inconsistenti e filosoficamente in chiave assolutamente non necessaria.

Neanche un elemento puramente tecnico riesce a risanare le consistenti pecche del film, dotato della fotografia scialba di Yves Angelo (Tutte le mattine del mondo, Un cuore in inverno, L’accompagnatrice) e delle sgradevole colonna sonora supervisionata da Brigitte Taillandier e Jean-Pierre Laforce. Se il personaggio principale ha la possibilità di cambiare il proprio nome, purtroppo la regista Anne Fontaine non avrà possibilità di aggiustare la sua tediosa opera.

 

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2