L’Uomo nel buio – Man in the Dark (2021): recensione del film con Stephen Lang

A distanza di cinque anni torna al cinema il brivido de L’uomo nel buio: a metà tra thriller e horror, il film con Stephen Lang è un racconto verità nascoste e un passato da occultare.

L’Uomo nel buio – Man in the Dark 2 insegna che non sempre le apparenze ingannano: quando ci si macchia di delitti inconfessabili e di atti efferati l’unica àncora di salvezza è la morte, una strada senza uscita che permette però di scrollarsi di dosso definitivamente delle proprie colpe passate. Ma un’altra via sembra essere quella del perdono: un modo per rinascere dalle proprie ceneri, come una fenice, in grado di far emergere un briciolo di umanità attraverso un singolo atto di benevolenza.

Tematiche forti, ma modestamente velate da elementi horror e thriller, quelle presenti nel secondo capitolo di L’uomo nel buio – Man in the Dark, in uscita nelle sale italiane dall’11 novembre 2021 e distribuito da Sony Pictures Italia, diretto da Rodo Sayagues e prodotto e cosceneggiato da Fede Alvarez, che aveva diretto il primo film.
Anche qui ritroviamo Stephen Lang come protagonista, il vecchio ex marine cieco che si era macchiato di omicidi e stupri e che dopo 8 anni ha cercato di ricreare quell’ideale di famiglia che gli era stata negata a seguito degli eventi precedenti il primo capitolo e durante lo stesso.

Norman Nordstrom vive ora appartato insieme a Phoenix, una ragazzina rimasta orfana a seguito di un incendio quando era molto piccola e che è stata raccolta dallo stesso. La bambina non ricorda nulla del suo passato e viene sottoposta ad allenamenti rigidissimi dal vecchio marine per imparare a difendersi, rimanendo al contempo quasi sempre confinata entro le mura domestiche da quello che lei considera suo padre. Tutto cambia quando un gruppo di malintenzionati cerca di rapire Phoenix irrompendo nella casa: a quel punto Norman deve nuovamente fronteggiare chi cerca di spezzare la sua idea malata di famiglia.

Stephen Lang da antagonista ad antieroe in L’Uomo nel buio – Man in the Dark 2

L'uomo nel buio Cinematographe.it

Man in the Dark presenta un evidente ribaltamento del protagonista fin dalle prime scene: un uomo per certi versi protettivo nei confronti della figlia adottiva, un ruolo diegetico che lo discosta da quello che nel primo film poteva essere interpretato come un antagonista con tratti di psicosi. Per certi aspetti, infatti, potrebbe sembrare che il film si ponga come un rifacimento totale della storia di Norman, di fatto cambiato a seguito degli eventi del passato. Ma vaghi riferimenti velati sono disseminati in tutto il film, suggerendo come invece vi sia stata una leggera evoluzione caratteriale del personaggio, caratterizzato sempre da rapporti e comportamenti malati, ma le cui azioni sono in fin dei conti mosse da intenti salvifici.

Alla metà del film, non a caso, si giunge a domandarsi chi sia effettivamente il vero cattivo, chi stia agendo dalla parte del bene e chi da quella sbagliata: ma una vera risposta non c’è, ad indicare che a volte è necessario macchiarsi di azioni atroci pur di salvare qualcuno.

L’Uomo nel buio – Man in the dark 2: quando la costruzione formale non riesce del tutto

L'uomo nel buio Cinematographe.it

La fotografia si manifesta a tratti accurata e funzionale alla narrazione, con inquadrature alternate di dettagli e di campi lunghi, per poi sfruttare addirittura molte riprese dall’alto che descrivono visivamente l’intero spazio dell’azione.
La natura dei diversi personaggi è poi rappresentata esteticamente dall’utilizzo di determinate angolazioni della macchina da presa: i frontali di Phoenix mostrano la sua innocenza infantile, i contre plongée di Norman e di Raylan (Brendan Sexton III) caratterizzano la loro natura ambigua e oscura.
Le scene d’azione sono confusionarie, oscurate da un bilanciamento iniquo tra luci e ombre e a tratti grottesche, facendo ricorso ad espedienti narrativi veramente scontati e per nulla pregnanti.

Bisogna osservare, infatti, come il fattore horror e la sua connotazione formale poi attraverso il ricorso a scelte formali e registiche piatte e senza enfasi, non lo possano far rientrare in fin dei conti in quel genere di film in grado di colpire lo spettatore impressionandolo e facendolo sobbalzare dalla poltrona.
La composizione tecnica non si può dire, dunque, che sia eccelsa, così come la trama, costellata di cliché, eventi prevedibili e elementi convenzionali che rendono il tutto scontato e a tratti davvero surreale.

La metafora di fondo, però, sembra essere quella che velatamente accompagna in tutto il film fino al definitivo epilogo: la consapevolezza di Norman riguardo quello che ha fatto nella sua vita e quello che è realmente si insidia in lui in modo esplicito solo alla fine, mostrando allo spettatore come il perdono possa salvare chi è già perduto.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8