TFF36 – L’uomo che rubò Bansky: recensione

Il documentario L'uomo che rubò Bansky mette tanta carne al fuoco, ma non riesce a gestire bene tutto il materiale che viene offerto.

Banksky è, di per sé, una leggenda. Nessuno è riuscito mai a vedere il volto dell’uomo, un ninja che si agita con velocità e sotterfugi mentre lavora alle sue nuove opere d’arte in giro per il mondo. È così: nel XXI secolo la street art è considerata al pari delle opere d’arte. Sono perciò tantissime le storie che, intorno a Bansky, contribuiscono ad alimentarne la sua mitologia. Come quella in cui si racconta del furto subito di uno dei lavori tra i più emblematici del suo corpo autoriale. L’estrazione di una parte di parete di un edificio in Palestina con sopra disegnato il famoso The Donkey with the Soldier e che va ad aggiungersi alle assurde vicende sulla figura dell’artista mascherato.

Risale all’anno 2007 l’atto da mercante di Mikael Cawanati. Sul muro esterno di una sua proprietà, l’uomo scopre un giorno le sagome di un asino e di un soldato, la denuncia di un’ottusità di uno scontro mortale che sembra non voler volgere alla fine. Un’opportunità senza eguali per un affarista come Cawanati, che diventa venditore su EBay della nota opera di Bansky e da cui Marco Proserpio parte con il suo L’uomo che rubò Banksy per poter compiere un più ampio discorso sull’ancora inesplorata arte della strada, nei suoi svariati, confusi, ancora non ben definiti stadi.

L’uomo che rubò Bansky – Street arte e come gestirlal'uomo che rubò Bansky cinematographe

Dall’italiano Proserpio si parte per un viaggio che tocca tutti i punti di massimo interesse sulle questioni della street art, riportandone le opinioni spesso contrastanti, decisamente non canoniche rispetto alla classicità dell’arte, e mostrando l’originale e complessa visione di questi artisti contemporanei. Dal muro che taglia un Paese a metà, ai luoghi più canonici dell’arte fino a toccare anche l’ambito di internet, delle vie delle metropoli, ma anche delle più comuni gallerie d’arte. L’uomo che rubò Bansky è certamente un lavoro completo e approfondito, ma con una confusione tale da perdere quasi di valore.

L’idea messa in moto da Marco Proserpio è chiara e gode del più sincero apprezzamento, ma è proprio nell’unire i pezzi delle sue scoperte e le interviste fatte a restituire allo spettatore un documentario dalle fattezze confuse, che mantiene i collegamenti del contenuto con precarietà sfavorevole. Il continuo spostarsi nella propria confezione, il guardare avanti per poi tornare indietro e cercare di stabilire relazioni e incatenamenti della ricerca tra il furto avvenuto e la discussione che è andata creando, si sforzano di convivere omogeneamente in un’opera che non riesce ad afferrare del tutto il suo scopo. E che finisce, comunque, per introdurre al dialogo sull’abituale status della street arte, ma che avrebbe dovuto calibrare i materiali ottenuti per poter poi permettere agli appassionati di focalizzarsi su una proposta definita su questa arte ancora giovane.

L’uomo che rubò Bansky – Di tassisti, conflitti e arte autonomal'uomo che rubò Bansky cinematographe

Oltre, poi, ai piccoli dettagli inutili inseriti nella trama. Per quanto simpatica e rappresentativa di un popolo esausto della delineazione causata dal muro, il continuo tornare sulla persona del tassista Walid Zawahrah stanca l’attenzione del pubblico, già costretto ai salti di luogo, tempo e argomento, ma deconcentrato ulteriormente dalla storia quasi parallela – per quanto unita a Bansky – del balestrato palestinese. Perché, in tutto questo, Proserpio sembra voler cercare di allargare la notifica avanzata da The Donkey with the Soldier e riservare un occhio di riserbo anche per il conflitto presente, per quanto a noi invisibile. 

L’uomo che rubò Banksy – con un titolo che sarebbe stato perfetto per qualche heist movie – pone interrogativi e ci offre soluzioni sulle forme d’espressione che fanno parte dell’oggi e tentano, attraverso il loro effettuarsi, di elevarlo. Educando alla comprensione di un’arte da cui siamo circondati e che, forse, questa volta continuerà a parlarci meglio lei stessa in autonomia, piuttosto che venendo analizzata sotto l’obiettivo di una macchina da presa.

L’uomo che rubò Bansky, il film evento narrato Iggy Pop, è prodotto da Marco Proserpio con Rai Cinema in associazione con Elle Driver e Doha Film Institute. È in uscita nelle sale solo l’11 e il 12 dicembre 2018 con Nexo Digital.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

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