L’ultima volta che siamo stati bambini: recensione del film di Claudio Bisio

Un esordio alla regia in grado di affascinare, educare e narrare la bellezza che si fa largo tra le atrocità della Storia, in uno slancio perenne di innocenza che vorremmo poter intrappolare per sempre. Al cinema, tuttavia, tutto è possibile!

C’è tensione e leggerezza in L’ultima volta che siamo stati bambini, il film che segna l’esordio alla regia di Claudio Bisio, il quale si è lasciato stregare dalla storia raccontata nell’omonimo libro di Fabio Bartolomei.
L’autore tratteggia il dramma con delicatezza, intingendo la macchina da presa in un’innocenza salvifica che si fa largo tra le strade sconquassate di una Roma che si alterna tra ambientazioni fiabesche e cruda realtà storica, una città in cui la guerra è un gioco da stropicciare con la fantasia, ma anche una belva minacciosa da contrastare a suon di ideologie, cannoni e alleanze. L’asse Roma-Berlino, la Repubblica di Salò, le leggi razziali e gli elogi al duce si dissipano nei contorni per poi oltraggiare il confine candido all’interno del quale si trincerano Italo (Vincenzo Sebastiani), Cosimo (Alessio Di Domenicantonio), Riccardo (Lorenzo Mc Govern Zaini) e Vanda (Carlotta De Leonardis): amici che hanno fatto un patto di sputo, pronti a tutto pur di proteggersi vicendevolmente.

L’ultima volta che siamo stati bambini recensione cienmatographe.it

Claudio Bisio, che si è occupato anche della sceneggiatura insieme a Fabio Bonifacci, si presta a dirigere una storia che profuma di dolcezza e orrore. La racconta con la maestria quieta di chi è abituato a cimentarsi dietro la macchina da presa e così annulla il gap della sua maschera interiore, divisa tra “burattino” e “burattinaio”, adottando scelte registiche capaci di rimarcare il senso più profondo della narrazione e accarezzando idillicamente ogni piega dell’anima. Così la tensione esplode, repentinamente e senza strattonare troppo il cuore, in scene come quella in cui la piccola Vanda si pone nel bel mezzo delle fionde di Cosimo e Italo pronti a far baruffa, rievocando il coraggio di Marina Abramović nell’iconica performance con Ulay dal titolo Rest Energy.

La regia di Claudio Bisio in L’ultima volta che siamo stati bambini

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La macchina da presa, tra le mani di Bisio, è un terzo occhio meccanicamente umano che spia dalla serratura di una porta chiusa, scivola sui volti innocenti e sui corpicini distesi al sole, a mirar la guerra vera e a pensare davvero di sconfiggerla con pietre e fionde. Si precipita lungo i sentieri erbosi, a seguir le vie percorse dai treni in corsa, a denudare il pudore, a smascherare la vergogna e a sviscerare l’amicizia, quella sincera e folle, che spinge tre bambini ad avventurarsi in un viaggio on the road, sfidando la fame, la paura e persino la morte, pur di salvare Riccardo, l’amico ebreo finito in un campo di concentramento a seguito del rastrellamento del ghetto di Roma (avvenuto il 16 ottobre 1943).

La libertà fanciullesca resta infilzata nella verità becera e crudele, senza tuttavia mai staccarci gli occhi di dosso, poiché quell’anelito di follia resiste nonostante tutto, rinforzato dal brio e sostenuto dal parallelismo con l’età adulta.
Suor Agnese e Vittorio, interpretati rispettivamente da Marianna Fontana e Federico Cesari, sono la coppia adulta che tiene saldi i piedi per terra, in un duello dialogico in cui i pensieri dell’Italia del periodo fascista si coagulano in parole e gesti, preoccupazioni e punti di vista differenti. C’è maggiore consapevolezza, nelle loro esternazioni ritagliate in battute, ma non è assente quell’ironia che furbamente attraversa, come un filo d’argento tra le trame della stoffa, tutta la pellicola. Questo sorriso sornione è ciò che ci invoglia a restare tra le braccia di celluloide de L’ultima volta che siamo stati bambini e che fa del film di Claudio Bisio un’opera perfetta a ogni età; un racconto che sa formare, far riflettere, ridere e piangere; che con dovizia istaura echi interminabili tra passato e presente, facendo sì che la Storia non resti ad ammuffire tra le pagine dei libri, ma anzi resusciti nella contemporaneità, facendosi pelle e ossa, fino a insediarsi nell’impalcatura del pensiero individuale.

I bambini e il talento innato della follia, essenziale nel film di Claudio Bisio

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Se tutta questa benedetta e leggiadra follia arriva a oltrepassare la finzione il merito è dei piccoli interpreti del film, che spiccano per talento e autenticità. L’orfanella di Carlotta De Leonardis, col suo sguardo furbo, il coraggio e la spigliatezza, funge da collante in un gruppo ben assortito di maschietti in cui si avvicendano gioie e dolori dell’età infantile. Vincenzo Sebastiani riesce a cesellare le sofferenze del confronto col fratello maggiore, in un mix di espressioni e pretese buffe che ben si incastrano alle fattezze fisiche e caratteriali del bambino interpretato da Alessio Di Domenicantonio. E c’è poi il bambino ebreo interpretato da Lorenzo Mc Govern Zaini, l’escluso dalla società che è vittima e punto di congiunzione.
Su tutti loro Bisio fa affidamento per portare in scena una storia di bambini sperduti in un mondo troppo grande, troppo brutale, troppo adulto, dove però la leggerezza persiste e, anche quando perde di brutto, comunque vince. E vince nelle azioni, nella resilienza, nella coscienza limpida e senza doppi fini, nel coraggio di provare dolore e vergogna, di riconoscersi umani e piccoli, inconsapevolmente per un’ultima volta che però, fissata su pellicola, sa farsi eterna.

Gli interpreti però, seppur fondamentali e carichi di carisma, non sono l’unico vanto de L’ultima volta che siamo stati bambini, che si avvale di una colonna sonora (composta da Pivio & Aldo De Scalzi e disponibile in digitale dal 13 ottobre 2023, edita da Edizioni Curci con Bartlebyfilm) capace di amalgamare le sinfonie tradizionali ebraiche a orchestrazioni più classiche, adagiandosi su note birichine e rocambolesche, poi su quelle funeste delle marcia, fino a intrufolarsi in suoni tristi e malinconici, a cullarci in una ninna nanna o nella solennità degli inni. È una musica che dà colore senza togliere nulla alle immagini le quali, intrappolate nella fotografia di Italo Petriccione, sanno materializzarsi in sfumature da cartoon, condensandosi nella scenografia fiabesca di Paola Comencini e nei costumi di Beatrice Giannini.

L’ultima volta che siamo stati bambini: valutazione e conclusione

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Concludendo, L’ultima volta che siamo stati bambini è un esordio alla regia pazzesco, un film che lascia scivolare la bellezza sul rasoio, intagliando la contemporaneità nella Storia, facendo male quanto basta a farci sapere vivi.
Una sceneggiatura dosata alla perfezione e un cast (che include, oltre agli attori già citati, anche Antonello Fassari, Nikolai Selikovsky, Giancarlo Martini) che aderisce completamente ai panni dei personaggi che si trova a indossare.

Vanno menzionati, tra i membri del cast tecnico, anche Leopoldo Pescatore (aiuto regia), Umberto Montesani (suono), Luciana Pandolfelli (montaggio) e la casting director Chiara Polizzi.
Il film, al cinema dal 12 ottobre 2023, è una coproduzione Solea e Bartlebyfilm, in associazione con Medusa Film e in collaborazione con Prime Video, prodotto da Sandra Bonzi, Claudio Bisio, Massimo Di Rocco e Luigi Napoleone.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.3