Bifest 2021 – La vera storia di Luisa Bonfanti: recensione del film di Franco Angeli

La parabola discendente di un'anima in pena, alla disperata ricerca del senso della propria esistenza.

Mettere insieme i pezzi, i momenti confusi e caotici di un’esistenza non è mai semplice. Soprattutto quando quella esistenza è la nostra. Ma è esattamente ciò che Luisa Bonfanti – protagonista della pellicola di Franco Angeli presentata al Bifest 2021 nella sezione anteprime italiane e prodotta da Inthelfilm – cerca di fare nell’attimo prima del proprio suicidio.

Lo vediamo e lo viviamo – emotivamente e fisicamente – quel momento: il proiettile, sparato dalla canna fumante di una pistola giunta per caso nelle mani della protagonista, si ferma immobile nell’aria. Concedendo a Luisa il tempo necessario a comprendere il perché di quel gesto. Sono queste le premesse di un racconto che si muove in maniera disinvolta fra i decenni più complessi della Storia italiana recente (’60 -’70 -’80), mettendo insieme diversi linguaggi, non solo cinematografici. Il filo per cucire questa vicenda è la vita di Luisa, “personaggio inventato ma assolutamente verosimile”, protagonista sin dal titolo di un viaggio ossimorico, e per questo impossibile.

La vera storia di Luisa Bonfanti – Il manifesto della pellicola tutto è nel titolo

La vera storia di Luisa Bonfanti - Cinematographe.it

La vera storia: quante volte ci siamo trovati davanti a film dichiaratamente ispirati a storie vere, le quali poi venivano inevitabilmente romanzate?
Nel caso della pellicola di Franco Angeli (La rentrèe, Lettere dalla Palestina), invece, il processo è esattamente l’opposto: si cerca di rendere reale e vera una vicenda privata del tutto inventata, ma calata in una cornice storico-sociale così reale da far sorgere il dubbio che, in quegli anni così strani e complessi, una donna come Luisa Bonfanti possa essere realmente esistita.

Del resto, se ci si sofferma a pensare al significato letterale di quelle due parole – storia e vera – ci si rende immediatamente conto di questo intento programmatico: da una parte una finzione, una favola – la storia – dall’altra la verità.
Sono due gli elementi che permettono al regista di perseguire in maniera efficace questo percorso e di rendere “verosimile” il personaggio di Luisa: da una parte, la volontà di usare e mischiare diversi linguaggi, dall’altra rendere la parabola della protagonista coerente e somigliante a molte vite realmente vissute in quel periodo storico.

La vera storia di Luisa Bonfanti: centomila generi … o forse nessuno

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Una delle prime difficoltà che sorgono di fronte ad un prodotto come La vera storia di Luisa Bonfanti è quella di comprenderne il genere di appartenenza. Impresa vana: la pellicola – come la sua vitale protagonista – non accetta compromessi o etichette e di restare chiusa in una confezione prestabilita non ne vuole sapere.

Franco Angeli, infatti, decide di rendere il digitale la materia espressiva di più stili, unendolo ad altri formati e linguaggi: immagini di repertorio, bianco e nero, colore, teatro, videoclip, videoarte, fiction, documentario, interviste. Il risultato è un mosaico composito ma omogeneo, che rende possibile la ricostruzione di una vita inventata.

L’infanzia di Luisa, ad esempio, – trascorsa nelle strade polverose del quartiere romano del Mandrione, in pieno dopoguerra – è immaginata in bianco e nero.
Per poi esplodere nei colori vitali della città, nel pieno degli anni ’70, quando la giovane decide di abbandonare i luoghi natali per inseguire il cinema, dopo una folgorazione avvenuta guardando Pasolini girare nelle periferie della capitale.
Colori che si alternano, nuovamente, al bianco e nero dei filmati di repertorio, che catapultano la protagonista all’interno delle rivolte sociali di quegli anni.

A rendere ancora più verosimile la vicenda di Luisa è, quasi in maniera paradossale, il cinema. Sono infatti gli interventi di alcuni registi – primi fra tutti Ettore Scola e Citto Maselli – ad avvalorare la teoria della reale esistenza di un personaggio come Luisa, che tenta di sfondare nel cinema impegnato ma che si deve poi accontentare di diventare la controfigura di Monica Vitti in Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca). Con la naturale – e forse inevitabile – conseguenza di finire poi nel mondo del porno, vissuto però con la ferina libertà di cui erano portavoce gli anni ’70.

La vera storia di Luisa Bonfanti – una parabola inventata ma assolutamente coerente

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A fare da filo conduttore – come accennato – a questa molteplicità di generi, stili ed avvenimenti, è la vita di Luisa. Vita narrata attraverso una parabola assolutamente coerente rispetto agli anni in cui è calata, stroncata a soli trentasei anni per motivazioni incomprensibili.

Intorno alla grande Storia – di cui Luisa è sempre attenta osservatrice e spesso protagonista – si muove infatti l’esistenza privata della donna fatta di amori falliti, di sogni infranti e di speranze inespresse. È sempre e solo lei a narrare la sua storia. La pellicola, infatti, – a parte qualche necessario cameo di altri personaggi – si affida completamente alla recitazione di Livia Bonifazi, che tesse le fila del racconto attraverso una sceneggiatura nata come monologo teatrale.

Confusa, spaesata, disperata, Luisa ci consegna – e consegna a se stessa – i dettagli di una vicenda composta da tanti piccoli tasselli e avvenimenti, indipendenti gli uni dagli altri, uniti puramente dalla casualità di appartenere alla vita di un singolo essere umano.
A volte la sensazione che la pellicola sia troppo carica di elementi, sia stilistici che di contenuto, rimane. E spesso viene da chiedersi quanto di ciò che viene mostrato sullo schermo sia effettivamente necessario.
“Poiché alla fine tutto vi sarà rivelato” recita il verso del profeta Habacuc riportato nei titoli di testa del film. Ma decidere quale sia questa rivelazione spetta soltanto allo spettatore.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.3